Awad Nasir sta scrivendo una lunga poesia su Damasco. Ci ha vissuto per nove anni e ha sposato una siriana. Abbiamo passato due notti a parlare dei nostri ricordi della città, e delle sue belle donne. Nella seconda metà degli anni ottanta facevamo tutti i giorni una passeggiata in centro, dalla moschea degli Omayyadi fino a Bab Tuma.
Ci piaceva molto questa parte: con le sue vecchie case e i vicoli stretti, somigliava a Baghdad. Una volta siamo stati arrestati dalla polizia insieme alle due ragazze con cui eravamo usciti e abbiamo passato una notte terribile in prigione, senza sapere perché ci avessero fermato.
Nel suo poema Awad segue il profumo di gelsomino nell’aria di Damasco e una striscia di sangue per terra che lo conduce attraverso il quartiere di Ein Qirsh.
“Ho cercato di immaginare la violenza che s’insinuava nella mia amata città, ma non ci sono riuscito: la bellezza che conservo nella mia mente è troppo forte”.
Nel corso della storia e, in particolare nella seconda metà del novecento, molti iracheni sono scappati dal loro paese per rifugiarsi in Siria. Per la prima volta i siriani hanno fatto il cammino inverso.
Alcuni mesi fa un giornalista iracheno ha chiesto ad artisti e scrittori di unirsi a un appello a sostegno dei siriani. Awad era uno di loro, e oggi sta facendo del suo meglio per fare in modo che l’odore del gelsomino sovrasti il fumo delle armi.
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