Perché l’astensione è il primo partito del sud
Lo chiamano Congo: è il quartiere Gescal di Acerra. Palazzine di edilizia popolare, lunghi balconi bianchi con i panni stesi sui fili, affacciati su cortili di cemento, case alveare nella periferia di una delle zone più densamente popolate dell’area metropolitana di Napoli. Il 4 marzo al Congo il partito del non voto potrebbe essere il vero vincitore.
“Sono quindici anni che in piazza diamo fuoco alle tessere elettorali in segno di protesta”, spiega Francesco Panico, 42 anni, disoccupato. “Se tutti facessero come noi la politica dovrebbe assumersene la responsabilità”, aggiunge. Cinque anni fa ad Acerra un elettore su due scelse di non andare alle urne, soprattutto nei rioni popolari della città, come Gescal e Madonnella.
Panico fa parte del Movimento disoccupati autorganizzati (Mda) di Acerra e ha le idee chiare: “Quando serve il voto vengono tutti a chiederlo, ma se non ci fossimo organizzati tra di noi, nessuno si preoccuperebbe della nostra situazione lavorativa”. All’Mda sono iscritte circa quattrocento persone solo nell’area di Acerra, dove i disoccupati sono 18mila, quasi un terzo dei 60mila abitanti.
Senza rappresentanti
“Renzi, Di Maio, Berlusconi: sono tutti Maria e nessuno è Gesù”, afferma Panico con un’espressione dialettale, per descrivere la distanza dei politici, poco preoccupati delle classi sociali più basse. In testa alle sue priorità ci sono il lavoro e la difficile situazione ambientale della zona dove sono stati ritrovati siti di sversamento illegale dei rifiuti e dove gli incendi dell’immondizia sono ancora all’ordine del giorno. Per far fronte alla cosiddetta emergenza rifiuti, nella zona industriale di Acerra nel 2009 fu inaugurato un termovalorizzatore (tmv), molto contestato dai residenti.
Con la disoccupazione giovanile che supera il 50 per cento e un tasso di disoccupati doppio rispetto a quello del nord d’Italia in tutte le fasce d’età, il lavoro è l’altra questione irrisolta. “Se avessimo un lavoro tutto sarebbe differente”, dice Panico, che dopo un corso di formazione regionale come operatore ambientale negli anni novanta non è mai riuscito a trovare un impiego con un contratto regolare. Vive di lavori in nero e della pensione del padre, con cui condivide l’appartamento. “Una famiglia mia non sono riuscito a farmela”, afferma.
“Si vive di lavoretti, se si arriva a fare quattrocento euro a fine mese è grasso che cola”, spiega Sergio Pizzo, elettricista, disoccupato dell’Mda, 42 anni, padre di due figli. Pizzo, che viene da una famiglia di operai della Fiat di Pomigliano d’Arco, è l’unico di 14 fratelli rimasto a vivere con la famiglia ad Acerra, mentre gli altri sono emigrati nell’Italia del nord e in altri paesi europei.
La sua storia è simile a quella di tanti, ma Pizzo trova nelle lotte del movimento una ragione sufficiente per restare. “Per me partire sarebbe una sconfitta, se ce ne andiamo tutti che rimane in questo territorio?”, chiede. Ma non nega che la situazione sociale ed economica sia sempre più dura. “Lavoriamo nelle fabbrichette della zona, che producono vestiario e scarpe. Lavoriamo nell’edilizia. Ma sono tutti lavori temporanei e in nero”, racconta.
“Il voto dovrebbe essere la massima espressione della democrazia. A me fa male non andare a votare, vorrei che i miei figli vivessero in un mondo dove andare a votare avesse un senso. Ma quale politico in questo momento rappresenta gli interessi della nostra classe sociale?”, chiede Pizzo che non ha mai votato in vita sua, se non ai referendum.”Milioni di disoccupati in Italia vivono senza diritti, perché in queste zone del paese i diritti diventano concessioni del politico di turno”, conclude.
Secondo l’eurobarometro, nel 2017 tra le preoccupazioni principali degli italiani c’è il lavoro. Il 43 per cento degli italiani ha paura della disoccupazione, ma questi timori non sono stati presi sul serio dai politici in corsa per le elezioni e il lavoro è stato il grande assente della campagna elettorale.
Un collegio conteso
“Saremo la prima forza assoluta del sud, batteremo anche le coalizioni”, ha affermato il leader del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio ad Afragola (a otto chilometri da Acerra) il 25 febbraio, nel suo ultimo comizio in Campania, a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale. Il collegio uninominale Napoli 1 (Acerra-Pomigliano) è uno dei più contesi e insieme a tutta la Campania sarà determinante per l’esito delle elezioni.
Di Maio – originario di Pomigliano d’Arco – affronta il critico d’arte Vittorio Sgarbi di Forza Italia, appoggiato da Silvio Berlusconi, che nel 2009 ad Acerra aveva tagliato il nastro inaugurale del termovalorizzatore, e il candidato del Partito democratico (Pd) Antonio Falcone, che ha cercato d’intervenire soprattutto sulla questione ambientale, proponendo l’emissione dei green bond, titoli verdi per bonificare i territori inquinati tra Napoli e Caserta.
Anche il segretario del Pd Matteo Renzi è candidato nella circoscrizione di Acerra, nel listino proporzionale al senato, ma in questo territorio il suo partito potrebbe pagare le conseguenze delle rivelazioni sulla gestione dei rifiuti in Campania pubblicate dal sito di notizie Fanpage. La vicenda ha coinvolto Roberto De Luca, assessore al bilancio del comune di Salerno e figlio del presidente della regione Vincenzo De Luca, del Partito democratico. Lo scandalo ha riacceso gli animi degli elettori campani in uno dei territori più sensibili alla questione ambientale.
Le persone da queste parti amano Berlusconi
Il partito di Di Maio, infatti, ha messo l’ambiente tra le priorità del programma e si presenta come “non coinvolto negli scandali” dei rifiuti, che invece hanno travolto sia esponenti del Pd come De Luca, sia esponenti di Fratelli d’Italia e Forza Italia come Luciano Passariello.
Per rafforzare la sua posizione, il 26 febbraio Di Maio ha annunciato che, se dovesse vincere le elezioni, il ministro dell’ambiente sarà il generale dei carabinieri Sergio Costa, che quando era comandante della guardia forestale, ha realizzato indagini e denunce sull’inquinamento nella cosiddetta Terra dei fuochi, insieme al parroco di Caivano don Maurizio Patriciello. In questo modo Di Maio punta a riconquistare i voti degli astenuti incalliti, in un territorio che ha smesso da tempo di credere nella politica.
Tuttavia Domenico, un pensionato di Acerra, sostiene che il leader dei cinquestelle non ce la farà: “Le persone da queste parti amano Berlusconi, perché promette di portare le pensioni minime a mille euro al mese”. Mentre guarda la tv nella sede della polisportiva della squadra di calcio locale, l’Acerrana, il pensionato sottolinea: “Alle amministrative dello scorso giugno i cinquestelle hanno preso solo il 7 per cento, non credo che alle politiche possano fare miracoli”.
Il paese di Pulcinella
“Acerra è il paese di Pulcinella e Pulcinella non voterebbe per nessuno”, spiega ironico Rocco Grimaldi, 43 anni, ex segretario dei Democratici di sinistra (Ds) di Acerra, attivo nei movimenti contro il tmv e tra i fondatori del gruppo ambientalista acerrano Basta roghi. Grimaldi confessa che non avrebbe voluto votare alle elezioni di marzo, nonostante la sua lunga militanza nei partiti del centrosinistra, ma poi all’ultimo momento ha deciso di votare Liberi e uguali. Tuttavia non risparmia critiche: “I partiti sono diventati comitati elettorali e si vota per tifoseria, non in base ai programmi politici”, con nessuna garanzia per gli elettori.
Ad Acerra ogni famiglia ha visto con i suoi occhi quali sono, per la salute dei cittadini, i costi dei danni ambientali dovuti alla gestione criminale del ciclo dei rifiuti. Di questa situazione in parte “i politici sono stati complici”, afferma Grimaldi. Il centrosinistra, continua l’attivista, ha perso la sua credibilità negli ultimi cinque anni proprio sui temi del lavoro e dell’ambiente: “Il Jobs act e lo Sblocca Italia da questo punto di vista sono due misure emblematiche varate dal governo di centrosinistra. Io ho votato per il Pd nel 2013 sulla base di un programma, ma nei fatti quel programma dopo cinque anni non è stato rispettato”. Questo sistema è “una truffa”, dice Grimaldi.
La legge elettorale attuale (la legge Rosato o Rosatellum) favorisce ulteriormente questo meccanismo, secondo l’attivista acerrano: “Voteremo partiti e coalizioni che perderanno valore dal 5 marzo, il giorno dopo le elezioni. Il non voto non è solo il gesto di chi è sconfortato e disinteressato alla politica, ma anche la protesta di chi vorrebbe un voto utile”.
In auto Grimaldi percorre la strada che dal centro di Acerra porta alla zona industriale della città, dove sorge il termovalorizzatore, che smaltisce la metà dei rifiuti prodotti dall’intera regione. “Su questa strada abbiamo manifestato in 30mila contro la costruzione del tmv, ma ci hanno preso a manganellate, molti sono finiti all’ospedale intossicati dai gas lacrimogeni”. Il termovalorizzatore appare all’orizzonte con le sue tre ciminiere sottili alte un centinaio di metri: alla base una costruzione avveniristica bianca e blu, accanto la torre di cemento con strisce bianche e rosse della centrale termoelettrica che alimenta l’inceneritore. Tutto intorno campi coltivati con verdure e alberi da frutta.
A volte ironizziamo sul fatto di avere il cimitero più grande della zona
Per arrivare al tmv si passa davanti alla fabbrica abbandonata della Montefibre spa, una delle più grandi aziende italiane di tessuti sintetici, di proprietà della Montedison, che nello stabilimento di Acerra produceva poliestere fino alla fine degli anni novanta. È proprio il vecchio impianto industriale abbandonato della Montefibre, mai bonificato, a essere accusato dell’alto livello d’inquinamento della zona, dove sono stati sversati liquami industriali per risparmiare sullo smaltimento.
A dicembre del 2017 l’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno ha pubblicato uno studio che ha registrato segnali di contaminazione in 33 ettari di terreno tra Napoli e Caserta sui 50mila ritenuti a rischio. Questo dato, che ha spinto molti a chiedere di riconsiderare l’allarmismo sull’inquinamento nella Terra dei fuochi, non ha messo a tacere le polemiche. Nello stesso periodo, infatti, un’indagine conoscitiva della commissione igiene e sanità del senato ha sottolineato “un trend allarmante” nella zona.
Nei novanta comuni del territorio “la popolazione è stata sottoposta nel corso degli anni all’effetto di diversi fattori d’inquinamento ambientale che, combinato agli stili di vita, ha provocato un aumento della suscettibilità alle malattie cronicodegenerative”. Filoni d’indagine su cui stanno lavorando diverse procure. “In ogni famiglia c’è un caso di tumore e ognuno di noi ha conosciuto qualcuno, anche persone molto giovani, morto di malattie incurabili”, spiega Grimaldi mentre mostra alcuni siti in cui sarebbero stati interrati dei fusti tossici. “A volte ironizziamo sul fatto di avere il cimitero più grande della zona”, dice sarcastico, mentre fa inversione con la macchina per tornare dalla zona industriale verso il centro della città. Tassi così alti di astensione dovrebbero essere un campanello d’allarme per la politica, dice. Ma i candidati preferiscono sfidarsi con promesse a cui nessuno crede più.
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Da sapere
L’astensione è un dato in crescita in Italia. Nel 1948 gli italiani che non votarono alle elezioni politiche furono appena il 7,8 per cento, mentre alle elezioni del 2013 il tasso di astensione è arrivato al 28 per cento, con picchi del 50 per cento in alcune zone del paese, soprattutto nel meridione. Per le elezioni del 4 marzo i sondaggi prevedono tassi ancora più alti. Il dato del 2013 è stato interpretato con toni allarmistici in un paese che ha sempre avuto una larga partecipazione alle elezioni rispetto ad altri paesi dell’Unione europea, ma è difficile spiegare le ragioni eterogenee di chi ha deciso di non andare a votare.
Un’indicazione in questo senso viene dal Rapporto Bes 2017 dell’Istat in cui emerge che un terzo degli italiani non ha nessuna fiducia nei partiti politici e nel parlamento. “È un dato allarmante nella sua chiarezza”, afferma Mariapia Sorvillo, dirigente di ricerca all’Istat. “Nelle ultime tre tornate elettorali abbiamo registrato una forte diminuzione dell’affluenza, questo dato è un indicatore della disaffezione alla politica”, continua Sorvillo. Il rapporto Bes è nato nel 2012 per descrivere il benessere degli italiani prendendo come elementi di analisi diversi fattori. Uno degli elementi che si è scelto di analizzare è stata la fiducia degli italiani nelle istituzioni e la partecipazione politica.
“Attraverso un’indagine campionaria ampia abbiamo rilevato che la fiducia degli italiani nel parlamento è piuttosto bassa, il voto medio dato al parlamento è 3,7 (in una scala da zero a dieci). E la situazione è ancora più critica per i partiti, che hanno preso un voto medio di 2,5”, spiega la ricercatrice. Anche i dati della partecipazione degli italiani alla politica vanno nella stessa direzione: “Le persone che parlano di politica nella loro vita quotidiana o che s’informano sulle questioni che riguardano la politica sono passate dal 41 per cento del 2016 al 37 per cento del 2017. Di politica si parla sempre meno. Per mancanza d’interesse e in generale per mancanza di fiducia”, conclude Sorvillo.
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