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Il muro voluto dalla destra ungherese contro i profughi è inutile

Soldati ungheresi costruiscono la recinzione vicino a Hercegszántó, al confine tra Ungheria e Serbia, il 25 agosto 2015. (Tamas Soki, Epa/Ansa)

Il 15 settembre in Ungheria è entrato in vigore un arsenale legislativo estremamente coercitivo ed è stata terminata la costruzione della recinzione di reti e filo spinato alla frontiera con la Serbia, destinata a chiudere la principale porta d’ingresso dell’area Schengen. Filmata dalle telecamere di tutto il mondo, questa operazione ha un duplice obiettivo: mostrare al paese che il governo non ha perso il controllo della situazione e convincere i richiedenti asilo e i migranti a non passare dall’Ungheria.

In realtà, da allora, hanno oltrepassato la fortezza ungherese quasi settantamila persone. Stavolta attraverso la Croazia (si vedano le statistiche della polizia ungherese).

Alcuni migranti continuano a presentarsi ai punti d’ingresso ufficiali della frontiera serboungherese ma la loro domanda d’asilo è respinta, in evidente violazione delle direttive europee, come riferisce il dettagliato rapporto della sezione ungherese del Comitato Helsinki.

A sostegno delle operazioni di polizia sono stati mobilitati migliaia di soldati, equipaggiati di mezzi blindati

Quelli che si prendono il rischio di attraversare il filo spinato, sono arrestati e poi espulsi dal paese, con il divieto di ripresentarsi nell’area Schengen per uno o due anni. Dunque, la nuova norma che criminalizza l’attraversamento di questa frontiera non comporta mai, nella pratica, le pene detentive previste dalla legge.

Grazie al “muro” eretto lungo la frontiera serba, gli ungheresi sono quindi riusciti a deviare il flusso di migranti verso ovest, ma non tanto quanto speravano. Infatti, invece di aprire un nuovo corridoio migratorio verso la Slovenia e poi l’Austria, i croati riportano subito i migranti a bordo di autobus fino alla frontiera ungherese, che è molto meno distante. Questo crea degli attriti diplomatici, e le autorità ungheresi, infuriate, non possono fare altro che lasciare entrare i migranti e occuparsi di loro.

Gli ungheresi avevano “forzato” la frontiera austriaca all’inizio di settembre. Ora tocca ai croati fare lo stesso con la frontiera ungherese. Le autorità ungheresi li registrano e poi, a loro volta, li riportano in autobus fino alla frontiera austriaca, accompagnati da una scorta militare.

A sostegno delle operazioni di polizia sono stati mobilitati migliaia di soldati, equipaggiati di mezzi blindati e di fucili d’assalto caricati con proiettili di plastica per dissuadere qualsiasi tentativo dei migranti di passare con la forza, oltre che per soddisfare (in parte) le esigenze del partito neonazista Jobbik.

Lontano dagli occhi

Dunque, per il primo ministro Viktor Orbán non si tratta più di gridare al degrado (si era impegnato a “riportare l’ordine prima di Natale”) e di abbandonare migliaia di persone a loro stesse nella capitale. Budapest non ha più migranti dall’inizio di settembre e nella stazione di Keleti, che nel momento peggiore della crisi di agosto era il luogo più caldo, la popolazione dei senzatetto abituali ha ripreso il suo posto, occupando le tende che erano state messe in strada per i rifugiati.

Ormai la crisi migratoria deve svolgersi lontano dagli occhi della popolazione e l’isteria dei mezzi d’informazione asserviti al potere si è improvvisamente calmata, come se la crisi fosse già acqua passata.

Budapest comunque vuole continuare a mostrarsi inflessibile. I quaranta chilometri della “frontiera verde” con la Croazia (nei rari punti nei quali non coincide con l’ostacolo naturale del Drava, un affluente del Danubio) dovrebbero essere circondati da filo spinato nelle prossime due settimane.

Il governo Orbán, per calcolo strategico o per questioni di ordine pratico, ha proposto la creazione di un corridoio tra i paesi balcanici e la Germania che dovrebbe passare attraverso l’Ungheria. “Se si decide di non sostenerci in questo sforzo [di far rispettare gli accordi di Schengen], allora occorre dirci chiaramente che l’accordo di Schengen non è più vincolante, così creeremo un corridoio attraverso il quale i migranti possano raggiungere l’Austria e la Germania”. La cosa suona anche come una minaccia: se l’Austria e la Germania non sostengono l’Ungheria nel suo ruolo di guardiano delle frontiere Schengen, che si preparino alle conseguenze.

Il dovere morale di aiutare i profughi

È vero che, viste da Budapest che ha l’incarico di controllare la frontiera esterna dell’area Schengen, le posizioni della Germania e dell’Austria sono spesso apparse ambigue e contraddittorie. I messaggi d’accoglienza lanciati da Berlino, mentre in privato faceva pressione sull’Ungheria perché facesse rispettare in maniera rigorosa le regole di Schengen e Dublino, hanno messo le autorità ungheresi in una posizione insostenibile. Per fortuna fino a oggi, contrariamente a quanto si temeva, i poliziotti non hanno perso il controllo e anche i più accesi oppositori di Orbán ammettono che la polizia ungherese ha dato prova di professionalità.

La popolazione ungherese non è totalmente succube della propaganda governativa

Attraverso il suo collaboratore János Lázár, il primo ministro ungherese ha sparato a zero sulla cancelliera tedesca e le sue dichiarazioni “irresponsabili”. Ha denunciato “l’imperialismo morale” tedesco, pur mostrandosi disposto ad aiutare, al meglio delle sue possibilità, la Germania che si trova “in una situazione delicata”.

Radio France Internationale racconta che alcuni fili spinati che erano stati frettolosamente apposti sulla frontiera tra Ungheria e Slovenia sono stati, altrettanto rapidamente, smantellati: segno che il governo Orbán resta ancora sotto osservazione. Che ci sia dietro l’intervento di Bruxelles, visto che anche la Slovenia appartiene allo spazio Schengen?

Un’inchiesta pubblicata dall’istituto Publicus rileva che, sebbene la popolazione ungherese sia in maggioranza (55 per cento) contraria all’idea di accogliere dei profughi, non è totalmente succube della propaganda governativa. Due terzi degli ungheresi ritengono che aiutare i migranti sia un dovere morale.

Secondo Publicus, l’opinione pubblica si dichiara moderatamente soddisfatta della gestione della crisi attuata dal governo guidato da Fidesz, il partito del primo ministro. Proprio Fidesz resta di gran lunga la formazione politica più popolare anche se, data l’astensione molto forte, è sostenuto in realtà da meno di un quarto dell’elettorato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo reportage è stato pubblicato su Mediapart all’interno del progetto#OpenEurope, un osservatorio sulle migrazioni a cui Internazionale aderisce insieme ad altri nove giornali. Gli altri partner del progetto sono Mediapart (Francia), Infolibre (Spagna), Correct!v (Germania), Le Courrier des Balkans (Balcani), Hulala (Ungheria), Efimerida ton syntakton (Grecia), VoxEurop, Inkyfada (Tunisia), CaféBabel, BabelMed, Osservatorio Balcani e Caucaso, Migreurop, Resf, Centro Primo Levi, La cimade, Medicins du monde.

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