A Bassora le temperature hanno raggiunto i 52 gradi, e dai rubinetti esce solo acqua salata. Se ci aggiungiamo i continui blackout, che durano anche undici ore al giorno, si capisce perché nella città del sud dell’Iraq le proteste si sono fatte più intense rispetto al resto del paese. “È un inferno. Vieni tu stesso a vedere!”, così mi ha risposto il giornalista Taleb Aziz quando gli ho chiesto della situazione esplosiva nella torrida Bassora.

Nel mezzo di questo inferno i manifestanti infuriati, sostenuti dalle tribù locali, hanno bloccato le strade e hanno circondato le sedi delle compagnie petrolifere alla periferia della città. La società russa Lukoil ha trasferito in elicottero il personale straniero dal quartier generale, per sfuggire agli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.

Le tensioni tra il governo locale e i manifestanti si sono intensificate il 10 luglio, il quindicesimo giorno di proteste, quando un manifestante disarmato, Asaad al Mansour, è stato ucciso dalle forze di sicurezza.

Il petrolio che non dà lavoro
I manifestanti, in maggioranza disoccupati, hanno assediato le sedi delle compagnie petrolifere locali chiedendo posti di lavoro. Il settore petrolifero rappresenta l’89 per cento del pil iracheno e il 99 per cento delle sue esportazioni. Ma gli iracheni costituiscono solo l’1 per cento del personale delle compagnie internazionali, gli altri sono tutti stranieri. In Iraq il tasso di disoccupazione è del 10,8 per cento, ma raddoppia tra i giovani in un paese in cui il 60 per cento della popolazione ha meno di 24 anni.

Le manifestazioni a Bassora sono diverse dal passato, come hanno confermato alla stampa alcune fonti di sicurezza. Le tribù locali con le loro armi hanno appoggiato le proteste. “Sono i nostri figli, e questo è il loro sangue”, è stato l’avvertimento lanciato dal capo del clan Al Mansour alle autorità locali.

Per far fronte alle difficoltà il primo ministro Haider al Abadi ha creato un’unità di crisi guidata dal ministro del petrolio Jabbar al Luaibi, che ha annunciato la creazione di diecimila posti di lavoro per i disoccupati di Bassora. Ma per ora non è chiaro se questa offerta placherà la rabbia della città.

La scintilla è partita da sud, ma l’incendio è subito avanzato verso nord, dove proseguono i negoziati per la formazione del nuovo governo.

(Traduzione di Francesca Gnetti)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it