Chi sono le femministe contro il Congresso delle famiglie di Verona
Questo articolo nasce dal lavoro comune di un gruppo di giornali europei, Europe’s far right research network, in vista delle elezioni europee 2019. Ne fanno parte, oltre a Internazionale, Falter (Austria), Gazeta Wyborcza (Polonia), Hvg (Ungheria), Libeŕation (Francia) e Die Tageszeitung (Germania). Questo progetto ha vinto il premio Concordia-Preise per la libertà di stampa 2019.
“Sono diventata femminista quando ho cominciato a frequentare le lezioni della filosofa femminista Adriana Cavarero all’università di Verona: sono entrata nell’aula e mi sono accorta che la professoressa si rivolgeva alla classe con il femminile plurale, diceva ‘tutte’ invece di ‘tutti’ e ogni volta che usava il plurale femminile si alzava un brusio. Ho capito in quel momento che c’era un problema che andava affrontato, è stata una specie di folgorazione, e così mi sono laureata con Cavarero e ho cominciato a frequentare il gruppo storico delle femministe di Diotima”, racconta la giornalista e attivista Giulia Siviero, tra le fondatrici del gruppo veronese di Non una di meno e tra le organizzatrici della manifestazione che si contrappone per tre giorni al tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie, in corso dal 29 al 31 marzo a Verona.
Siviero ha raccontato nei suoi articoli per Il Post le trasformazioni della città dove è nata e cresciuta e che nelle ultime settimane è tornata nelle cronache dei giornali di tutto il mondo per il Congresso delle famiglie, che per la prima volta si svolge in uno dei paesi fondatori dell’Unione europea, con un largo appoggio istituzionale come quello di alcune delle più alte cariche dello stato italiano tra cui il ministro dell’interno Matteo Salvini e il ministro della famiglia Lorenzo Fontana, anche lui originario di Verona.
Mentre nel palazzo della Gran Guardia davanti alla storica Arena, nel cuore della città cantata da William Shakespeare nella tragedia Romeo e Giulietta, andava in scena l’inaugurazione del Congresso dei prolife, nella sala di un’associazione di Veronetta, il quartiere universitario della città, si svolgeva la conferenza stampa di presentazione della “Verona transfemminista”, la contromanifestazione che culminerà in un grande corteo per le vie della città sabato 30 marzo e a cui hanno aderito organizzazioni femministe di tutto il mondo, insieme anche ad associazioni lgbt, partiti e sindacati.
Una lunga storia di resistenza
Da anni Verona è un laboratorio per le politiche antiabortiste e contro l’uguaglianza di genere e in città si registra una saldatura abbastanza esplicita tra gli ambienti del tradizionalismo cattolico, quelli dell’estrema destra e quelli della destra istituzionale rappresentata in questo momento dalla Lega di Matteo Salvini. Lo ha spiegato Emanuele Del Medico qualche anno fa nel suo libro All’estrema destra del padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale in cui definisce Verona una specie di laboratorio per l’estrema destra italiana.
Capitale della Repubblica di Salò e sede del comando della Gestapo durante l’occupazione nazista, attraversata negli anni settanta da tutti i gruppi dell’eversione nera durante la strategia della tensione, roccaforte della Lega di Flavio Tosi, storico avversario di Matteo Salvini, e vivaio di decine di gruppi neofascisti, Verona è un punto di osservazione interessante per capire cosa sta succedendo in Italia e in Europa sui temi cari ai nuovi movimenti cattolici e ai partiti dell’estrema destra in vista delle elezioni europee di fine maggio.
Ma per Giulia Siviero Verona ha anche una lunga storia di resistenza dei movimenti lgbt, antifascisti e femministi. La comunità di Diotima – fondata da Luisa Muraro, Chiara Zamboni, Wanda Tommasi, Adriana Cavarero –
è una realtà storica del femminismo italiano, che ha elaborato il pensiero della differenza. Una nuova linfa all’attivismo e al pensiero femminista è arrivata in città con la creazione del gruppo Non una di meno, legata all’esperienza del femminismo internazionale. Le femministe della città sono state capaci di portare l’attenzione, nell’autunno del 2018, su una mozione antiabortista presentata dal consigliere leghista Alberto Zelger, che oggi partecipa al Congresso mondiale delle famiglie e che è poi stata copiata da diversi consigli comunali in tutta Italia. Grazie a quella mozione, la città di Verona è stata dichiarata “città della vita”.
Il 4 ottobre, mentre il consiglio comunale della città approvava la mozione contro l’aborto, alcune attiviste del movimento femminista Non una di meno seguivano in silenzio la seduta indossando i mantelli rossi e le cuffie bianche proprio come le ancelle del romanzo distopico di Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, diventato in tutto il mondo il simbolo della lotta delle donne contro la strumentalizzazione dei loro corpi e i tentativi di limitare la loro autodeterminazione. In questo modo riuscivano a portare l’attenzione dei mezzi d’informazione su questo tema.
“Non una di meno nasce tre anni fa come movimento che mette insieme realtà diverse, tutte noi veronesi avevamo avuto a che fare con la comunità di Diotima e per loro c’è un grande riconoscimento, però abbiamo delle pratiche completamente diverse da quelle delle femministe storiche: non siamo separatiste e per noi la manifestazione di piazza è essenziale all’esperienza politica”, spiega Siviero.
Rispetto alle femministe di Diotima, Non una di meno Verona è un movimento che si definisce “intersezionale” e cioè lavora non solo sull’oppressione delle donne, ma su una serie di altre questioni come l’oppressione di classe e il razzismo. “È per questo che il movimento si sta imponendo a livello globale, perché riesce a tenere insieme un programma politico vasto”, afferma Siviero. “A Non una di meno si sono avvicinate molte ragazze che sono attratte da questo aspetto inclusivo”.
Per Siviero l’elemento più importante della tredicesima edizione del Congresso mondiale delle famiglie è il fatto che si svolga in Italia, un paese che è nel cuore dell’Europa: “Il Congresso ha il pieno appoggio del governo gialloverde, questo è un segnale molto preoccupante, finora questo tipo di congressi che raccolgono antiabortisti di tutto il mondo si erano svolti in paesi che non sono considerati campioni di libertà, il fatto che si sia svolto in Italia con il patrocinio delle istituzioni è molto grave”.
Da tutto il mondo a Verona
Mentre il Congresso mondiale delle famiglie si apre tra le note di “Mamma son tanto felice, perché ritorno da te”, a Verona cominciano ad arrivare attiviste e collettivi femministi da tutta Europa per partecipare alla grande manifestazione di sabato. Tra loro Vanessa Mendoza Cortés, 39 anni, psicologa e attivista per la legalizzazione dell’aborto in Andorra. “Sono una psicologa sociale specializzata in violenza di genere, sono nata e cresciuta ad Andorra, un paese che definirei ‘feudale’ nel cuore dell’Europa, ho studiato e lavorato a Barcellona, ma poi sono tornata ad Andorra dove ho fondato un’associazione che si chiama Stop violències, che lotta contro la violenza di genere e chiede la legalizzazione dell’aborto nel paese, almeno per i casi più estremi”, spiega Mendoza Cortés.
“Per quanto riguarda l’aborto, Andorra è nella stessa situazione di molti paesi latinoamericani, non è possibile abortire nemmeno nei casi di malformazione grave del feto, in queste situazioni le autorità chiedono alle donne di partorire, anche se il bambino non ha nessuna possibilità di sopravvivere”, continua l’attivista che porta un fazzoletto bianco legato al collo con una farfalla viola e la scritta: “Libertad es decidir”. Mendoza Cortés spiega che molte donne da Andorra vanno ad abortire in Spagna, dove l’aborto è legale, ma con un dispendio economico rilevante. “Solo quelle che possono permetterselo lo fanno”, afferma.
“A volte mi viene da piangere quando penso alle donne che nel mio paese mi chiamano ogni giorno per interrompere la gravidanza. Parlare di quello che succede nel mio paese non è facile per me, ma partecipo volentieri a queste manifestazioni internazionali perché mi fanno sentire che non siamo sole”, afferma Mendoza Cortés. Le femministe riunite a Verona hanno le idee molto chiare.
“Siamo qui a Verona per dire che vogliamo l’uguaglianza tra uomini e donne, vogliamo che tutte le minoranze abbiano gli stessi diritti, vogliamo che alle donne sia garantita la possibilità di scegliere e di decidere sul proprio corpo e sulla propria vita, non crediamo che la famiglia sia quella che vogliono imporre i gruppi dell’estrema destra”, afferma Eugenia Ivanova, 39 anni, fondatrice di Wide+ e Adliga, attivista contro la violenza sulle donne, arrivata dalla Bielorussia. “La famiglia è amore e rispetto”, afferma Ivanova. “Non possiamo accettare un’idea di famiglia che cancella i diritti di una serie di persone, le condanna a stare fuori dalla società”.
In Bielorussia non c’è ancora sufficiente consapevolezza sulla violenza domestica, la violenza maschile sulle donne, che è molto diffusa. “Per me essere femminista significa essere impegnata per la libertà delle donne, per l’uguaglianza, per la loro salute riproduttiva. Il femminismo mi aiuta a fare delle scelte nella vita, significa essere quello che voglio essere, senza ricevere pressioni dall’esterno”, conclude Ivanova. Almeno ventimila persone parteciperanno alla manifestazione convocata dalle femministe di Non una di meno a Verona, ma c’è chi dice che potrebbe essere una manifestazione talmente partecipata da non permettere al corteo di defluire: il percorso passerà vicino al palazzo della Gran Guardia, dove sarà ancora in corso il Congresso mondiale delle famiglie.
Le femministe di Verona si sentono sollevate dai segnali di solidarietà che stanno ricevendo da tutto il paese: “Il contesto è molto duro, Verona è una città in cui le aggressioni dirette di stampo squadrista sono frequenti”, assicura Ludmilla Bazzoni, 33 anni, veronese di origine argentina. “Giorni fa tornavo a casa e c’era una scritta che diceva: ‘Tutto quello che c’è dentro le mura ci appartiene’”. Nata a Cordoba, in Argentina, da genitori italoargentini, partita dal paese a cinque anni durante la prima grande crisi economica del paese, Bazzoni pensa che Verona aveva bisogno di rilanciare un nuovo attivismo di stampo femminista: “Questa è una città nella quale noi viviamo nella paura, portiamo ancora la ferita della morte di Nicola Tommasoli, ucciso da un gruppo di neofascisti undici anni fa: per noi scendere in piazza significa anche provare a sanare ferite come quella”.
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