Non è ancora ufficiale, ma siamo venuti a sapere che i nostri figli non dovranno studiare nei centri preuniversitari che si trovano in campagna. L’idea di educare gli adolescenti all’amore per il lavoro confinandoli nelle scuole rurali ha complicato non poco la vita delle famiglie cubane.

Anch’io sono stata tra quelli scelti per diventare “uomini nuovi”, e ho unito le lezioni di chimica al lavoro nelle piantagioni di banane o nei campi di fagioli.

Dopo aver passato tre anni lontani dal controllo dei genitori ci sentivamo più liberi, ma l’amore per la terra era totalmente svanito. Abbiamo imparato a fingere di raccogliere frutta, mentre in realtà le nostre uniche ossessioni erano il cibo e il sesso. Il periodo passato in quelle scuole ha aumentato il nostro senso di non appartenenza.

Sentivamo di non essere né a scuola né a casa. Molti di quelli che, come me, sono stati in quei posti in mezzo al nulla, si sono fatti una promessa: i nostri figli non avrebbero mai vissuto niente di simile. Diverse generazioni di giovani hanno dovuto convivere con il bullismo e la mancanza di valori etici e di igiene di questi centri.

Anche se le cose sono leggermente migliorate dopo la crisi degli anni novanta, i dormitori sono sempre stati particolarmente scomodi. Neanche la produttività giustificava l’esistenza di questi centri, perché il lavoro degli studenti creava perdite e non guadagni.

Il meccanismo delle borse di studio preuniversitarie sembrava rispondere solo alla volontà di un uomo e alla sua illusione di poter instillare nei cubani la coscienza del lavoro fin dall’adolescenza. Oggi – mentre lui agonizza – i suoi utopici progetti vengono abbandonati. Ecco perché il ministero dell’istruzione ha cominciato a smantellare i centri preuniversitari.

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