Secondo il medico legale, Niculas Fernando è morto tra le 9.33 e le 10.44 del 22 novembre 2014 nel centro di detenzione per immigrati di Tokyo. Ma le guardie si sono accorte che c’era qualcosa che non andava dopo le 13. Eppure, Fernando era stato trasferito in una cella monitorata da telecamere a circuito chiuso, dopo aver accusato un dolore toracico acuto. Le guardie sono entrate nella cella e hanno cercato di rianimarlo soltanto dopo essere state avvertite da un altro detenuto. L’uomo giaceva a faccia in giù su un materasso macchiato della sua urina. Era morto.

Fernando, un devoto cattolico singalese, era andato in Giappone a trovare il figlio, che vive in un quartiere alla periferia di Tokyo e lavora nella cucina di un ristorante. È stata la quarta persona a morire in un centro di detenzione giapponese nel giro di 13 mesi. Dal 2006 in queste strutture sono morte dodici persone, quattro di loro si sono suicidate. Secondo i dati dell’istituto in cui è morto Fernando, in quel centro 14 detenuti hanno cercato di uccidersi o di provocarsi delle lesioni nel corso del 2015.

Un’indagine della Reuters sulle circostanze della morte di Fernando, con decine di interviste a detenuti, funzionari e medici, ha rivelato gravi carenze nel trattamento e nel monitoraggio sanitario dei migranti trattenuti nei centri del Giappone. Guardie con scarsa formazione medica prendono decisioni importanti sulla salute dei detenuti.

I dottori visitano alcuni dei principali istituti del paese soltanto due volte a settimana. E nel fine settimana non c’è personale sanitario in servizio in nessuna delle strutture di detenzione per immigrati, che nel 2014 hanno ospitato oltre 13.600 persone. Tre dei quattro detenuti morti tra l’ottobre del 2013 e il novembre del 2014 sono deceduti mentre non c’era un medico in servizio. Come Fernando. E come Fernando anche un altro migrante è morto in una cella di osservazione.

Dal giugno del 2015 sono state esaminate 10.830 domande di asilo: un record per il Giappone

Anche in Giappone si è registrata un’impennata del numero di persone che sbarcano sulle coste in cerca di protezione. Dal giugno del 2015 sono state esaminate 10.830 domande di asilo: sono poche per gli standard europei, ma rappresentano un record per il Giappone, una nazione che è stata a lungo riluttante ad accogliere gli stranieri.

A febbraio in una struttura di Osaka più di 40 detenuti hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni in cui si trovano, prima tra tutte la scarsa assistenza medica.

Anche i controlli sono limitati. Gli incaricati di eseguire dei controlli sui 17 centri di detenzione del paese sono nominati dal ministro della giustizia. Le relazioni vengono però emendate dal ministero della giustizia prima di essere rese pubbliche, e così il ministero non ha preso alcun provvedimento per migliorare l’assistenza medica nei centri.

Un rapporto del gruppo di supervisione afferma che le guardie del centro “hanno valutato male la gravità” delle condizioni di Fernando. Secondo il rapporto, non avendolo trasferito immediatamente in ospedale, “hanno perso l’occasione di evitare la sua morte”.

Il ministro della giustizia Mitsuhide Iwaki ha affermato che i rapporti da lui ricevuti dimostrano che in tutti e quattro i casi di morte erano stati presi “provvedimenti medici adeguati”. “Non ravviso problemi nell’intervento prestato o nell’assistenza medica fornita”, ha detto.

Un detenuto in un centro di detenzione a Tokyo, il 2 dicembre 2015. (Reuters/Contrasto)

In Sri Lanka Fernando gestiva un’agenzia di viaggi specializzata in pellegrinaggi. Quando è arrivato in Giappone non vedeva suo figlio George da otto mesi. Prima di partire, aveva visitato le tante chiese di Chilaw, la città costiera in cui viveva.

Su un tavolo della casa dove lui e la moglie hanno vissuto da quando si sono sposati nel 1983, c’è una foto incorniciata di Fernando. Margret, seduta sul divano, piange in silenzio dopo aver ricordato le ultime parole di Fernando prima di imbarcarsi sull’aereo per il Giappone: “Tornerò. Pensa ai bambini”. Non è mai tornato. Non è riuscito nemmeno a entrare in Giappone: non ha superato i controlli dell’immigrazione dell’aeroporto Haneda di Tokyo.

George e sua moglie aspettavano Fernando nella hall degli arrivi alle 23 del 12 novembre. Alle 2 hanno saputo che era stato trattenuto dai funzionari dell’immigrazione perché non credevano che fosse un vero turista. “Ci sarebbe piaciuto moltissimo sentire la voce di mio padre, ma non gli hanno dato la possibilità di parlare con noi”, ha detto George, 27 anni. Due giorni dopo, George è riuscito a vederlo. Si sono incontrati in una stanzetta dell’aeroporto di Haneda, separati da un vetro.

George ha spiegato che suo padre era un sostenitore del Partito nazionale unito (Unp), che in passato era stato bersaglio di violenza politica e che attualmente guida la coalizione di governo. La possibilità di elezioni anticipate stava diventando sempre più concreta, e quindi è probabile che Fernando avesse programmato il viaggio in Giappone in modo da non partecipare al voto ed evitare eventuali ritorsioni.

Ma dopo l’arresto all’aeroporto, avrebbe dovuto accettare l’espulsione con un foglio di via in tasca. Secondo suo figlio, allora, Fernando ha preso una decisione sorprendente, cioè quella di chiedere asilo. In questo modo sarebbe rimasto in Giappone finché la sua domanda non fosse stata esaminata. Se fosse andato tutto liscio, sarebbe tornato a casa dopo le elezioni.

Le richieste di asilo sono più che sestuplicate dal 2010, quando sono cambiate le leggi sull’immigrazione

Le elezioni nello Sri Lanka sono state ufficialmente annunciate il 20 novembre. Fernando è morto due giorni dopo. Prima di poter compilare i moduli per la richiesta di asilo. Le richieste di asilo si sono più che sestuplicate dal 2010, quando in Giappone sono cambiate le regole sull’immigrazione.

Le modifiche consentono ai richiedenti asilo di ottenere un permesso di lavoro di sei mesi (poi rinnovabile) mentre viene esaminata la loro domanda. Ma quando si tratta di concedere lo status di rifugiato il Giappone lesina: nel 2015 sono state accettate solo 27 domande. Questa rigidità e la cronica carenza di manodopera hanno generato negli anni un grosso flusso di immigrazione clandestina.

Una cella nel centro di detenzione di Ushiku, nella prefettura di Ibaraki, il 19 marzo 2015. (Yuya Shino, Reuters/Contrasto)

Cinque giorni dopo il suo arrivo, Fernando è stato trasferito dalla cella all’interno dell’aeroporto all’ufficio regionale per l’immigrazione, un palazzone affacciato sulle banchine e sull’inceneritore dei rifiuti. La struttura funziona sia come sportello unico per il rinnovo dei visti, i colloqui per l’asilo e gli ordini di espulsione, sia come centro di detenzione per un massimo di 800 persone.

Fernando è stato messo in una cella del blocco G con altri due detenuti, un cinese e un peruviano. Il sabato mattina in cui è morto, James Burke, un canadese che si trovava nella cella accanto, è stato svegliato dalle grida del singalese. Erano circa le 7. I rumori attraversano facilmente i muri dell’edificio e Fernando era chiaramente in preda al dolore: “Non faceva che gemere e lamentarsi”, ha affermato Burke.

Il compagno di cella peruviano ha chiamato le guardie e ha chiesto di portarlo in ospedale perché aveva male al petto. Secondo Burke e altri due detenuti che hanno assistito agli eventi, le guardie si sono rifiutate spiegando che il sabato gli ospedali sono chiusi.

Una catena di responsabilità

Nel raggio di pochi chilometri dal centro di detenzione, nei fine settimana sono aperti ventiquattr’ore su ventiquattro almeno due ospedali, compreso l’ospedale centrale Saiseikai, in cui il corpo di Fernando sarebbe stato portato ormai senza vita, quello stesso giorno. Il garante dei detenuti del ministero della giustizia Naoaki Torisu ha argomentato che “i suoi sintomi non sembravano così gravi. Se le sue condizioni fossero peggiorate, avremmo chiamato un’ambulanza o l’avremmo portato in ospedale senza indugio”.

Alle 7.30, secondo un rapporto interno dell’ufficio regionale dell’immigrazione di Tokyo, le guardie hanno misurato a Fernando il polso e la pressione. Secondo Torisu non hanno trovato nessuna anomalia.

Ma poco dopo Fernando ha chiamato di nuovo le guardie, questa volta a voce più alta. “Stava davvero male”, ha ricordato Burke, che in quel momento era trattenuto perché aveva il visto scaduto e ora è in libertà provvisoria. “Li implorava: ‘Sono cristiano e non potrei mentire. Se non vado in ospedale morirò’”.

Poco prima delle 8, le guardie hanno portato Fernando in una stanza per controllare le sue condizioni. Un rapporto dell’ufficio nazionale dell’immigrazione, che dipende dal ministero della giustizia, afferma che le guardie “non hanno potuto cogliere la gravità” della situazione perché un altro detenuto singalese che faceva da interprete non traduceva bene le parole di Fernando.

Poco dopo, quando è tornato nella sua cella, secondo Burke il singalese sembrava sollevato. Ha radunato la sua Bibbia e i suoi vestiti. “Glielo leggevi in faccia: raccoglieva la sua roba pensando che avrebbe ricevuto aiuto.”

Fernando non è stato portato in ospedale. Le guardie lo hanno trasferito in una cella di osservazione

Ma Fernando non è stato portato in ospedale. Alle 8.16 le guardie lo hanno trasferito in una cella di osservazione equipaggiata con telecamere a circuito chiuso per controllare ventiquattr’ore su ventiquattro i detenuti malati, indisciplinati o con comportamenti autolesionistici.

Verso le 9, dalla sua cella Fernando ha di nuovo chiamato le guardie. Queste ultime, secondo Burke e altri due detenuti, gli hanno detto di aspettare che finisse l’appello del mattino. Alle 9.22 Fernando si sarebbe lavato le mani e avrebbe vomitato. Poi, secondo il rapporto sulla sua morte dell’ufficio regionale dell’immigrazione di Tokyo, si è steso a faccia in giù su un futon. Alle 9.33 ha smesso di muoversi.

Guardie all’interno del centro di detenzione di Ushiku, nella prefettura di Ibaraki, il 19 marzo 2015. (Yuya Shino, Reuters/Contrasto)

Pochi minuti dopo, una guardia ha portato un televisore nella cella di Fernando. Lo ha chiamato, ma Fernando non ha risposto. Pensando che il singalese fosse addormentato, la guardia è uscita. Per lo stesso motivo, le guardie non hanno controllato Fernando nelle ore successive.

Poco dopo le 13, quando si aprono le porte delle celle per consentire ai detenuti la pausa pomeridiana, il singalese che aveva fatto da interprete per Fernando è corso nella cella di osservazione. La colazione di Fernando – pane bianco, marmellata e uovo sodo – era intatta. Non si muoveva. Il suo corpo era freddo. Avvertite dai detenuti, le guardie si sono precipitate nella cella di osservazione. Erano le 13.03, tre ore e mezza dopo che Fernando aveva dato gli ultimi segni di vita.

I detenuti hanno descritto una scena infernale: i reclusi affollavano il corridoio che porta alla cella e alcune guardie, temendo disordini, avevano caschi, scudi e manganelli. Una guardia ha praticato a Fernando la rianimazione cardiorespiratoria, ma era troppo tardi.

Come hanno raccontato due detenuti, è stata chiamata un’ambulanza e il suo corpo, con il volto coperto, è stato portato fuori dal blocco G su una barella. Due ore dopo è stato dichiarato morto. Aveva 57 anni.

Secondo l’ufficio immigrazione c’era la possibilità che il centro di detenzione non avesse fornito un’assistenza medica adeguata

Koichi Uemura, il medico legale incaricato dall’ufficio nazionale dell’immigrazione di scrivere un referto autoptico approfondito sulla morte di Fernando, ha detto a Reuters che gli è stato permesso di vedere il video del singalese nella cella di osservazione. Dalle immagini era possibile capire che Fernando, prima di sdraiarsi, soffriva e gemeva.

Uemura ha dichiarato che è stato incaricato di redigere un rapporto dopo che l’ufficio immigrazione aveva indagato sulla morte di Fernando e scoperto che “c’era una possibilità abbastanza alta che il centro di detenzione non avesse fornito un’assistenza medica adeguata, e che le sue condizioni si sono aggravate perché era stato lasciato privo di cure”. Uemura, medico presso l’università di medicina e odontoiatria di Tokyo, esegue autopsie per la polizia e i tribunali. Nel suo referto ha omesso che la morte di Fernando poteva essere evitata se le guardie lo avessero portato in ospedale.

Il ministero della giustizia ha respinto la richiesta della Reuters di divulgare il video della cella di osservazione, citando motivi di privacy.

Richieste inascoltate

Fin dal 2010 la commissione di sorveglianza delle strutture di detenzione per immigrati (un organismo di garanzia composto da 20 persone) ha ripetutamente chiesto dei miglioramenti nell’assistenza sanitaria all’interno dei centri. Sei membri della commissione, presenti e passati, hanno detto alla Reuters che le raccomandazioni più importanti sono rimaste inascoltate.

Ed è per questo che protestano i detenuti. Quelli che hanno iniziato lo sciopero della fame nel centro di detenzione di Osaka hanno scritto a mano due lettere in cui lamentano la limitata disponibilità di personale medico e affermano che guardie prive di formazione medica fanno valutazioni sul loro stato di salute. Ma la loro protesta non ha smosso le autorità.

Tomohisa Takayama, portavoce dell’ufficio regionale dell’immigrazione di Osaka, ha sostenuto che non c’era alcun “motivo ragionevole” alla base dei reclami, e che lo sciopero della fame si è concluso dopo cinque giorni.

A maggio un ex componente dell’organismo di controllo ha scritto all’allora ministro della giustizia Yoko Kamikawa chiedendo medici a tempo pieno presso le strutture di detenzione, un monitoraggio più scrupoloso dei detenuti malati e una migliore assistenza psichiatrica.

Ma l’organismo garante ha ben poco potere. Non esegue ispezioni senza preavviso. Le visite che compie nei centri di detenzione sono organizzate e scortate dai funzionari dell’immigrazione.

Inchiesta censurata

Dopo questi decessi i cambiamenti sono stati pochi. Le guardie hanno ricevuto “nuove istruzioni per chiamare le ambulanze” se hanno problemi nel “fare valutazioni”, ha dichiarato il funzionario del ministero della giustizia Torisu. E nell’intero sistema di detenzione, che il 1° novembre dello scorso anno ospitava 1.070 detenuti, soltanto due guardie hanno ricevuto una formazione da assistente infermiere.

George non ha ricevuto nessun rapporto sulla morte di Fernando. Il 19 dicembre, quasi un mese dopo aver perso suo padre, ha ricevuto il certificato di morte. La risposta che cercava non c’era: la causa del decesso risultava “sconosciuta”.

Lo stesso giorno, Fernando è stato cremato a circa cinque chilometri dal centro di detenzione in cui è morto. La sua famiglia aveva sperato in una sepoltura cattolica a Chilaw, ma non si è potuta permettere il trasporto della salma. Jude, il suo terzo figlio che è andato in Giappone per il funerale, ha fatto richiesta di asilo.

Ci sono voluti altri tre mesi perché la famiglia venisse a sapere dal ministero degli esteri dello Sri Lanka che Fernando era morto per un attacco cardiaco. Il ministero della giustizia non ha reso noti i risultati dell’inchiesta sul caso né li ha trasmessi alla famiglia.

In risposta a una richiesta di divulgazione, la Reuters ha ricevuto una copia del rapporto dell’ufficio nazionale dell’immigrazione dello scorso marzo. Era pesantemente censurata. Nella sezione intitolata “Problemi” tutte le righe erano state cancellate.

(Traduzione di Cristina Biasini)

Questo reportage è stato pubblicato dall’agenzia britannica Reuters.

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