Timidi tendoni colorati fanno capolino dal nulla, si inaugurano ombrelloni sotto cui abbondano i frullati di frutta e i chicharrones (i ciccioli di maiale) e nei portoni di alcune case s’improvvisano caffetterie con offerte allettanti. Tutto questo sta succedendo all’Avana in seguito alle nuove misure che hanno reso più flessibile il lavoro autonomo.
Alcuni miei vicini vorrebbero aprire un negozio di calzolaio o un locale per riparare i frigoriferi, mentre viali e piazze stanno cambiando grazie alla spinta dei privati. Ma i più cauti aspettano di capire se le riforme saranno definitive o faranno retromarcia come negli anni novanta. Pochi mesi dopo l’annuncio di Raúl Castro di aumentare il numero di licenze per i lavori autonomi, i risultati sembrano promettenti.
Da ottobre abbiamo cominciato a recuperare sapori perduti, ricette di cui sentivamo la mancanza, comodità nascoste. Più di 70mila cubani hanno ottenuto permessi per mettersi in proprio e altre migliaia di persone stanno riflettendo sui vantaggi di aprire una piccola azienda familiare. Nonostante le cautele, le tasse ancora troppo alte e l’assenza di un mercato all’ingrosso, i nuovi lavoratori autonomi si stanno facendo notare in una società segnata dall’immobilismo.
Montano i banchetti e ridistribuiscono gli spazi di casa per offrire servizi come parrucchieri o manicure. La maggior parte crede che sarà per sempre, perché il sistema che li ha soffocati ha perso la sua capacità di competere con loro.
*Traduzione di Sara Bani.
Internazionale, numero 882, 28 gennaio 2011*
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