Popolamento di terre inabitate, crolli di imperi, scomparsa di antiche nazioni e nascita di nuove, lingue, religioni: grandi svolte della storia umana sono state affidate a migrazioni di interi popoli. Ma gli hyksos, i vandali non sono stati mai tanti come negli ultimi cinquant’anni. Si calcola che siano quasi duecentocinquanta milioni i migranti in cerca di lavoro, sedici milioni i rifugiati, trenta milioni gli “sfollati interni” fuggenti da conflitti, persecuzioni, disastri, miseria. Le scuole possono essere il luogo dell’integrazione meno traumatica attraverso l’interazione che possono creare se della necessità sanno fare virtù.

Un numero speciale di Studi emigrazione (gennaio-marzo 2015), dal suggestivo titolo “Le parole contano”, pubblica gli atti della scuola estiva Mobilità umana e giustizia sociale, organizzata nel 2014 per la quinta volta dall’Università cattolica di Milano e altri enti. Come ricorda in particolare il contributo di Giovanni Giulio Valtolina dell’Istituto per lo studio della multietnicità (Ismu) di Milano, dalle scuole di vari paesi viene un’indicazione. Processi educativi positivi per tutti, i nuovi arrivati e i bambini del luogo, si sviluppano se le scuole si impegnano a promuovere fin dalla prima infanzia le jigsaw classes, le classi mosaico, privilegiando in queste l’apprendimento attraverso il lavoro collaborativo, per piccoli gruppi. Questo è sempre efficace, ma qui è decisivo per far cadere, anzi per non far nascere il pregiudizio etnico.

Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2015 a pagina 92 di Internazionale, con il titolo “Infanzia e pregiudizio”. Compra questo numero | Abbonati

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