A casa si è scatenata una grande agitazione quando è arrivato il nuovo volume delle pagine gialle. Con una foto a colori e in caratteri gotici, la guida telefonica conteneva l’annuncio della nuova caffetteria che la famiglia ha aperto nel suo salotto. Per la prima volta da più di quarant’anni i cubani possono fare pubblicità a una loro attività privata sulle pagine gialle.
Tra le più di cinquecento piccole imprese, saltano agli occhi quelle che hanno delle nozioni di marketing, mentre altre osano a malapena segnalare il nome e l’indirizzo del posto. Dietro gli annunci più appariscenti si percepisce la presenza di qualche investitore, probabilmente un parente che vive all’estero o una persona importante del settore statale che sostiene l’attività da dietro le quinte.
Figli di ex generali, cancellieri caduti in disgrazia, poliziotti a riposo, cubani che vivono tra Madrid e l’Avana, vecchie dive televisive, sono solo alcune delle persone che hanno aperto un ristorante in seguito alle riforme promosse da Raúl Castro. I clienti di questi luoghi tendenzialmente sono turisti e il prezzo di tanta esclusività si aggira intorno ai venti euro a persona, anche se ci sono luoghi davvero chic in cui si può arrivare a cinquanta euro. Comunque sorprende che al suono del piano e tra le candele accese siano molti i commensali cubani che vivono sull’isola. Appartengono a quella classe media che risorge tra le rovine dello sconclusionato discorso politico dell’egualitarismo.
Per i nuovi ricchi frequentare quei luoghi è un modo per sentire di vivere già nella Cuba del futuro. Ma c’è sempre la paura che il governo faccia marcia indietro sull’apertura economica, come fece Fidel Castro negli anni novanta. Un nuovo passo indietro in direzione del centralismo sarebbe una pessima notizia per questi audaci imprenditori.
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