Nella notte tra il 6 e il 7 settembre l’ondata di collera dei giovani disoccupati di Bassora ha letteralmente incendiato la città. Nonostante le autorità avessero imposto il coprifuoco, i manifestanti hanno attaccato le sedi di nove milizie filoiraniane e quella dell’amministrazione provinciale.

Le redazioni di tre emittenti televisive legate alle milizie sono andate in fiamme, mentre il consolato iraniano è stato incendiato il pomeriggio del 7 settembre. Da allora le proteste hanno causato almeno 12 morti e una cinquantina di feriti.

L’esercito iracheno si è ritirato dalle strade, dopo che il primo ministro Haider al Abadi ha dichiarato di non aver dato l’ordine di sparare sui manifestanti.

L’indifferenza della politica
Le proteste contro la disoccupazione, l’inefficienza dei servizi pubblici e la corruzione continuano ormai da più di quaranta giorni. Eppure Bassora è un importante centro economico e nei suoi dintorni ci sono tra i più grandi giacimenti di petrolio non ancora esplorati del paese e del mondo. A esasperare ulteriormente la popolazione è stata la notizia che migliaia di persone sono state ricoverate in ospedale per aver bevuto acqua contaminata.

L’ondata di violenza ha raggiunto il culmine nei tre giorni successivi alla convocazione del nuovo parlamento, che non è riuscito a eleggere il presidente della repubblica, il primo ministro e il presidente della camera. I parlamentari non hanno neanche discusso della drammatica situazione di Bassora perché ben 160 deputati non hanno partecipato alla seconda seduta.

Gli iracheni di altre parti del paese, compresa Baghdad, si stanno mobilitando in solidarietà con la città, protestando con lo slogan “Non lasceremo sola Bassora!”. Il religioso Moqtada al Sadr ha chiesto che venga convocata una seduta urgente del parlamento per discutere della questione, ma solo il primo ministro Al Abadi e i deputati della sua coalizione si sono espressi a favore.

Alcuni giovani attivisti hanno lanciato un’iniziativa per pulire le strade di Bassora dalla spazzatura. Ma la violenza non è ancora finita.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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