Nelle città irachene le notti si stanno facendo fredde ed è già arrivata la pioggia, ma i manifestanti presidiano ancora piazza Tahrir a Baghdad e le piazze di altre dieci città. Dopo otto settimane, 450 manifestanti uccisi e più di 1.600 feriti, la protesta è entrata in una nuova fase.
Nuovo sostegno giunge ora anche dalle città sunnite di Anbar, Tikrit e Mosul, a nord e a nordovest della capitale. Dieci città meridionali hanno intensificato la mobilitazione prendendo il controllo di ponti ed edifici governativi. Intanto alcune tribù si sono schierate, armi alla mano, al fianco dei manifestanti dopo che i loro figli sono stati uccisi dalle forze di sicurezza.
La protesta non si è spenta neppure dopo le dimissioni del primo ministro Adel Abdul Mahdi. I manifestanti chiedono ancora elezioni anticipate e una nuova costituzione.
Dimostrazione di forza
Con le dimissioni del premier sono cessati gli spari sui manifestanti, ma dopo la visita di emergenza del generale Qasem Soleimani, capo delle guardie rivoluzionarie iraniane, sembra essere entrata in atto una nuova strategia. Le milizie filoiraniane hanno inaspettatamente fatto irruzione in piazza Tahrir il 5 dicembre per una dimostrazione di forza contro i manifestanti. Stavolta invece di sparare proiettili o lacrimogeni, la nuova forma di repressione è cominciata con i coltelli: undici manifestanti sono stati accoltellati in piazza Tahrir in due giorni.
Finora sembra che le piazze non si siano accontentate delle dimissioni di Abdul Mahdi. Le persone scese a manifestare sono aumentate, soprattutto il 6 dicembre. Per loro le dimissioni sono state solo l’inizio. Ora in discussione c’è la legittimità del sistema di quote confessionali in vigore nel paese dal 2003.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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