Mezzo chilo di carne di maiale costa tre giorni di salario di un operaio. Per collegarsi un’ora a internet ci vuole lo stipendio di due settimane. Niente di tutto questo è cambiato per i cubani da quando Barack Obama è arrivato al potere negli Stati Uniti e ha introdotto misure più flessibili per i viaggi e le rimesse degli immigrati.

Eppure tra i lavoratori che risparmiano per andare in macelleria e i ragazzi che sognano di navigare in rete si sta diffondendo una sensazione di sollievo. La ragione di questo ottimismo è che l’isola dipende ogni giorno di più dai dollari e dagli aiuti umanitari degli esuli. Senza quest’ossigeno la situazione economica sarebbe più grave e la maggior parte dei miei vicini non potrebbe comprare i prodotti in vendita nei negozi che accettano solo pesos convertibili.

Anche se i nostri leader non accennano a ridurre gli attacchi contro gli Stati Uniti, Cuba ha sempre più bisogno del grande vicino del nord. Noi cittadini lo sappiamo bene.

Basta guardarsi intorno per avere la conferma che, senza il “nemico” con cui ci spaventa la propaganda ufficiale, saremmo tutti più poveri e più dipendenti dallo stato. Il calzolaio all’angolo della strada ha aperto il negozio un paio di anni prima che gli Stati Uniti sospendessero i rapporti con Cuba, ma la colla che usa per le riparazioni gli arriva da un fratello che vive a Miami. La pennetta usb che quel ragazzo porta appesa al collo è il regalo di un americano che ha attraccato a Marina Hemingway, mentre la parrucchiera dietro l’angolo si fa spedire le tinte e le creme da Hialeah.

Anche il whisky che bevono i dirigenti del partito porta il sigillo inconfondibile del proibito.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it