Una settimana dopo la sua morte, un mazzo solitario di fiori gialli ricorda Adil Belakhdim nel luogo in cui è stato travolto e ucciso da un tir, a pochi metri dall’ingresso della sede logistica della catena di supermercati Lidl a Biandrate, in provincia di Novara. Guardandolo, suo cugino Hammou Belakhdim non riesce a darsi pace. È convinto che non sia stato un incidente. In effetti, a osservare la striscia di asfalto che attraversa questa campagna trasformata in una sequenza di capannoni recintati e parcheggi senza che si veda anima viva, si fatica a immaginare che Alessio Spaziano, il camionista casertano di 26 anni alla guida del camion che ha investito Belakhdim, non si sia accorto di nulla come i suoi avvocati sostengono. Ne sono certi anche i compagni che hanno assistito alla scena: “Non riusciamo a credere che non se ne sia reso conto”, dicono. Sono tornati sul luogo del delitto per ricordarlo e chiedere giustizia.
Karim si definisce “il migliore amico” di Belakhdim e con le lacrime agli occhi mostra sul telefono una foto che li ritrae insieme, abbracciati e sorridenti. Poi mi fa vedere un video nel quale il sindacalista parla con un agente della Digos davanti ai cancelli della Lidl, pochi istanti prima che finisse schiacciato dal tir. L’atmosfera era tranquilla e nulla lasciava presagire quello che stava per accadere. Mehdi Messoudi, anche lui arrivato dal Marocco come Belakhdim, mi fa ascoltare la sua voce, registrata la mattina dello sciopero davanti ai cancelli dello stabilimento.
Belakhdim aveva 37 anni e viveva in un appartamento in affitto a Vizzolo Predabissi, una trentina di chilometri a sud di Milano. Era arrivato nel 2005 da El Jadida, una città costiera della regione di Casablanca, in Marocco. Il cugino Hammou Belakhdim l’aveva aiutato a trovare un posto da magazziniere in una cooperativa che lavorava per la Tnt di Peschiera Borromeo. Dopo aver partecipato a una denuncia collettiva contro le pessime condizioni di lavoro e salariali, si era licenziato ed era tornato nel suo paese. Ma ci era rimasto poco, era ritornato a Milano e aveva cominciato a lavorare per il sindacato SiCobas. La moglie Lucia Marzocca, una giovane donna pugliese di Molfetta conosciuta nel capoluogo lombardo, si era trasferita in Marocco all’inizio del 2021 insieme ai due bambini, di quattro e sei anni. Belakhdim avrebbe dovuto raggiungerli domenica 27 giugno 2021 per le vacanze estive.
Tensione alta
Il 18 giugno il sindacato SiCobas aveva convocato uno sciopero nazionale del settore dopo che, negli ultimi due mesi, nella cosiddetta regione logistica milanese – la terza per importanza in Europa – la tensione tra lavoratori e diverse aziende era sfociata in alcuni episodi di violenza. Il 29 aprile alla FedEx-Tnt di Peschiera Borromeo, dove Belakhdim aveva lavorato come magazziniere appena arrivato in Italia, la polizia aveva sgomberato con la forza un picchetto dei lavoratori che protestavano contro la chiusura dell’hub di Piacenza e il licenziamento di trecento operai. Il 27 maggio, davanti a un altro deposito della stessa FedEx-Tnt, a San Giuliano Milanese, un gruppo di lavoratori era stato aggredito di notte con bastoni e pistole taser da guardie private impiegate dall’azienda. Il 10 giugno, a Tavazzano in provincia di Lodi, le stesse scene si erano ripetute durante una protesta contro una cooperativa che lavora sempre per la FedEx-Tnt.
Il giorno prima, Belakhdim aveva invitato i lavoratori a presentarsi alle 6 del mattino davanti alla Lidl di Biandrate, dove viene stoccata e poi distribuita a 73 filiali della multinazionale tedesca di tutto il nord Italia la merce da mettere in vendita sugli scaffali. In ballo c’era il passaggio dal contratto nazionale del commercio a quello della logistica, il più appropriato visto che nel deposito non si vende nulla ma si caricano e scaricano carne, frutta e verdura senza soluzione di continuità tra il giorno e la notte.
Tra facchini e magazzinieri ci lavorano in 280, assunti dall’azienda senza far ricorso a cooperative esterne, come accade invece nella logistica. Per questo lo stabilimento è considerato una sorta di esempio nel settore. A sentire i lavoratori, però, la situazione non sarebbe tutta rose e fiori come viene descritta. La drammatica morte del sindacalista ha contribuito a illuminarla.
“Solo in sei sono assunti a tempo pieno”, dice Papis Ndiaye, coordinatore milanese del SiCobas. Messoudi è uno di loro e aiuta i colleghi che non ce la fanno, pagandogli le bollette a fine mese o facendogli la spesa. I lavoratori denunciano paghe da fame e diritti calpestati.
“Se fai storie ti cambiano di reparto, ti assegnano ai lavori più duri e non ti pagano gli straordinari”. E ancora: “Decidono loro quando vai in ferie, devi essere sempre disponibile, anche il sabato e la domenica, altrimenti in qualche modo te la fanno pagare”.
M.B., senegalese, mi mostra la sua busta paga. È stato assunto alla Lidl nel 2006, con un salario base netto di 793 euro, aumentato a 1.085 nel maggio 2021 dopo quindici anni di anzianità. Visto che si è comportato bene, racconta, l’azienda gli ha riconosciuto un po’ di straordinari, nove euro all’ora le domeniche, uno in meno gli altri giorni.
Tranquillo e determinato
Per questo Adil Belakhdim aveva convinto i lavoratori a organizzare un picchetto davanti allo stabilimento della Lidl. “I ragazzi dentro avevano un po’ di paura a esporsi e scioperare, temevano ritorsioni, l’ho chiamato al telefono per dirglielo ma lui mi ha risposto di non preoccuparmi, che se non fosse venuto nessuno sarebbe andato da solo”, ricorda Messoudi.
Belakhdim era fatto così, sempre disponibile e pronto a sacrificarsi per gli altri, sostiene chi l’ha conosciuto. Tranquillo ma determinato, mai esagerato, un uomo dai toni pacati ma capace di non cedere a pressioni e ricatti, consapevole della necessità di organizzare facchini, magazzinieri e autisti, in gran parte immigrati, perché si battessero insieme per ottenere migliori condizioni di lavoro. Hammou Belakhdim dice che suo cugino “era uno di cuore, un ragazzo che voleva aiutare tutti”.
“Una brava persona nell’accezione più piena di questa espressione”, lo definisce l’avvocato Eugenio Losco, che ora assisterà i familiari nell’inchiesta sulla sua morte aperta dalla procura di Novara. Gran parte della sua vita l’aveva dedicata all’impegno pubblico ed è di questo che i suoi amici e colleghi vogliono parlare, più che della dimensione privata.
La tragedia
La mattina del 18 giugno 2021 davanti ai cancelli della Lidl si sono ritrovati in una ventina. Avevano intenzione di bloccare l’ingresso per mezz’ora, un gesto poco più che simbolico per sollevare l’attenzione sui salari bassi e le pesanti condizioni di lavoro all’interno del deposito. I cancelli di entrata e uscita sono rimasti aperti e alcuni camion erano in attesa di poter uscire. Da uno è sceso Alessio Spaziano, un giovane autista al servizio di una ditta di trasporti di Castellammare di Stabia, in Campania. Spaziano si è diretto verso i manifestanti. “Era molto nervoso, diceva che lui non era un dipendente della Lidl, che doveva andare e non poteva aspettare”, racconta chi era presente. Gli hanno risposto di aspettare la fine della protesta, ma lui – secondo la ricostruzione dei partecipanti al picchetto - è tornato nel tir, ha messo in moto ed è partito. Ha scavalcato i camion in coda e ha tentato di uscire contromano dal cancello d’ingresso per aggirare il blocco senza che nessuno lo fermasse.
Una volta fuori, è stato bloccato da un gruppetto di manifestanti che si sono messi davanti al mezzo con le mani alzate. Quando Spaziano ha accelerato e poi frenato – un paio di volte per intimorirli e costringerli a spostarsi – Belakhdim è intervenuto, piazzandosi davanti al tir e dicendo agli altri di spostarsi. Carlos, un lavoratore di origini peruviane – “Scrivi solo il mio nome”, dice – in quel momento era distante qualche metro dalla scena, il che gli ha consentito di osservarla con chiarezza. Il camion all’improvviso è partito, Belakhdim è caduto, “forse è rimasto impigliato con i vestiti da qualche parte, è finito sotto e rotolava, sembrava che fosse in una lavatrice”, racconta.
Admir Hepaj, originario dell’Albania, longilineo e con gli occhi chiari, si è salvato buttandosi di un lato. Ha ancora qualche ferita di poco conto, che mostra sollevando i pantaloni. “Sono salvo per miracolo, ma qui rischiamo la vita tutti i giorni”, dice. Non si spiega perché chi era di guardia ai cancelli non abbia abbassato la sbarra per impedire al tir di uscire, una misura che avrebbe evitato la tragedia.
Tutti quelli che hanno assistito alla scena concordano: i morti sarebbero potuti essere di più. Un operaio tunisino è stato tirato via all’ultimo istante e pure l’agente della Digos che nel video si vedeva colloquiare con Adil ha rischiato di essere travolto. Spaziano non si è fermato, ha sostenuto di “non aver visto nessuno vicino al mio camion”. Il sindacalista è stato trascinato per una decina di metri, fino alle strisce pedonali tra il cancello d’uscita e il parcheggio dei dipendenti, dove si nota un’ampia chiazza di sangue sbiadita dal sole e dai tentativi di ripulirla. Spaziano è fuggito, si è fermato pochi chilometri più avanti, al casello autostradale, per chiamare un suo padrino di cresima, poliziotto, dicendo che aveva fatto un “casino”. Quest’ultimo lo ha convinto a costituirsi per evitare “guai peggiori”.
“Perché lo ha fatto? Forse perché temeva di essere licenziato se fosse rientrato in ritardo? Per quale motivo la sbarra d’ingresso allo stabilimento era aperta e le telecamere interne non funzionavano? Dov’era il responsabile della sicurezza che controlla gli ingressi e le uscite?”, si chiede Ndiaye, coordinatore milanese dei SiCobas, licenziato dalla Dhl dopo aver denunciato un sistema di fatture false e di finte cooperative che assumevano i fattorini senza pagare contributi previdenziali e assicurativi, lo stesso che ha spinto la procura della repubblica di Milano, il 10 giugno 2021, a chiedere e ottenere dal giudice per le indagini preliminari il sequestro di venti milioni di euro dall’azienda. “Sono convinto che se quel ragazzo non avesse avuto i minuti contati, non avrebbe avuto alcun motivo di fare quello che ha fatto”, prosegue. Spaziano, una moglie e due bambini piccoli a Baia e Latina, in provincia di Caserta, ogni settimana correva al nord a consegnare cibi surgelati e poi rientrava.
Davanti ai cancelli
Adil Belakhdim non capiva perché le assemblee del suo sindacato dovessero svolgersi sempre all’esterno dello stabilimento, su questa strada anonima a un passo dallo svincolo autostradale circondata da depositi della logistica e percorsa solo da camion e addetti ai lavori. La Lidl non concede spazi interni al sindacato di base, sempre più presente tra i lavoratori meno rappresentati nella giungla degli appalti e dei subappalti, e così loro sono costretti a riunirsi per strada.
Lo ricorda Papis Ndiaye il 24 giugno 2021, durante un sit-in improvvisato davanti ai cancelli dell’azienda. “Siamo qui non solo per piangere un compagno morto in un teatro di guerra, ma per mettere in risalto quello che accade nella logistica”, dice. Sono arrivati lavoratori pure dai depositi vicini, tutti maschi, giovani o appena adulti e immigrati. Ci sono facchini e magazzinieri della Esselunga e della Carrefour, della Fercam e della Transgo. Messi insieme, i 1.700 lavoratori del polo logistico superano l’intera popolazione di Biandrate, un placido borgo di appena 1.200 abitanti composto di casette a un piano attorno a una piazzetta ben sistemata, lontana appena un chilometro, ma che appare come un altro mondo. Basta però dare un’occhiata ai citofoni delle abitazioni per scoprire come molti cognomi rimandino al Bangladesh, al Pakistan, allo Sri Lanka, al Marocco o a qualche paese dell’Africa subsahariana. L’80 per cento di loro è impiegato in un sottobosco di cooperative che operano spesso al limite della legalità. Molti sono qui con le famiglie e gli affitti non sono bassi: tra i 350 e i 400 euro al mese per un appartamento, più o meno la metà dello stipendio.
“Il senso vero della nostra protesta è che non si può continuare a lavorare così, il nemico da combattere è questo sistema che mette l’autista contro il corriere, e il facchino contro il magazziniere”, dice Ndiaye. Tutti hanno voglia di parlare e le voci si accavallano, in un crescendo di toni che attira l’attenzione degli agenti di polizia inviati a presidiare i cancelli e a sorvegliare il raduno.
“Un collega doveva portare il figlio in ospedale, ma gli hanno detto che se voleva il permesso doveva fare un turno fino alle quattro di mattina”, dice un lavoratore che preferisce restare anonimo. Ce l’hanno con gli algoritmi che li costringono a non fermarsi mai e con chi li controlla “con il palmare”, per cui “se vuoi fare gli straordinari devi correre tutto il tempo”. Vince chi non va in bagno e chi non fa pause.
I compagni di Belakhdim pensano ancora a quello che è accaduto pochi giorni prima. Per loro superare il trauma di quella mattina sarà l’impresa più difficile. Admir Hepaj propone per il prossimo picchetto di provare a chiedere all’azienda di chiudere sbarre e cancelli, in modo da poter protestare in sicurezza. Carlos scuote la testa: “Dovevo venire in Italia per vedere una cosa del genere”. Christian Raimondi, 42 anni, novarese, 1.081 euro al mese dopo quattordici anni alla Lidl, mi guarda e dice: “Ogni volta che entro lì dentro, penso che Adil è morto per noi e per colpa loro, e vorrei andarmene”.
Leggi anche
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it