Un Natale in tenda per sessantasei famiglie nel centro di Roma
Spelacchio di notte non è poi così malmesso: l’albero di Natale striminzito, protagonista di una lunga polemica tra l’amministrazione capitolina e i romani, è stato addobbato con decine di luci natalizie che rendono l’abete di piazza Venezia quasi all’altezza del suo ruolo quando scende il buio.
La vigilia di Natale è tutto un via vai frenetico di romani e turisti che scattano foto e lasciano un biglietto d’auguri in tutte le lingue o una “pasquinata” sui rami più bassi e sul cespuglio alla base dell’albero. “Pare che dorma”, ha scritto uno. “Spelacchio sei solo un diversamente albero”, ha scritto un altro, e ancora: “Il vero presepe vivente sta a Santi Apostoli”. Se ci si allontana pochi passi dall’abete della discordia costato 48mila euro all’amministrazione comunale e si gira l’angolo su piazza Santi Apostoli, l’atmosfera diventa improvvisamente più silenziosa.
Un po’ di persone sono sedute su delle sedie davanti alla cancellata quattrocentesca della basilica dei Santi Apostoli e chiacchierano a bassa voce: sono attivisti del Movimento romano per il diritto all’abitare, passano in chiesa a turno dal 10 agosto per sostenere le rivendicazioni delle sessantasei famiglie, sgomberate da un palazzo occupato a via Quintavalle, a Cinecittà, che dormono nelle tende sotto al porticato. Per Natale il parroco Agnello Stoia ha allestito tra le tende degli sgomberati un presepe a grandezza naturale: una capanna di paglia, le statuine di Maria e Giuseppe, il bue, l’asinello, le pecorelle e due balle di fieno ancora vuote come mangiatoia. Sulla capanna, risplende una stella cometa con due code fatta con un tubo di luci.
Ci vorrebbe un miracolo
Fervono i preparativi per la messa di mezzanotte: alcuni cavalieri dell’Associazione Templari cattolici d’Italia con le loro tuniche bianche accolgono all’ingresso i turisti e i pellegrini che entrano nella basilica, alcune signore arrivano con un po’ di anticipo per sedersi ai primi banchi. In fondo alla cancellata, sotto a un’iscrizione funeraria, Angela è seduta sulla branda di Valentina, un’anziana signora di 94 anni che si è appena trasferita da un’amica.
“Era troppo freddo per lei che è così anziana, abbiamo chiesto a degli amici di ospitarla e per ora Valentina è andata a stare lì. Non era il caso che restasse con questo freddo”, spiega Angela, 47 anni, divorziata con due figli di 12 e 14 anni. A Santi Apostoli qualche settimana fa, Ionica, una donna originaria della Romania di 38 anni, ha partorito due gemelli, ma non è tornata nelle tende, ha accettato di andare in una casa famiglia perché con due bambini appena nati non era possibile stare accampati.
Sotto al colonnato, le temperature di notte cominciano a scendere sotto lo zero e dormire nelle tende è un rischio per la salute. “I bambini si ammalano continuamente”, dice Angela, che era finita a vivere in un appartamento occupato a Cinecittà quando aveva perso il lavoro, perché l’albergo sulla via Aurelia per cui lavorava aveva chiuso. “A 47 anni non è così facile trovare un nuovo lavoro e pagare un affitto con due bambini a carico”, racconta. Riesce a trovare solo impieghi saltuari: “Adesso faccio assistenza a un’anziana due volte alla settimana”.
La cosa più difficile è dormire con il freddo, dentro la tenda, con i bambini che fanno fatica a prendere sonno perché fuori c’è confusione, spiega. Nella cancellata di Santi Apostoli non ci sono né bagni né docce e la corrente elettrica viene fornita dalla chiesa solo durante il giorno. L’unico bagno di notte è un secchio, dietro a una tenda. Per il resto si approfitta dei bar della zona e la doccia si fa a casa degli amici.
“I bambini hanno freddo, non riescono a studiare, abbiamo sempre paura che scappino”, dice. I venti ragazzini che vivono nelle tende di Santi Apostoli vanno a scuola tutti i giorni a Cinecittà, nel loro vecchio quartiere, ma ai compagni di scuola e alle maestre non hanno raccontato nulla. “Si vergognano, non vogliono essere presi in giro”. All’inizio per loro era come vivere in campeggio, ma ora non capiscono perché il gioco non finisca e non possano tornare a casa. “Il mio ex marito lavora di notte e anche per questo i bambini devono stare con me, non possono rimanere a dormire da lui”, racconta Angela, mentre si accende una sigaretta.
La regione ha messo a disposizione del comune un immobile dove accogliere le famiglie
“Io dopo quattro mesi ho perso le speranze, ci vorrebbe un miracolo, ma io ai miracoli non ci credo più”, conclude. L’assessora ai servizi sociali del comune di Roma, Laura Baldassarre, ha visitato gli sgomberati di piazza Santi Apostoli un paio di volte da agosto offrendo alle donne e ai bambini dei posti nelle case famiglia del comune, ma hanno rifiutato. Le donne non si vogliono separare dai mariti e temono che l’assistenza fornita dal comune sia solo temporanea. “Siamo famiglie povere, non siamo delinquenti, abbiamo bisogno di una casa, non di beneficenza”, conclude Angela.
Negli ultimi giorni si è aperto uno spiraglio, dopo che l’assessora al bilancio e al patrimonio della Regione Lazio, Alessandra Sartore, ha messo a disposizione del comune di Roma un immobile nella zona di Pineta Sacchetti dove accogliere le famiglie di Santi Apostoli nell’ambito di un piano straordinario per contrastare l’emergenza freddo. La proposta deve però essere approvata dall’amministrazione comunale che è competente per questo tipo d’intervento, ma secondo i Movimenti di lotta per la casa “l’amministrazione guidata da Virginia Raggi si sta opponendo a questa ipotesi adducendo motivazioni tecniche relative alle caratteristiche dello stabile. Argomentazioni davvero risibili per gente che è costretta a vivere in strada da più di quattro mesi”.
Il 22 dicembre l’assessora Laura Baldassarre ha valutato positivamente la proposta della regione, ma ha specificato che l’immobile sarà usato per il piano freddo, “quindi per tutte le persone che sono in difficoltà e anche per le famiglie di piazza Santi Apostoli”, e ha aggiunto che “sono in corso tutti gli approfondimenti tecnici”. I movimenti per la casa temono che possa essere una soluzione temporanea per l’emergenza freddo, ma il 27 dicembre ci sarà un nuovo incontro alla regione per definire la fattibilità del piano.
A Roma diecimila persone abitano nelle case occupate, in cento edifici in tutta la città, mentre tremila cittadini sono sotto sfratto. La necessità di case e la mancanza di politiche abitative pubbliche efficaci è una condizione strutturale della capitale. Negli ultimi mesi, dopo il violento sgombero di un palazzo occupato da rifugiati eritrei a piazza Indipendenza, si è tornati a discutere della necessità di rilanciare politiche abitative di lungo periodo, ma non c’è accordo sulle possibili strade da percorrere tra la regione Lazio, che ha stanziato 40 milioni di euro per l’emergenza, e l’amministrazione comunale.
Babbo Natale non esiste
Marisol, una donna di origine peruviana di cui avevamo raccontato la storia lo scorso agosto, scoppia a piangere quando deve ammettere che in vent’anni in Italia non aveva mai pensato che avrebbe passato un Natale in queste condizioni: “È un grande insegnamento, perché quando portavo da mangiare a un barbone a piazza San Pietro a Natale non avrei mai pensato di finire a dormire per strada anche io e invece nella vita ci si può ritrovare senza niente da un momento all’altro”.
Per Marisol, che ha la cittadinanza italiana e lavora da molti anni come collaboratrice domestica, non è possibile accettare la soluzione offerta dal comune di Roma, perché non vuole separare i suoi tre figli dal padre: “Meglio dormire tutti e cinque in una tenda che dividerci. La mia famiglia è la cosa più importante”. Le soluzioni offerte dal comune di Roma riguardano infatti solo le situazioni considerate più vulnerabili, in particolare quelle delle donne con i bambini. “Per i bambini la cosa più importante è l’amore dei genitori e anche in questa situazione noi siamo una famiglia, senza una casa, ma pur sempre una famiglia. Se ci separassimo per andare in un centro che ci rimarrebbe?”, chiede.
Alexander, sette anni, il figlio più piccolo di Marisol, dice di non credere più a Babbo Natale: “Se Babbo Natale esistesse, ci avrebbe portato una casa”. Marisol si asciuga le lacrime e si rammarica di non poter fare nemmeno il presepe quest’anno, “perché le statuine sono rimaste nella casa da dove siamo stati sgomberati”. Alla famiglia in Perù, la donna non ha raccontato quello che le è successo, suo padre ha ottant’anni e non lo sopporterebbe. Pensa spesso di ritornare a Lima, ma i figli sono cresciuti in Italia e vorrebbe che continuassero a studiare. Per Marisol quello che è più difficile da accettare è l’indifferenza: “In questa città ci sono così tante persone che dormono per strada nel silenzio generale”.
La donna vorrebbe che fossero previsti degli affitti calmierati per quelli come lei che lavorano e non possono permettersi di pagare le cifre esorbitanti degli affitti cittadini: “Se guadagno 500 euro al mese non posso pagare più di duecento euro per l’affitto, non voglio niente in regalo, ma vorrei che ci fosse la possibilità di pagare un affitto giusto in base al reddito. Io pago le tasse in questo paese da vent’anni e che cosa ho in cambio?”.
Mentre nella chiesa comincia la messa di Natale, Marisol promette al figlio Alexander che festeggerà il Natale al caldo a casa di un’amica in “una specie di normalità” con la speranza, ancora viva nonostante tutto, che si trovi presto una soluzione per i senza tetto di Santi Apostoli, così i bambini potranno di nuovo credere a Babbo Natale.