Le autorità irachene avvieranno una serie di controversie internazionali nei confronti degli stati che hanno partecipato o contribuito al furto e al traffico di reperti archeologici trafugati in Iraq dal 2003 in poi.
Jasem al Hamidawi, della commissione cultura e turismo del parlamento iracheno, ha dichiarato ai giornalisti: “Anche se è troppo tardi, la campagna è pur sempre necessaria e partirà a settembre, sedici anni dopo il 2003”.
Al Hamidawi ammette che le autorità irachene ancora oggi non hanno informazioni sui tragici numeri e sulle caratteristiche dei beni rubati dai musei iracheni nel 2003, e su quanti ne siano stati restituiti. Con più di 17mila siti archeologici in tutto l’Iraq senza controlli, ci sono reti criminali ancora attive nel furto e nel contrabbando di resti archeologici iracheni in connessione con reti di traffici internazionali, una delle quali è basata in Israele.
Avvertimento a vuoto
Nel maggio 2018 l’agenzia federale statunitense per le frontiere e l’immigrazione ha finalmente restituito all’ambasciata irachena a Washington 3.800 di questi preziosi reperti, tra cui tavolette con iscrizioni cuneiformi e sigilli cilindrici in argilla, che dovrebbero tornare al museo di Baghdad.
“I saccheggi e uno sviluppo caotico sono le minacce più grandi per i reperti archeologici” del paese, aveva avvertito Lamia al Gailani, archeologa irachena e ricercatrice della School of oriental and african studies di Londra, morta nel gennaio 2019.
Ne è un drammatico esempio Mosul, dove più di un terzo del sito dell’antica città assira di Ninive è stato ricoperto di case. “L’archeologia non è mai una priorità, per qualunque governo”, aveva concluso Al Gailani.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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