Trovare argomenti contro la riforma della legge sul suicidio assistito (in cui una persona si autosomministra un farmaco letale con l’aiuto indiretto di un medico) è legittimo. D’altronde succede con qualsiasi legge. Considerata la delicatezza del tema, la prudenza è più che giustificata. Ma questo significa che dobbiamo lasciare le cose come stanno? Le ragioni di chi è contrario devono spingerci ad abbandonare l’idea di cambiare la legge?
Voglio cominciare illustrando le motivazioni di chi è favorevole a una riforma. Prima di tutto, se fossi un malato terminale, vorrei poter avere il controllo sulla mia morte, per far sì che fosse dignitosa e indolore. Avrei bisogno di assistenza medica e vorrei che la legge non mi mettesse i bastoni tra le ruote. Quest’argomentazione – e il gran numero di persone che la sostiene – hanno spinto il sistema ad accettare un compromesso. In teoria è illegale aiutare una persona che ha scelto di smettere di vivere, ma in pratica le condanne sono rare. Tuttavia il protocollo per stabilire se è stato commesso un reato è complesso, un calvario per la famiglia del defunto. E anche se stabilisce che l’intervento della giustizia non serve, un marito che ha accompagnato la moglie in Svizzera può sempre scoprire che gli sarà vietato di ereditarne i beni.
Riconosco che indagini così invadenti sono giustificate dal fatto che a volte le persone vogliono davvero sbarazzarsi dei loro parenti. È una realtà che noi sostenitori della riforma non possiamo negare.
Ciò non vuol dire, però, che approvare una nuova legge possa facilitare questi individui nei loro intenti criminali. Più penso alla tesi di chi lo sostiene – ripetuta di continuo – più mi convinco che alla fine sia un argomento a favore della riforma. Mi spiego: abbiamo già una legge sul fine vita, ma è imperfetta. Con l’Assisted dying bill non ci sarebbe una rivoluzione, ma la modifica di un testo già in vigore, che garantirebbe quattro vantaggi rispetto al sistema attuale. Innanzitutto sarebbe possibile chiedere l’assistenza di una persona con una qualifica medico-sanitaria valida nel Regno Unito. Oggi ci si può rivolgere solo a “dilettanti”, che possono assistere chi vuole morire o aiutarlo ad andare all’estero.
In secondo luogo l’assistenza sarebbe disponibile nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, mentre oggi c’è chi è costretto addirittura ad affittare un aereo privato per portare i propri cari a morire all’estero.
La riforma, inoltre, renderebbe la procedura più semplice e sicura nei casi in cui (la maggioranza) gli amici e i parenti del soggetto vorrebbero semplicemente stargli vicino nel momento della morte.
Infine c’è il ragionamento che considero decisivo: grazie alla riforma, i controlli delle autorità sanitarie e giudiziarie per contrastare le eventuali intenzioni criminali dei parenti si svolgerebbero prima della morte dell’individuo. Secondo la legge attuale, invece, le verifiche scattano quando ormai è troppo tardi per agire. Mi sembra un punto cruciale.
Non mi piace l’idea che esistano persone indifese (per quanto i casi siano rari) che sono vulnerabili a ogni genere di pressione da parte di chiunque abbia la possibilità di influenzarle. Preferisco che ci siano controlli professionali prima che qualcuno lasci questo mondo. La nuova legge, presentata in parlamento il 16 ottobre, rappresenta la soluzione più sicura.
Proprio per questi motivi in Canada la legge sul suicido assistito è sostenuta dall’84 per cento della popolazione, cifra che sale all’89 per cento tra le persone con più di 55 anni. Nessuno vuole cambiarla. Questo mi sembra un fatto dirimente. Anche se i miei precedenti ragionamenti non vi hanno convinto, questi numeri non potranno lasciarvi indifferenti. In Canada il dibattito è stato simile a quello britannico, e la nostra legge è più restrittiva di quella canadese. Pensate davvero che se molti anziani fossero morti contro la propria volontà, la legge canadese sarebbe ancora così apprezzata? ◆ as
Daniel Finkelstein è un giornalista e politico britannico, columnist del quotidiano The Times. Dal 2013 è membro della camera dei lord per il Partito conservatore.Nel 2023 ha scritto (Londra), sulla storia e le persecuzioni subite dalla sua famiglia durante la seconda guerra mondiale.