Provate a immaginare una grande bandiera rossa che sventola dalla cima dell’Everest. È più o meno questa l’immagine che suggerisce il risultato delle elezioni parlamentari e provinciali che si sono svolte il 26 novembre e il 7 dicembre in Nepal. I comunisti hanno vinto entrambe con un netto margine. In parlamento la coalizione controllerà quasi i due terzi dei seggi.
Il governo formato da questa maggioranza non sarà solo in grado di portare a termine la legislatura di cinque anni – e sarebbe la prima volta da quando il Nepal è diventato una democrazia parlamentare nel 1990 – ma sarà anche in grado di riformare la costituzione del 2015.
Sia i risultati parlamentari sia quelli provinciali mostrano che i comunisti hanno vinto in tutto il paese, dalle campagne alle città. Anche se avranno un chiaro mandato per governare secondo il loro programma, il probabile primo ministro K.P. Oli ha prudentemente dichiarato: “Abbiamo osservato come, in passato, i partiti tendano spesso a diventare arroganti dopo la vittoria. Si teme che lo stato diventi oppressivo. I vincitori sono inclini a diventare indifferenti alle loro responsabilità”. Ma il governo comunista si comporterà in maniera diversa, ha assicurato Oli.
Il fattore nazionalista
Cos’ha permesso una vittoria così netta? Il partito attualmente al potere, il Congresso nepalese, è stato indebolito da scandali di corruzione, da lotte interne e dalla mancanza di una visione per il paese.
Tra il 2015 e il 2016, quando il governo indiano ha chiuso i suoi confini con il Nepal, un paese senza sbocchi sul mare, il Congresso non è stato in grado di prendere posizione contro l’India. I comunisti, in particolare Oli, non si sono invece tirati indietro. I settori nazionalisti hanno cominciato a preferire i comunisti al Congresso. Ma, fatto ancor più decisivo, quest’ultimo si è presentato alle ultime elezioni con una coalizione incoerente, che metteva insieme partiti filomonarchici e della minoranza madhesi. Era impossibile che un’alleanza così disordinata piacesse agli elettori.
I comunisti, invece, si sono presentati alla popolazione con uno slogan molto semplice: “Prosperità attraverso la stabilità”. Da quando il Nepal cominciò a sbarazzarsi della monarchia nel 1990, ha avuto ogni sorta di problemi. L’incapacità di avviare un processo democratico ha spinto una parte dei comunisti ad avviare una rivolta armata durata dieci anni, tra il 1996 e il 2006. Circa 17mila persone sono morte in questa guerra, che si è conclusa con un nuovo processo democratico avviato tramite un’assemblea costituente.
La monarchia è stata abolita nel 2008 e l’assemblea costituente ha redatto la costituzione nel 2015. Ciononostante, ci sono stati dieci primi ministri nel decennio successivo alla fine della rivolta armata, e pochi miglioramenti sociali per la popolazione. Era giunto il momento per qualcosa di diverso dalla corruzione e dallo sconforto.
La promessa di unità
Due delle principali formazioni comuniste nepalesi, i maoisti e il Partito comunista del Nepal (marxista-leninista unificato, Uml), hanno deciso di presentarsi alle urne insieme impegnandosi a unificarsi dopo le elezioni. La promessa di creare un unico partito ha fornito alle due formazioni una maggiore credibilità. Se saranno in grado di mantenere l’unità, forse saranno in grado di governare stabilmente per cinque anni. È stato forse questo l’elemento più allettante della loro campagna elettorale. E ha pagato alle urne.
Il comunismo è arrivato in Cina e in India negli anni venti del novecento, ma non in Nepal, uno stato stretto tra questi due paesi. Una dura repressione da parte della monarchia ha impedito a tutti i movimenti progressisti di radicarsi nel paese.
Fu solo negli anni quaranta che il comunismo cominciò ad avere un certo impatto all’interno del Nepal. Un coraggioso sciopero dei lavoratori delle fabbriche di iuta e tessuti di Biratnagar nel 1947 aveva fatto emergere attivisti come Man Mohan Adhikari che è stato poi esiliato in India.
Insieme ad alcuni studenti nepalesi residenti in India temeva che la dinastia reale nepalese fosse pronta a unirsi alle potenze imperialiste per creare una base militare in Nepal, spingendo il paese nell’orbita dell’occidente e minacciandone l’indipendenza. Quegli studenti e attivisti erano influenzati dal Partito comunista indiano. Uno di loro tradusse il Manifesto del partito comunista in nepalese nel 1949 e quello stesso anno, a Calcutta, in India, fu fondato il Partito comunista nepalese (Pcn).
I pilastri dell’alleanza
Nel suo primo decennio d’esistenza, il Pcn predicò l’abolizione della monarchia e la creazione di una repubblica e di un’assemblea costituente, rimanendo però lacerato al suo interno sulle questioni della monarchia e delle elezioni. Le divisioni erano inevitabili. La lotta armata diventò un’opzione durante il quarto congresso del partito, nel 1965, e ha diviso il movimento fino al 2006, anno in cui ha smesso di essere presa in considerazione, anche perché era costata un prezzo troppo grande al paese.
Le due principali correnti del comunismo nepalese, emerse dopo la creazione del partito nel 1949, si riuniranno
Tuttavia il grosso della sinistra nepalese non aveva mai preso le armi. Aveva invece organizzato lotte di popolo contro la monarchia, l’autorità feudale e le relazioni di proprietà capitalistiche. Il Fronte unito della sinistra, nato nel 1990 con l’obiettivo di combattere per un sistema democratico, era guidato da quello che sarebbe poi diventato il Partito comunista del Nepal (marxista-leninista unificato), uno dei principali pilastri dell’attuale alleanza, nonché la spina dorsale della lotta per il ripristino della democrazia.
L’altro pilastro sono i maoisti (Partito comunista nepalese-Maoista centro), che hanno ormai accettato la democrazia parlamentare.
Il leader maoista Pushpa Kamal Dahal (noto anche come Prachanda) si è recato nel suo collegio di Chitwan per festeggiare la vittoria. “Il processo di formazione del governo e di unificazione del partito procederanno di pari passo”, ha dichiarato. Il maoista Prachanda diventerà leader del partito, mentre Oli, dell’Uml, sarà il primo ministro. Le due principali correnti del comunismo nepalese, emerse dopo la creazione del partito nel 1949, si riuniranno.
Tutti i partiti del Nepal, compreso quello monarchico, vogliono che entro il 2022 il loro paese smetta di essere il meno sviluppato al mondo
Quale sarà il programma del nuovo governo? K.P. Oli ha dichiarato che la stabilità sarà la priorità del governo. Ma la stabilità di per sé non è abbastanza. Il Nepal soffre di una diffusa povertà e di una grave debolezza infrastrutturale. Oli ha dichiarato che sarà felice di accogliere investimenti in grado di costruire le infrastrutture necessarie al paese, compresa una ferrovia cinese che colleghi il Tibet e il Nepal. Non si tratta di un riavvicinamento alla Cina, come suggeriscono alcuni.
È più probabile che si tratti di una posizione studiata per trovare un’equidistanza tra la Cina e l’India, i due giganti regionali. L’obiettivo è il pragmatismo, non la fedeltà alla Cina su basi ideologiche.
Tutti i partiti del Nepal, compreso quello monarchico, vogliono che entro il 2022 il loro paese smetta di essere tra i meno sviluppati al mondo. Quel che li differenzia è la strada per raggiungere tale obiettivo. La coalizione comunista promette di far salire il reddito pro capite fino all’equivalente di cinquemila dollari all’anno, rispetto ai magri 862 dollari annuali di oggi. Per questo servirebbero investimenti nell’istruzione e nella sanità, oltre che un deciso aumento dei posti di lavoro per i giovani (oggi due milioni di nepalesi su 28 trovano lavoro fuori del loro paese).
Un programma da condividere
Dove troverà le risorse necessarie il governo? Mettere fine alla corruzione permetterebbe al ministero del tesoro di risparmiare molto denaro. Ma più di questo, sarà un uso più efficiente del gettito fiscale a fornire gli strumenti dello sviluppo. Il federalismo fiscale è un elemento fondamentale del programma della sinistra, che spera di devolvere la metà delle sue risorse al governo municipale e a quello provinciale.
La speranza è che questi ultimi usino il denaro in maniera migliore, indirizzandolo a favore dello sviluppo locale, che un governo più stabile attragga denaro e turisti in Nepal, e che questi soldi possano essere usati per sviluppare l’agricoltura biologica e l’energia pulita (compresa quella idroelettrica) che alleggerirà il paese dal fardello di dover importare elettricità.
Oli ha chiesto a tutti i partiti di unirsi alla coalizione comunista nel suo tentativo di far migliorare i livelli di vita del popolo nepalese. Si tratta di una maniera saggia di fare politica. Questo significherebbe che il programma dei comunisti diventerebbe quello di tutto il paese. Metterebbe pressione sulle classi e sulle caste dominanti, promuovendo politiche improntate allo sviluppo sociale. Per il Nepal, si tratterebbe di un piccolo passo in avanti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su Alternet.
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