Il 26 maggio il governo di Mustafa al Kadhimi è stato sull’orlo delle dimissioni, sotto la pressione delle milizie che hanno assediato la Zona verde e il governo. Il conflitto si è innescato dopo l’arresto da parte delle forze di sicurezza di Qasim Muslih, uno dei massimi leader delle milizie, sulla base della legge antiterrorismo.
I combattenti delle milizie, armati di tutto punto (lanciarazzi compresi), hanno circondato la Zona verde minacciando il premier in persona. Il tentativo può considerarsi una replica di episodi precedenti, che solitamente si concludevano con un compromesso che prevedeva il rilascio del detenuto in cambio del ritiro delle milizie. Ma stavolta la storia è andata diversamente.
L’arresto di Muslih è avvenuto il giorno dopo le grandi manifestazioni del 25 maggio, a cui hanno partecipato persone provenienti da diverse città irachene, arrivate in sostegno dei dimostranti a Baghdad. Su molti dei loro cartelloni campeggiavano le immagini dei contestatori morti durante le manifestazioni, accompagnate tutte dalla stessa domanda: “Chi mi ha ucciso?”. L’interrogativo è rivolto ad Al Kadhimi, che all’inizio del suo incarico aveva promesso di assicurare alla giustizia i responsabili degli assassinii, ma finora non l’ha fatto. Molti manifestanti hanno dichiarato che non parteciperanno al voto previsto a ottobre, delusi da un sistema che non è stato in grado di proteggerli.
Secondo fonti segrete, durante le indagini Muslih avrebbe confessato la propria responsabilità in molti omicidi avvenuti nella sua città, Kerbala, e avrebbe anche ammesso di essere stato il mandante di molte altre uccisioni, comprese quelle dell’attivista Ihab al Wazn il 9 maggio scorso e dell’attivista Fahim al Taie nel dicembre del 2019.
L’episodio è stato un difficile test per Al Kadhimi, sotto la pressione di due forze contrastanti: da un lato i manifestanti, che esigono l’identificazione dei colpevoli, dall’altra le milizie che continuano a chiedere il rilascio di Muslih e pretendono il silenzio del primo ministro sulle altre uccisioni.
Il compromesso non è stato semplice come in passato. Si è trattato di una minaccia allo stato, come dimostra il vertice urgente che si è tenuto tra le tre cariche più alte, il presidente, il presidente della camera e il primo ministro. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha espresso il suo “forte” sostegno ad Al Kadhimi e ha “condannato gli atti che minano la stabilità dell’Iraq”. Questa non sarà la fine, ma una nuova fase nelle tensioni dentro e fuori il paese.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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