L’ultima frontiera per avere un futuro in Europa
“È tutta così verde l’Europa?”. Mengis e Robiel sono eritrei, sono arrivati in Italia dalla Libia via mare, e a Bolzano, al confine tra Italia e Austria, hanno visto per la prima volta le foreste che un tempo ricoprivano quasi tutto il vecchio continente. Distese di larici e di abeti a perdita d’occhio, sovrastate da picchi grigi e rosa.
“Ci sono molti animali in questi boschi?”, chiedono, e la fantasia corre alle storie che hanno sentito di lupi e di orsi, anche se non riescono nemmeno a immaginare come siano fatti. Alla stazione di Bolzano, Mengis, Robiel e una cinquantina di eritrei, per la maggior parte adolescenti, aspettano il primo treno per Monaco.
Mengis ascolta la musica dal cellulare. Mentre era in un convento di suore a Santa Maria Maggiore, a Roma, ha registrato con il telefono dei video da Mtv, videoclip commerciali. C’è Jess Glynne con quella musica da pubblicità, Hold my hand. Mengis la canta sottovoce e mentre canta, muove a ritmo la testa. E poi nella sua playlist c’è See you again, la musica di Fast and furious 7, in cui Charlie Puth sembra un cantante degli anni novanta tipo Bryan Adams.
Aspettiamo per ore sulle banchine della stazione a Bolzano, i volontari di Volontarius distribuiscono sacchetti di carta con cose da mangiare e da bere, i migranti sono seduti a terra o sulle panchine. I bambini giocano incuriositi con gli sconosciuti. Robiel sul cellulare ha un’immagine dell’arcangelo Michele.
L’angelo guerriero schiaccia la testa di Satana e mostra la spada, in una cornice di baldanzoso azzurro. Robiel è molto devoto e mi spiega che l’angelo è un mediatore tra dio e gli uomini, “che sono poverini”. Mi dice che in Eritrea si crede molto all’intermediazione degli angeli, per questo tutti quelli che decidono di partire si portano dietro un’immagine che usano come amuleto. Questa l’ha accompagnato per tutto il viaggio.
Mengis, Robiel e Bilal hanno camminato nove ore da Tessenei, la città dove studiavano al confine tra Sudan ed Eritrea, fino alla prima città sudanese a venti chilometri dal confine con l’Eritrea: Cassala. Quella Cassala in cui durante la seconda guerra mondiale si affrontarono l’esercito fascista e le truppe anglosudanesi. Quella Cassala che segnò l’ultima delle vittorie per le truppe italiane in Africa e quindi anche l’inizio della sconfitta e della fine del progetto coloniale italiano in Eritrea ed Etiopia. Mengis e Robiel sono arrivati a Bolzano, ma Bilal, il loro amico, è rimasto a Roma. Non aveva i soldi per continuare il viaggio.
Mengis, Robiel e Bilal per non perdersi nel loro cammino lungo il corso del fiume Gash hanno usato come punto di riferimento le montagne di Cassala, che si ergono granitiche circondate dalla pianura polverosa. In Eritrea ci sono molte montagne, ma questo verde profondo e scuro delle Alpi che circondano Bolzano, i ragazzi non l’hanno mai visto prima.
La polizia li guarda, loro guardano la polizia. Per qualche minuto. Poi il tempo scade, la polizia scende, le porte si chiudono, il treno riparte
Quando al binario arriva il primo eurostar diretto a Monaco, i ragazzi sono impreparati, hanno aspettato tanto e si chiedono se sarà proprio questo il treno giusto. Lo schermo conferma: si arriva Monaco in tre ore e cinquanta. Sferraglia il treno, stridono i freni, poi il treno si ferma e appaiono squadre di poliziotti che fino a quel momento non si erano fatti vedere. Si schierano lungo le banchine, davanti a ogni carrozza. Alcuni agenti salgono sui gradini del treno indossando guanti di gomma.
I migranti rimangono immobili, impalati a guardare il loro treno, quello che hanno aspettato e non riescono a prendere. La polizia li guarda, loro guardano la polizia. Tutto rimane immobile per qualche minuto. Poi il tempo scade, la polizia scende, le porte si chiudono, il treno riparte. I migranti non si perdono d’animo, hanno affrontato ostacoli più grandi, si rimettono ad aspettare.
È come un rito che si consuma ogni giorno, una pantomima. Dopo un’ora passa un altro treno e la scena si ripete. La polizia non lascia passare. Così qualcuno sparge la voce e gli eritrei salgono in massa sul primo treno regionale per il Brennero, il valico di frontiera tra l’Italia e l’Austria che si trova a cento chilometri da Bolzano.
Secondo l’associazione Volontarius, da gennaio a giugno del 2015 circa 12mila migranti hanno attraversato il Brennero per raggiungere l’Austria. La maggior parte di loro è diretta a Monaco di Baviera, in Germania. Qualcuno vuole proseguire per la Svezia, per la Norvegia o i Paesi Bassi. Ma per molti il confine tra l’Austria e la Germania è l’ultima frontiera prima di raggiungere la meta, l’Europa ricca che sognavano quando sono partiti dall’Africa.
L’Austria è un paese di transito come l’Italia
Mengis e Robiel seguono il gruppo degli altri eritrei, si muovono tutti insieme, non si lasciano mai soli.
Arrivati al Brennero, qualcuno dice che c’è un treno in partenza per Innsbruck. Scendono dal treno tutti insieme, di corsa, e salgono rapidi su un treno regionale diretto in Austria. I ragazzi hanno indossato le giacche a vento che gli hanno regalato a Bolzano, comincia a fare freddo, nuvole grandi e grigie appaiono in cielo. Gli eritrei si confondono negli scompartimenti tra gli abitanti del posto, si guardano intorno spaesati, temono che la polizia riappaia per bloccarli e rispedirli indietro.
Secondo il Coisp, il sindacato italiano di polizia, ogni settimana la polizia austriaca ferma e rimanda in Italia circa 200 migranti sul treno che collega il Brennero a Innsbruck. In Italia, la polizia di frontiera deve identificarli come previsto dal regolamento di Dublino.
I ragazzi sono tesi, seguono su Google maps la rotta del treno: “Quanto è lontano il confine?”. Con gli occhi rincorrono curiosi la pallina blu che indica la posizione sul navigatore.
Nessuno prende in considerazione l’Austria, uno dei paesi europei più restrittivi in materia d’asilo
Le montagne entrano dal finestrino, attraversiamo corsi d’acqua impetuosi e paesi tirolesi che sembrano presepi: campanili di legno e gerani ai balconi. I ragazzi sono entusiasti e già pregustano la gioia dell’arrivo. Mengis, da Monaco vuole andare ad Amburgo, ci sono dei suoi amici che lo aspettano in un campo per richiedenti asilo. Robiel invece vuole arrivare in Norvegia, raggiungere sua sorella. Goitom ha con sé un foglietto. In eritreo suo fratello gli ha scritto le tappe del viaggio, i nomi delle città che deve ricordare come in un gioco per non perdersi nel tragitto. Bolzano, Monaco, Amburgo, Malmö.
Scendiamo a Innsbruck: la stazione è grande, ma dalla radio in filodiffusione arriva un Eros Ramazzotti d’epoca, Adesso tu.
La polizia non c’è. E se c’è non si vede, lascia passare. A Innsbruck gli eritrei sono indecisi: qualcuno vuole prendere l’eurostar per Monaco, ma altri suggeriscono di continuare il viaggio con i treni regionali. Alla fine saliamo su un treno regionale per Kufstein: un’altra cittadina austriaca al confine con la Germania.
Nessuno di loro prende in considerazione la possibilità di fermarsi in Austria, uno dei paesi d’Europa più restrittivi in materia d’asilo. Dal 2004, in Austria è in vigore una legge che dà alle autorità 72 ore per valutare le richieste e questo ha determinato che il tasso di rifiuto dell’asilo sia tra i più alti d’Europa.
Nel 2013 sono state presentate in Austria 17.503 richieste d’asilo, ma il 73 per cento è stato respinto. E i dati per il 2014 non sono stati resi pubblici dal governo austriaco, come racconta Anny Knapp, presidente dell’associazione Asylkoordination.
Nei primi mesi del 2015 sono aumentate le richieste d’asilo anche qui come nel resto dell’Unione europea. Secondo Anny Knapp, nei primi cinque mesi del 2015 ne sono state presentate 20.620. Ma l’Austria è soprattutto un paese di transito per i migranti che dall’Italia e dall’Ungheria vogliono raggiungere la Germania, il paese europeo dove sono state presentate più domande di protezione internazionale e d’asilo.
“Mi piace viaggiare. Quando avrò i documenti in Germania, vorrei girare tutta l’Europa. Ma perché viaggiare deve essere un reato?”, chiede Mengis mentre ci avviciniamo al confine con la Germania.
Il sistema di accoglienza tedesco è al collasso
Stiamo per entrare finalmente in Germania, abbiamo preso un treno regionale per Monaco di Baviera, dovremmo arrivare verso le 19.50. La controllora del treno austriaco guarda interrogativa il gruppo di eritrei che salgono ordinati a Kufstein e fanno il biglietto, uno per uno. Hanno un po’ di soldi in tasca e vogliono pagare come tutti gli altri. Sono felici, è l’ultimo treno di oggi. Poi c’è Monaco, la Germania, una nuova vita.
Passiamo il confine tra Austria e Germania, i ragazzi eritrei esultano, ce l’hanno fatta. C’è chi si pettina, chi scrive un messaggio ai parenti, chi è incredulo. “Siamo davvero in Germania?”, chiede Goitom, 16 anni, avvolto in una giacca a vento nera troppo grande. L’entusiasmo dura una mezz’ora.
Poi arriva la polizia di frontiera tedesca. Alle 18.50 gli agenti salgono sul treno a Rosenheim, hanno delle pettorine blu con scritto Border police. Parlano in inglese. “This is the German border police. You have finally reached Germany. Do you have documents?”, chiede un poliziotto con gli occhi azzurri e il sorriso di circostanza stampato sulla faccia. Mengis lo guarda e non risponde. Trema.
“Do you speak English?”, continua il poliziotto. “Little, little”, risponde Mengis. “Take your bag and follow us”, dice l’agente. Gli agenti chiedono i documenti solo ai neri. Sono eritrei, alcuni di loro sono minori, ci sono anche donne e bambini. La polizia di frontiera tedesca chiede a tutti di prendere le loro cose e di scendere dal treno.
A Rosenheim, appena oltre il confine con l’Austria, s’interrompe il viaggio di Mengis, Robiel e dei cinquanta eritrei che sono partiti con noi da Roma. Rosenheim è una cittadina della Baviera meridionale, in tedesco significa “casa delle rose”, ironia della sorte e della toponomastica. Monaco dista più di sessanta chilometri. A Rosenheim confluiscono la rotta migratoria che passa dai Balcani e dall’Ungheria, e quella proveniente dall’Italia.
Nel 2014, la polizia di frontiera tedesca ha fermato più di novemila persone, 25 al giorno, per la maggior parte richiedenti asilo siriani, eritrei e afgani.
I migranti vengono portati al commissariato e interrogati. Da dove vengono, di che nazionalità sono. I ragazzi non capiscono bene l’inglese e rispondono a gesti e a monosillabi. “I don’t know”, rispondono alla maggior parte delle domande. Arrivano anche i mediatori culturali eritrei che parlano con il gruppo. Mengis, Robiel e gli altri passano la notte al commissariato, la mattina dopo riemergono. Hanno lasciato le loro impronte digitali e hanno un foglio in mano per la richiesta d’asilo. Mengis mi chiama al telefono: “Mi hanno rilasciato, prendo il primo treno per Monaco”. È provato dalla nottata, ma contento.
Alla stazione ferroviaria di Monaco gruppi di ragazzi eritrei vagano senza meta, cercano di capire come continuare il viaggio. Non ci sono associazioni ad assisterli. Guardano all’insù sul tabellone delle partenze: come si arriva a Malmö? Quando parte il treno per Amburgo? Qualcuno suggerisce che è meglio prendere l’autobus.
Nel 2014 sono state presentate in Germania 173mila richieste di asilo e secondo le prime stime, il numero potrebbe raddoppiare nel 2015. Recentemente la polizia bavarese ha ammesso di non riuscire a registrare tutte le richieste presentate.
Un poliziotto bavarese ha confessato alla rivista tedesca Der Spiegel che ogni giorno circa 300 migranti sfuggono alla polizia di frontiera al confine tra Austria e Germania. Nel 2014 in Germania a circa 45mila migranti entrati nel paese in maniera irregolare non sono state prese le impronte digitali, come invece sarebbe previsto dal regolamento di Dublino. Recentemente Francia e Germania hanno rimproverato le autorità italiane perché non riescono a identificare tutti i migranti che arrivano sulle coste della penisola, ma evidentemente anche le polizie di altri paesi europei hanno le stesse difficoltà.
“Le autorità tedesche sono sopraffatte dal flusso di migranti”, ci dice
Rebecca Kilian-Mason, operatrice di Amnesty international a Monaco di Baviera.
“Non riescono a fare i conti con la prospettiva di un numero di domande di asilo che è in aumento. Per questo al momento le strutture ricettive e quelle amministrative non funzionano bene. Non funziona il sistema per la registrazione dei migranti che è sotto pressione e per questo ci sono molti errori che creano ulteriori problemi”, spiega Kilian-Mason. “Le famiglie vengono separate e non vengono riunite anche se tutti i componenti si trovano in Germania. Non ci sono posti letto per tutti e molti richiedenti asilo sono ospitati da palestre in Baviera. Inoltre ci sono molti ritardi per ottenere una risposta alla domanda d’asilo”. Ci sono richiedenti asilo che aspettano dai tre mesi a un anno per avere il primo appuntamento e sottoporre alle autorità la loro richiesta. “Per eritrei, siriani e iracheni le autorità hanno disposto delle procedure d’urgenza, ma noi conosciamo eritrei che hanno aspettato anche un anno prima che la loro richiesta fosse esaminata e altri sei mesi per avere una risposta”, continua Kilian-Mason.
Chi rischia di più non sono tanto eritrei e siriani, che hanno un tasso alto di accettazione delle domande, ma i migranti provenienti da altri paesi. “Come se la motivazione economica non fosse abbastanza grave per fuggire dal proprio paese”, spiega Franziska Fassbinder, della Refugee law clinic di Monaco di Baviera, un’associazione che si occupa di assistere i migranti arrivati in Germania.
Intanto Mengis ha preso un autobus da Monaco per Amburgo e appena arrivato nel nord della Germania ha presentato la sua domanda per avere un futuro in Europa.
La prima tappa del viaggio dei migranti eritrei da Roma a Bolzano l’abbiamo raccontata qui. Nella prossima tappa seguiremo i migranti eritrei in un centro per richiedenti asilo ad Amburgo. Internazionale promuove il progetto #OpenEurope insieme ad altri sei giornali europei.