Secondo il canale tv Alsumaria News, mercoledì 27 gennaio decine di detenuti con accuse di corruzione hanno avviato uno sciopero della fame nelle carceri irachene per protestare contro quelli che definiscono “processi farsa”, nei quali sarebbero negati il loro diritto alla difesa e le deposizioni dei testimoni. Secondo i protagonisti della contestazione le sentenze contro di loro sono “false, ottenute sotto torture e minacce”.
La maggior parte dei detenuti in questione sono ex manager di banche appartenenti ai principali partiti e funzionari governativi di secondo rango nominati ai loro posti negli otto anni di governo dell’ex primo ministro Nouri al Maliki (2006-2014), tutti pilastri fondamentali del suo “stato profondo”.
Sono detenuti in due carceri. Uno di questi, Rehab, prima del 1958 era stato il palazzo del re dell’Iraq Faisal ibn al Hussein, trasformandosi poi sotto Saddam Hussein in luogo di torture, dal 1968 al 2003. In seguito è diventato il quartier generale dell’intelligence irachena guidata da Mustafa al Kadhimi, prima che fosse nominato primo ministro nel maggio del 2020. Il secondo dei due carceri si trova invece a pochi isolati dall’aeroporto di Baghdad.
Sei rappresentanti dei partiti più importanti hanno sollevato la questione dei detenuti in parlamento contro il primo ministro Al Kadhimi e il suo fedele generale Abdul Wahab al Saadi, capo dell’antiterrorismo, definendolo un “nuovo scandalo”.
Nelle ultime settimane i deputati hanno per due volte interrotto le sedute dell’aula per denunciare alcuni funzionari del governo, in particolare il direttore della banca centrale e il presidente della commissione comunicazione e mezzi d’informazione, entrambi accusati di corruzione.
Con circa seimila progetti interrotti a causa della corruzione, i due casi rivelano l’incapacità di Al Kadhimi, al pari dei suoi predecessori, di resistere alla corruzione. Il premier ha costituito venti commissioni anticorruzione, senza che i loro risultati siano mai stati resi pubblici. I leader di partito si oppongono a qualsiasi passo in avanti. Per questo l’Iraq è ancora al sesto posto su 180 paesi nella classifica sulla corruzione stilata nell’ultimo rapporto di Transparency international.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it