Il 28 febbraio un’esplosione ha colpito la città irachena di Mosul, in un luogo simbolico e in un momento molto delicato. Due persone sono morte e venticinque sono rimaste ferite, ma l’attentato è soprattutto un campanello di allarme che fa presagire un prossimo futuro di violenza per una città che si è appena ripresa da tre terribili anni sotto il controllo del gruppo Stato islamico (Is).
I terroristi hanno scelto come obiettivo un luogo emblematico, il Complesso culturale (al Mujamma al thaqafi), nella parte orientale della città, accanto all’università. Questo è il luogo dove i primi negozi hanno riaperto dopo la sconfitta dell’Is.
Dimostrazioni di forza
L’attacco di Mosul ha coinciso con il diffondersi dell’angosciante notizia del rientro clandestino di centinaia di membri dell’Is, in fuga dai pesanti combattimenti che hanno colpito i loro ultimi rifugi in Siria nei mesi scorsi. Secondo le ultime informazioni, dopo la fine del califfato i militanti intendono creare delle basi in Iraq dalle quali poter organizzare le loro attività.
Una settimana prima dell’esplosione a Mosul alcuni membri dell’Is avevano attaccato dei civili che raccoglievano funghi nel deserto vicino alla città di Anbar. Pare che la loro nuova tattica sia quella di costituire dei piccoli gruppi di nove combattenti e colpire alcuni obiettivi specifici, per mostrare alla gente di essere ancora presenti, e pronti a infiltrarsi nelle città al momento opportuno.
Dlovan Berwari, giornalista che ha seguito la guerra a Mosul, dice di aspettarsi tempi difficili. I vertici della sicurezza in città sono troppo impegnati con i propri affari, e in lotta tra di loro per estendere il controllo sul territorio. La classica situazione di vuoto che permette all’Is di continuare a insinuarsi.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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