La ricostruzione di Puerto Rico attira gli speculatori
Nel 2017 gli uragani Irma e Maria hanno colpito Puerto Rico a settembre e ottobre. L’impatto di queste tempeste è stato enorme, ma ancora maggiori sono le sofferenze che l’isola deve affrontare a due mesi dal passaggio degli uragani. Le infrastrutture di Puerto Rico restano distrutte, con una rete elettrica perlopiù non funzionante e strutture fondamentali come scuole e ospedali tenute aperte tra mille difficoltà. Non sorprende che molti portoricani, che sono cittadini statunitensi, si siano trasferiti negli Stati Uniti continentali.
Il Centro studi portoricani dell’Hunter college di New York ritiene che, su una popolazione di 3,5 milioni di persone, centinaia di migliaia di abitanti di Puerto Rico effettueranno questo trasferimento. In Florida da ottobre ne sono già arrivati 130mila, diverse migliaia sono state accolte in altre città e stati statunitensi, come a Holyoke, in Massachusetts, dove diverse centinaia di portoricani hanno potuto raggiungere i loro familiari.
Tutto lascia immaginare che queste persone non torneranno sull’isola. Secondo Betty Medina Lichtenstein dell’associazione Enlace de familias sono gli anziani che hanno più desiderio di tornare, mentre le famiglie più giovani sembrano intenzionate a rimanere.
L’ipotesi di privatizzare le scuole
All’arrivo in Massachusetts un migliaio di studenti portoricani si è iscritto alle scuole pubbliche dello stato. I funzionari scolastici affermano di essere solidali nei confronti delle sofferenze patite da queste persone, in fuga da un’isola devastata e con strutture scolastiche a brandelli.
Delle 1.113 scuole di Puerto Rico, solo 119 hanno riaperto. Secondo il sindacato insegnanti, Federación de maestros de Puerto Rico, il governo ha rallentato la ricostruzione delle scuole per favorirne la privatizzazione. I progetti di ricostruzione di Puerto Rico somiglierebbero a quanto fatto a New Orleans dopo i disastri provocati dall’uragano Katrina nel 2005, quando le scuole licenziarono molti insegnanti e crearono una rete di scuole private. La Federación teme che a Puerto Rico accadrà più o meno la stessa cosa, e il fatto che le scuole restino chiuse sarebbe una conferma.
Non tutte le morti legate al disastro sono state conteggiate
All’inizio di novembre la segretaria federale all’istruzione Betsy DeVos ha incontrato la sua collega portoricana, Julia Keleher, a San Juan. Alcuni esponenti del sindacato hanno marciato fuori del dipartimento dell’istruzione per chiedere di partecipare alle trattative, visto che nessuno li aveva invitati. Betsy DeVos e Julia Keleher non hanno parlato agli insegnanti.
Julia Keleher aveva già cercato di far approvare un piano di privatizzazione delle scuole dell’isola, e il disastro ha dato a lei e a DeVos l’occasione di farlo incontrando solo una minima resistenza. La tempesta, ha dichiarato Julia Keleher, ha dato all’isola “una reale opportunità di spingere il tasto reset”. A proposito del sindacato insegnanti, ha dichiarato che i suoi rappresentanti “possono scendere in piazza e protestare, ma questo non cambia il fatto che non si può tornare a vivere come si faceva prima dell’uragano”.
Due deputati statunitensi, Kevin McCarthy e Steny Hoyer, hanno visitato Puerto Rico a novembre per valutare la situazione e hanno trovato un’isola “che tentava freneticamente di riprendersi”, ma dove gli abitanti vivono isolati a causa di strade distrutte e linee elettriche cadute, con poco cibo, pochi farmaci a disposizione e “ancora meno speranza di una rapida ricostruzione”. I due hanno promesso di lottare per garantire più fondi all’isola, in modo che questa sia non solo ricostruita ma sia anche in grado di reggere l’impatto con la prossima tempesta.
La differenza con Cuba
Nel frattempo una missione delle Nazioni Unite si è recata a Cuba all’incirca nello stesso periodo per valutare i danni e la ricostruzione, scoprendo che il paese ha vissuto una devastazione paragonabile a quella di Puerto Rico, ma si è ripreso rapidamente. Squadre di volontari sono riuscite a ricostruire le infrastrutture distrutte e lo stato ha garantito sussidi agli agricoltori e ai proprietari di case che hanno subìto danni. Un decennio fa, Cuba aveva ricostruito il suo sistema elettrico con una serie di 1.800 centrali decentralizzate alimentate a gasolio e benzina. La microrete elettrica è stata velocemente rimessa in funzione una settimana dopo l’uragano. Si tratta di un sistema al quale si sono opposte le aziende private di monopolio elettrico.
A Puerto Rico la rete elettrica (che in teoria doveva essersi ripresa) ha smesso di funzionare nella seconda settimana di novembre. Per gli abitanti ha significato che le cose potevano peggiorare ulteriormente. Secondo l’autorità elettrica di Puerto Rico (Prepa) è stato riparato il 40 per cento della rete. Ma dopo questo blackout, la rete è crollata al 18 per cento di funzionalità, ritornando poi al 47 per cento alcuni giorni dopo. Per quasi sette settimane, gli abitanti di Puerto Rico sono andati avanti con generatori e pannelli solari, comprese le scuole che avevano riaperto.
Il governo portoricano aveva siglato un contratto con una piccola azienda del Montana, che ha stretti legami con il segretario all’interno statunitense Ryan Zinke. Il contratto ha permesso a Whitefish, l’azienda del Montana, di ricevere trecento milioni di dollari per la riparazione della rete danneggiata. Si è poi scoperto che Whitefish non aveva alcuna esperienza in questo campo. L’azienda ha fatto pagare 319 dollari all’ora per il lavoro dei tecnici di riparazione delle linee, retribuendo però i lavoratori solo con 63 dollari all’ora e intascando la differenza. Quando hanno cominciato a circolare le notizie il governo ha dovuto stracciare il contratto.
Nel frattempo continuano le controversie sul numero delle vittime del disastro. Il governo afferma che i morti sono stati 55. Funzionari portoricani affermano invece oggi che il numero più probabile è 472. Ma la cifra reale è ancora maggiore, poiché ci sono le prove che il governo abbia incoraggiato la cremazione dei cadaveri delle persone morte durante la tempesta. La ragione è stata che, senza energia elettrica, i corpi non potevano essere conservati al freddo. Ma non tutte le morti legate al disastro sono state conteggiate.
Le alte temperature, l’assenza di acqua pulita e la diffusione dei batteri hanno provocato centinaia di morti che non sono state inserite nel conteggio ufficiale dei morti legati all’uragano e alle sue conseguenze. I gestori di pompe funebri ritengono che le cifre fornite dal governo non siano esatte. E date le difficoltà che devono affrontare, gli ospedali fanno fatica a fornire dati precisi.
I medici sono preoccupati in particolare per le categorie più vulnerabili della popolazione, come anziani e neonati. Con l’acqua stagnante intorno all’isola e la mancanza di elettricità, si teme la diffusione del virus zika, trasmesso dalle zanzare, oltre che della leptospirosi, che avrebbero un impatto devastante su donne incinte e neonati. I generatori forniti dal governo degli Stati Uniti e gli impianti solari forniti da Tesla hanno aiutato gli ospedali di alcune aree, ma cliniche e ospedali nell’interno rurale rimangono in grave difficoltà.
Negli ultimi due decenni la popolazione di Puerto Rico è diminuita. Dal 2005 al 2015 addirittura il 10 per cento della popolazione, 446.000 persone, si è trasferito negli Stati Uniti continentali. Ci si attende che un numero equivalente di persone lascerà l’isola nei prossimi mesi. La stessa cosa era accaduta a New Orleans dopo l’uragano Katrina. Da allora la città è stata ricostruita come un parco giochi per turisti e ricchi.
L’agenzia federale per la gestione delle emergenze (Fema) ha creato un programma per trasportare i portoricani sulla terraferma. L’isola, dicono i cinici, si prepara a essere convertita in resort turistico, con il trasferimento in altro luogo degli abitanti “in eccesso”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Alternet.