Dopo 35 anni di Saddam Hussein e sette anni di occupazione militare, il 7 marzo è stata una data storica per gli iracheni. Ho visitato sei seggi e le elezioni di quest’anno mi sono sembrate molto diverse da quelle del 2005. La maggior parte delle persone che faceva la fila per andare a votare mi ha detto che lo aveva deciso solo il giorno prima.
Ci sono state una decina di esplosioni quel giorno. Quando sono arrivato davanti al seggio di Kasrah, nel centro di Baghdad, un ragazzo che indossava una maglietta da calcio ha commentato: “Fanno sempre lo stesso errore. Pensano di privarci del nostro diritto di voto con le bombe”.
La maggior parte degli elettori ha cambiato atteggiamento in questi ultimi anni. Quelli che nel 2005 avevano votato per Ibrahim al Jaafari, primo ministro tra il 2005 e il 2006, non ne hanno una buona opinione. Secondo alcuni “è un chiacchierone”. Secondo altri “è una maledizione. Tutte le sciagure del paese (il settarismo religioso e l’aumento della violenza delle milizie) si sono concentrate nei dodici mesi del suo governo”.
Chi appoggiava Ayad Allawi , premier ad interim fino alle elezioni del 2005, oggi gli preferisce l’attuale primo ministro Nuri al Maliki. “Allawi è tornato alle sue origini baathiste”. I sostenitori di Al Maliki, invece, temono di aver creato un nuovo dittatore. Molti preferiscono mantenere la loro scelta elettorale segreta.
In fila di fronte al seggio di Abu Tshir, nel sud della capitale, ho chiesto a una signora anziana con la gobba per chi avrebbe votato. Non mi ha risposto perciò gli ho ripetuto la mia domanda. Alla fine, arrabbiata mi ha detto: “Voterò per chi saprà fare gli interessi del nostro popolo”.
Internazionale, numero 837, 12 marzo 2010
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