Perché il programma di Salvini sull’immigrazione è impraticabile
Camicia bianca senza cravatta, maniche arrotolate, espressione soddisfatta. Matteo Salvini scende da una Bmw grigia nella spianata di cemento dell’hotspot di Pozzallo verso le quattro del pomeriggio di domenica 3 giugno. L’aria è ferma. Intorno a lui si raccoglie un gruppo di autorità tra cui il governatore della Sicilia Nello Musumeci, forze dell’ordine e operatori umanitari. È la sua prima visita ufficiale da ministro dell’interno e da vicepresidente del consiglio. Ha condotto la campagna elettorale con gli slogan xenofobi “A casa loro” e “Prima gli italiani” e ora che è al governo vuole ribadire il suo programma di rimpatri, tagli all’accoglienza e ostilità contro le organizzazioni non governative, così il centro di identificazione di uno dei porti più meridionali della Sicilia diventa un palcoscenico per inaugurare il suo mandato.
Nel suo primo colloquio con i funzionari del ministero dell’interno, sabato pomeriggio, erano emerse tutte le difficoltà di realizzare i punti previsti dal programma: i rimpatri hanno costi esorbitanti e non ci sono accordi con la maggior parte dei paesi di provenienza dei migranti, i porti non si possono chiudere a meno d’infrangere le norme marittime internazionali, revocare l’accoglienza ai richiedenti asilo significherebbe venir meno a una serie di impegni presi e rinunciare a fondi europei, inoltre farebbe aumentare il numero delle persone che dormono per strada e paradossalmente favorirebbe i centri di accoglienza di emergenza rispetto ai centri gestiti dai comuni nel sistema Sprar. Già nel 2017 regioni e amministrazioni locali avevano impedito al suo predecessore Marco Minniti che fossero aperti più centri permanenti per il rimpatrio (Cpr), vanificando i decreti Minniti-Orlando, che avevano stabilito l’apertura di un Cpr in ogni regione. Nonostante questo, Salvini tira dritto: è ministro da meno di 48 ore, ma è ancora in campagna elettorale.
Conosciamo le ferite che riportano i migranti che scappano dalla Libia, i segni delle torture. Come si può parlare di pacchia?
Sabato, durante un comizio a Treviso, ha fatto sapere che “è finita la pacchia” per i migranti, ha promesso di rimpatriare 500mila irregolari, ha assicurato che taglierà i costi dell’accoglienza, poi ha definito le organizzazioni non governative “vicescafisti”, cioè collaboratori dei trafficanti di esseri umani, ha insultato il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, famoso per aver sperimentato un sistema di accoglienza diffuso, ha promesso di querelare lo scrittore Roberto Saviano. Poi, qualche ora prima di arrivare a Pozzallo, partecipando a un evento della campagna elettorale per le amministrative a Catania in piazza Verga, ha detto che l’isola non sarà più “il campo profughi d’Europa”, infine ha minacciato l’Unione europea di bloccare la riforma del Regolamento di Dublino, il sistema comune per il diritto d’asilo.
Tra i punti sul tavolo con l’Unione la questione di Dublino è quella più urgente e delicata. Il 5 giugno ci sarà una riunione a Lussemburgo dei ministri dell’interno dell’Unione europea per discutere proprio della riforma, già approvata dal parlamento europeo e fortemente voluta dall’Italia perché introduce un principio di solidarietà tra i diversi paesi europei. Ma il neoministro ha detto di volerla bloccare, assumendo le stesse posizioni del premier ungherese Viktor Orbán e del cosiddetto gruppo di Visegrád. Salvini non parteciperà all’incontro, perché è impegnato a Roma per il voto di fiducia del governo alle camere.
Contestatori e sostenitori
Appena Salvini scende dalla macchina, a Pozzallo, un gruppo di contestatori circonda i giornalisti che sono rimasti davanti alla recinzione e non sono stati fatti entrare nel centro. “Salvini vattene, vergognati”, urlano i contestatori. Peppe Cannella è un medico, uno psicologo, e lavora da anni con i migranti in Sicilia. È venuto ad accogliere il ministro con due coperchi: li sbatte uno contro l’altro per fare rumore. “Dobbiamo restare umani, non accettiamo il tono sprezzante usato dal ministro quando parla di ‘vicescafisti’ o di ‘pacchia’. Noi conosciamo le ferite del corpo e dell’anima che riportano i migranti che scappano dalla Libia, i segni delle torture. Come si può parlare di pacchia?”, afferma.
“Prima erano i meridionali che puzzavano, ora sono i migranti. Ricordiamoci le parole che Salvini rivolgeva ai meridionali”, afferma Cannella. Insieme ad altre quattro persone sventola un parasole per auto argentato in cui c’è scritto “Welcome refugees”. Anna Dessì, un’altra contestatrice vicino a lui, dice: “Vediamo ogni giorno che i migranti hanno sofferenze profonde e non riescono nemmeno ad accedere al sistema sanitario”. Interviene una donna che non è d’accordo: prende un’attivista per il braccio e gli dice di andarsene a casa, di portare i migranti a casa sua, che la Sicilia di “clandestini” non ne vuole più, “sono parassiti”. “Non sono razzista, ma devono andarsene a casa loro”, ribadisce.
Le due donne cominciano a litigare davanti alle telecamere, mentre il ministro entra nel centro. La sostenitrice di Salvini è venuta per stringergli la mano e non se ne andrà finché non lo avrà fatto, qualche ora dopo, al termine della visita. “Ho stretto forte forte”, dice commossa e poi torna indietro a gridare: “Sei il nostro capitano, forza Matteo cambia l’Italia, liberaci da questi parassiti”. Un altro sostenitore di Salvini da dietro le sbarre dice al poliziotto che sta facendo il servizio di sicurezza all’ingresso: “Queste pistole che avete usatele, che ce le avete a fare altrimenti? Sparategli ai clandestini. Ora con Salvini ministro cambia tutto”.
Salvini visita il centro insieme a uno stuolo di autorità, non scambia nemmeno una parola con i migranti, quando si affaccia in una delle camerate con i letti a castello scoppia un applauso da parte delle donne richiedenti asilo appena arrivate. “I migranti sono arrivati da pochi giorni non hanno idea di cosa succede al livello politico in Italia”, spiega Stefania Pellegrino, sociologa di Terre des Hommes, un’organizzazione attiva all’interno della struttura.
L’ultimo sbarco è avvenuto venerdì scorso, proprio mentre i ministri del nuovo governo si apprestavano a giurare davanti al capo dello stato al Quirinale. Sono arrivate 158 persone, soccorse dalla nave Aquarius della ong Sos Mediteranée e da Medici senza frontiere al largo della Libia. Alcune di loro sono già state trasferite in altri centri di accoglienza o in ospedale, mentre un centinaio sono ancora nell’hotspot. “Ci sono molti minori, molte famiglie”, racconta Pellegrino. “Sono un enorme capitale umano”, aggiunge la sociologa. Questa posizione è condivisa anche dal sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna: “In tanti anni non abbiamo mai avuto un problema con il centro, con i migranti. Ho incontrato Salvini e non abbiamo parlato della chiusura dell’hotspot, ma solo di stanziare maggiori risorse per il porto, in modo che l’accoglienza dei migranti non ostacoli le attività commerciali”, afferma Ammatuna.
Quando Salvini esce dal centro, i giornalisti vengono fatti entrare nel piazzale di cemento. Il neoministro rilancia: “L’Italia fa parte di organizzazioni internazionali come la Nato e le Nazioni Unite, perché non fanno niente per risolvere la situazione in Nordafrica e nel Mediterraneo?”. Subito dopo ribadisce che la sua priorità è ridurre gli arrivi e aumentare i rimpatri. “Non sono riforme che si fanno in un quarto d’ora”, aggiunge.
Nel suo viaggio in Sicilia, dove l’accoglienza di migranti produce anche molti posti di lavoro, i toni sono più soft rispetto a quelli usati in Veneto. “Useremo il buon senso”, ha detto Salvini a Catania per smorzare i toni. Nessun riferimento al nuovo naufragio avvenuto qualche ora prima davanti alle coste tunisine in cui sono morte almeno 110 persone, secondo l’Organizzazione mondiale dell’immigrazione (Oim). Anzi la promessa di un incontro con il ministro dell’interno tunisino per bloccare la rotta: “Non esportano gentiluomini, ma galeotti”.
Nessuna parola nemmeno sull’assassinio di Soumaila Sacko, il bracciante e sindacalista maliano ucciso a San Calogero, vicino a Rosarno, da ignoti. Mentre il ministro è in visita al centro, emergono le prime informazioni sul ragazzo: aveva 27 anni, un regolare permesso di soggiorno, era un sindacalista dell’Usb, lavorava nella raccolta di kiwi per 4,5 euro all’ora.
Dopo la morte del ragazzo, a cui sono stati sparati dei colpi da una Panda bianca, i braccianti agricoli della Piana di Gioia Tauro hanno proclamato uno sciopero. L’Usb dice che è il primo risultato “della dottrina Salvini”, che qualche ora prima a Catania aveva commentato: “Non è mai la violenza la risposta per risolvere alcun tipo di problema. Voglio lavorare per cambiare le leggi perché troppo spesso puniscono persone perbene e premiano i delinquenti”. Nessuna parola per Soumaila Sacko e la sua famiglia. Salvini, che è stato eletto senatore il 4 marzo proprio nel collegio di Rosarno, lascia l’hotspot di Pozzallo dopo aver stretto la mano ai suoi sostenitori diretto a Modica, un’altra tappa della sua campagna elettorale.