La via dell’Amore, in una giornata dalle nuvole gonfie di pioggia e con le previsioni meteo che segnano “allerta rossa”, restituisce al visitatore una sorta di meravigliosa tristezza. La vertiginosa vista sul mare e la natura selvaggia contrastano con le briglie e i cavi d’acciaio che imbrigliano le falesie. Soprattutto, imboccato da Manarola lo scenografico sentiero, dopo appena duecento metri si sbatte contro una rete metallica che non permette di proseguire.

La via dell’Amore è chiusa da quattro anni, dal giorno in cui un pezzo di costa franò senza avvisaglie su quattro malcapitate turiste australiane, ferendo gravemente due di loro. Finora è stato riaperto solo il tratto iniziale, grazie a un milione e mezzo stanziato dalle Ferrovie dello stato e ad altri 600mila euro forniti dalla regione Liguria.

Una misura appena sufficiente a garantire ai 300mila turisti scaricati ogni anno da Trenitalia (al costo di 16 euro per la Cinque Terre card, dieci dei quali vanno alla compagnia ferroviaria) alla vicina stazione di Manarola di poter scattare l’immancabile foto ricordo con il paesino e le caratteristiche abitazioni scavate nella roccia sullo sfondo. Per il resto, tutti attendono l’arrivo dei tre milioni promessi dal ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti per mettere in sicurezza e riaprire la “perla” delle Cinque Terre.

Marchio italiano
È questo il biglietto da visita delle Cinque Terre a cinque anni dall’alluvione che coprì di fango e detriti Vernazza e Monterosso, uccidendo tredici persone, e a quattro dal crollo sulla via dell’Amore. Ma il turismo non pare risentirne.

Luca Natale in questi giorni è al lavoro sul bilancio sociale del parco nazionale e snocciola dati appena elaborati: due milioni e mezzo di visitatori nell’anno appena trascorso, tra i quattro e i cinquemila crocieristi al giorno sui 600mila che arrivano al porto di La Spezia. Fatta eccezione per i mesi di gennaio e febbraio, i 3.300 posti letto della ricettività alberghiera e dei b&b sono quasi sempre occupati, al 90 per cento da stranieri. Le Cinque Terre rimangono uno dei più importanti marchi italiani fuori del nostro paese.

Lungo questa striscia di terra in cui la montagna incontra direttamente il mare, parlare del tempo è una cosa seria

Anche oggi che è ottobre inoltrato e le avvisaglie meteorologiche sconsiglierebbero qualsiasi gita, ogni venti minuti i treni regionali scaricano centinaia di crocieristi con le immancabili guide e altrettanti “backpacker” europei.

Natale li osserva dal suo ufficio, allargando le braccia: “Quando c’è allerta rossa invitiamo i turisti a non venire qui e non vendiamo la carta ferroviaria, ma puntualmente spuntano guide abusive con ombrellino e paletta”.

Per chi ha il dovere di difendere il territorio e l’incolumità delle persone, come il pugno di carabinieri e forestali o gli appena otto dipendenti del parco, fatti salvi il presidente e il direttore, è un problema di non poco conto: i piani di protezione civile in caso di alluvione prevedono un fortissimo lavoro di prevenzione, con accessi limitati per ogni tipo di allerta. Difficile gestire numeri così elevati, per un territorio che conta in tutto appena quattromila abitanti e pochissime spiagge.

Sulla strada provinciale 38 Monterosso-Vernazza, nell’ottobre del 2012. (Piero Papa)

Si tratta di un turismo poco sostenibile e allo stesso tempo di un business per tutti: albergatori e ristoratori, proprietari di b&b e seconde case, e pure per Trenitalia che ha aumentato le corse locali.

Proteggere e valorizzare il territorio
Nelle Cinque Terre, grazie alle migliaia di visitatori quotidiani, non esiste disoccupazione, la povertà di un tempo è un lontano ricordo e al parco nazionale devono barcamenarsi tra il mandato di proteggere il territorio e quello di valorizzarlo attirando visitatori, senza scontentare nessuno.

Lo fanno cercando di portare i turisti fuori dalle rotte consuete, valorizzando la rete di sentieri lunga cento chilometri che un tempo serviva a collegare i paesi tra loro o per trasportare le uve durante la vendemmia, utilizzando i quattro euro a loro destinati sui 16 del costo totale della Cinque Terre card, grazie alla quale i turisti possono salire e scendere dai treni che fermano in ogni paese. Con il gruzzoletto raccolto risistemano la segnaletica e i percorsi più ostici, per renderli fruibili agli escursionisti.

Provano a far ripartire l’agricoltura, abbandonata per il più redditizio e meno faticoso turismo: nel 1950 si contavano 1.500 ettari di coltivazioni e ottomila impiegati, ora appena un centinaio e ben pochi contadini e vignaioli. Sono capofila per la comunicazione in un progetto europeo sull’erosione costiera: i soldi serviranno a mappare pure le falesie in movimento.

Stanno anche meditando di installare dei contapersone sui sentieri più gettonati per gestire il traffico pedonale e hanno ingaggiato duecento guide per portare i turisti in zone meno battute. Da qualche tempo sono coinvolti con le altre istituzioni in una discussione controversa sull’introduzione del numero chiuso: oltre una certa soglia di ingressi, le Cinque Terre sarebbero off limits.

Se giri per Monterosso e Vernazza non ti accorgi di nulla, il dissesto è tutto intorno

Da Manarola a Monterosso, lungo questa striscia di terra in cui la montagna incontra direttamente il mare, parlare del tempo è una cosa seria e questo sfugge a chi non ha vissuto sulla propria pelle le esondazioni dei torrenti e non ha visto l’acqua arrivare ai piani alti delle abitazioni, sommergendo e travolgendo ogni cosa lungo il suo passaggio. Se ne parla ovunque con apprensione e a ogni avvisaglia di pioggia cittadini e negozianti tirano fuori sacchi di sabbia e assi di legno a proteggere portoni e vetrine, mentre display luminosi avvertono del grado di allerta.

Prima del 25 ottobre 2011, da queste parti si ricordava quanto accadde la sera del 2 ottobre 1966, un mese prima che l’Arno esondasse a Firenze e gli “angeli del fango” accorressero da tutta Italia per mettere in salvo i dipinti degli Uffizi. Quel giorno le strade principali di Monterosso si riempirono di fango, allagando cantine, abitazioni, bar, negozi e trascinando a mare le barche, che qui sono abitualmente tirate su e parcheggiate lungo le strade.

Il fango nelle dita
Ma quanto accaduto cinque anni fa ha offuscato la memoria del disastro precedente: le strade principali di Monterosso e Vernazza si sono trasformate in fiumi in piena, trascinando in mare di tutto, e il livello dei detriti nelle strade ha superato il record precedente. I negozi sono stati sommersi e al livello dei pianterreni ogni cosa è stata distrutta. I sopravvissuti ne sono rimasti profondamente segnati. Da quel giorno il fotografo Piero Papa ha sviluppato una sua personale ossessione: mantenere le unghia corte. “Le taglio in continuazione perché ho paura di sentire il fango nelle dita come in quei giorni”, spiega.

Papa vanta un primato del tutto personale: ha visto crollare la sua casa nel centro storico di L’Aquila nel terremoto del 2009 ed è scampato ai monsoni liguri. Da allora, ha provato a documentare le magagne della ricostruzione. “Ci sono due Cinque Terre: quelle turistiche e le altre interne, meno battute. Se giri per Monterosso e Vernazza non ti accorgi di nulla, tutto è stato risistemato in tempi record, anche per non pregiudicare la stagione turistica. Il dissesto è tutt’attorno”, dice.

Nel caso di un’ondata di piena eccezionale, come quella del 2011, le dighe rischiano di essere spazzate via

Basta risalire il greto del torrente Pastanelli. Oggi, nonostante le minacce di pioggia, appare come un innocuo ruscello, quasi un rigagnolo, mentre tutt’attorno le tipiche scalette in pietra s’inerpicano verso i terrazzamenti adibiti a vigneti o ad altre colture.

Difficile immaginare come quel giorno del 2011 arrivò a gonfiarsi al punto da trascinare a valle di tutto. Lungo il percorso sono state costruite alcune griglie di contenimento in cemento armato. Come tutte le opere costruite in questi anni per cercare di imbrigliare le forze della natura, non hanno un bell’impatto sul paesaggio.

Ma il problema vero l’ha segnalato un team di ingegneri e geologi dell’università di Milano, incaricato dal comune di verificare se funzionano. “La briglia è in grado di contenere 90 tonnellate di acqua, detriti e fango, ma dagli studi effettuati sull’intensità delle piogge, che devono tenere conto dei diversi fenomeni piovosi in un arco di tempo di duecento anni, la portata dovrebbe essere di 270 tonnellate”, scrivono nella relazione.

Riomaggiore, nell’ottobre del 2015. (Piero Papa)

Tradotto: nel caso di un’ondata di piena eccezionale, come quella del 2011, le dighe rischiano di essere spazzate via e di aumentare il numero dei detriti portati a valle. La magistratura spezzina ha aperto un’inchiesta che coinvolge amministratori locali, funzionari comunali, imprenditori e tecnici. Nel mirino dei pm, le “rendicontazioni gonfiate” e le “tangenti pagate da imprenditori per ingraziarsi i politici”.

Nei borghi di montagna, lontano dalle rotte turistiche, va ancora peggio. A Borghetto di Vara, un minuscolo agglomerato di case a 26 chilometri da Monterosso, due ponti danneggiati dalla piena del torrente Pogliaschina, uno dei quali sull’antica via Aurelia, non sono ancora stati risistemati.

Gli scheletri di Parcopoli
All’ingresso di Monterosso, lo scheletro di un maxiparcheggio a più piani rimasto a metà ricorda lo scandalo di Parcopoli. Coinvolse amministratori, funzionari e imprenditori. In primo grado, la condanna più alta, a sette anni e dieci mesi di carcere, è stata inflitta all’ex presidente del parco Franco Bonanini, considerato il “regista” di un sistema di potere che disponeva della cosa pubblica a suo piacimento.

Bonanini si è sempre difeso sostenendo che all’epoca era alle prese con un delicato trapianto di fegato e non sapeva cosa stessero facendo i suoi uffici, ma i giudici non gli hanno creduto e la conseguenza è stata che il parco ha dovuto lavorare per ricostruirsi la reputazione. “Negli ultimi sei anni abbiamo dovuto affrontare tre alluvioni: quella giudiziaria del 2010, la tragedia del 2011 e, non bastasse, nel 2012 è franata pure la via dell’Amore”, dicono negli uffici di Manarola-Riomaggiore.

Inchieste a parte, l’ex sindaco di Riomaggiore, primo tra i non eletti del Pd al parlamento europeo nel 2009, rientrato nel 2013 per la rinuncia al seggio di Gianluca Susta, eletto al senato con Scelta civica, iscritto al gruppo dei Popolari europei e da ultimo passato a Forza Italia, è stato l’ideatore della strategia di marketing che ha portato Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al top delle località italiane più ricercate al mondo.

Una strategia vincente, cominciata con l’inserimento delle Cinque Terre tra i patrimoni dell’umanità tutelati dall’Unesco, che ha fatto impennare il pil locale ma con il tempo si è dimostrata poco sostenibile dal punto di vista ecologico. Con l’afflusso attuale di visitatori, sarà difficile riaprire la via dell’Amore riuscendo a garantire la sicurezza per tutti, a meno di non limitarne l’accesso.

Il dilemma delle Cinque Terre, a un lustro dall’alluvione, è come coniugare la crescita legata al turismo con la sostenibilità ecologica. Natale lo sintetizza con una battuta: “L’aspetto positivo è che qui c’è tanta gente, quello negativo è che c’è tanta gente”.

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