Il cuore dell’Economist batte per le scuole private. Ma è un errore contrapporre le ideologie e non dare attenzione all’ampio servizio con cui ha inaugurato l’agosto. Sotto un occhiello beffardo (“Istruzione a fini di lucro”) l’editoriale si intitola “La scuola da un dollaro a settimana”: nei paesi più poveri del mondo è questo che costa frequentare una scuola della rete Bridge international academies. Dal 1990 a oggi nei paesi ad alto e medio reddito la percentuale di alunni delle scuole private è restata poco sopra il dieci per cento, ma è salita al venticinque per cento nei paesi a basso reddito.
Qui, diversamente dai paesi ad alto reddito (Stati Uniti, Giappone, Finlandia, Italia), la spesa per l’istruzione è sostenuta sempre più non dagli stati ma dai privati. Dalla Namibia all’Etiopia e al sudest asiatico ormai si sa che serve un buon livello di istruzione, ma anche si sa che non lo si ottiene in scuole pubbliche corrotte e inefficienti. Fino a ieri chi poteva mandava i figli in costose scuole private. Ma da alcuni anni le scuole Bridge international academies offrono un’istruzione standard a costi minimi e ciò grazie ai benefattori e alle economie di scala: i servizi amministrativi sono centralizzati via tablet e sempre via tablet le classi hanno buon materiale didattico, raggiungendo prestazioni superiori alle altre scuole.
La “scuola in scatola” può non piacere, ammette il giornale, ma in queste terre per la maggior parte dei ragazzi l’alternativa sarebbe zero scuola.
Questo articolo è stato pubblicato il 2i agosto 2015 a pagina 89 di Internazionale, con il titolo “La scuola in scatola”. Compra questo numero | Abbonati
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