Nelle ultime settimane il crollo del prezzo del petrolio ha fatto crescere tra gli iracheni la paura della crisi economica. Le misure del governo sono improntate all’austerità e i cittadini temono un aumento delle tasse che farebbe diminuire ancora di più i loro stipendi già bassi. In alcune città sono scoppiate delle manifestazioni di protesta in cui la gente portava cartelli con scritto: “Sì alla lotta contro la corruzione, no a nuove tasse”.
Nel nord, a Sulaymaniyya, i dipendenti pubblici non ricevono lo stipendio da tre mesi e i manifestanti che sono scesi in piazza contro il governo regionale curdo volevano sapere come fossero stati spesi tutti i proventi del petrolio.
A Baghdad ci sono meno attentati rispetto al passato recente ma le famiglie, soprattutto quelle di ceto medio e medio-basso, sono ancora preoccupate: temono infatti che la crisi faccia peggiorare il loro stile di vita. Molti evocano i terribili anni delle sanzioni contro il regime di Saddam Hussein (1990-2003). Uno dei leader politici più in vista, Ahmed Chalabi, ha scritto sul suo sito web che l’ex primo ministro Nuri al Maliki ha sperperato un terzo del bilancio pubblico del 2014 per le elezioni senza presentare nessun giustificativo per queste spese.
Il mio amico avvocato Ali Ahmad, 69 anni, mi ha detto: “Viviamo già sulla soglia di povertà. Il 20 per cento del mio stipendio serve per pagare l’affitto di casa. Un altro 20 per cento se ne va per la scuola delle mie due figlie. Il resto serve per le spese quotidiane. Ma come si fa a vivere con un salario dimezzato? Se ci impongono nuove tasse, scendo in piazza con tutta la famiglia!”.
(Traduzione di Francesca Sibani)
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