Ci sono due uomini all’angolo della strada. Uno ha un auricolare, l’altro fissa il portone del palazzo. Tutti quelli che vivono in zona sanno benissimo perché sono lì.

In uno degli appartamenti vive un dissidente: i due poliziotti politici tengono sotto controllo chi entra e chi esce, e lì vicino hanno una macchina per seguirlo ovunque vada. Non cercano di nascondersi. Vogliono far capire a tutti che quel soggetto è schedato, per spingere gli amici ad allontanarsi ed evitare di finire nella ragnatela della vigilanza.

A Cuba chiunque dissenta ha un’ombra che lo segue ovunque. Si chiamano segurosos e usano tecniche sofisticate di supervisione, dalle intercettazioni telefoniche o ambientali alla localizzazione attraverso il segnale del cellulare. Gli effetti sulla vita personale di operazioni di questo genere sono tali che i cubani chiamano la sicurezza di stato con nomi terribili come “Apparato”, “Armageddon” o “Trituratrice”.

Una frase illustra la smisurata proporzione di poliziotti politici che si aggirano intorno a ogni oppositore. A bassa voce e guardandosi alle spalle, molti dicono con sarcasmo: “Quante braccia rubate all’agricoltura, guarda questi, passano le giornate a controllare chi la pensa diversamente”. Quanto sarebbe diverso se invece di proiettare la loro lunga ombra sui critici del sistema la lasciassero cadere su un cesto di lattuga o una piantina di pomodoro, su quel solco – oggi vuoto – che potrebbero aiutare a seminare.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 875, 3 dicembre 2010*

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