Dio, patria e famiglia: tre giorni al Congresso di Verona
Questo articolo nasce dal lavoro comune di un gruppo di giornali europei, Europe’s far right research network, in vista delle elezioni europee 2019. Ne fanno parte, oltre a Internazionale, Falter (Austria), Gazeta Wyborcza (Polonia), Hvg (Ungheria), Libeŕation (Francia) e Die Tageszeitung (Germania). Questo progetto ha vinto il premio Concordia-Preise per la libertà di stampa 2019.
“Siete degli eroi”, grida Filippo Savarese, direttore della campagna italiana di CitizenGo, mentre dal palco allestito davanti a palazzo Barbieri di Verona chiude il Congresso mondiale delle famiglie (Wcf). Con lui ci sono gli organizzatori della manifestazione: Tony Brandi di ProVita, Massimo Gandolfini di Difendiamo i nostri figli, il portavoce del Congresso Jacopo Coghe, ma anche lo statunitense Brian Brown, amico di Donald Trump, che arringa: “Alziamoci in piedi, battiamoci per la famiglia, noi siamo qui per dirvi che non siete soli”.
Dalla piazza si alza un applauso al grido “Viva la famiglia”. Milena ha portato una statuetta della Madonna e la alza al cielo dicendo “Se ci allontaniamo da dio, la nostra società andrà a rotoli”. Sventolano bandiere di Militia Christi, il movimento ultracattolico legato a Forza nuova, il partito che è in piazza con il suo rappresentante veronese Luca Castellini, che il giorno precedente aveva lanciato una campagna per riformare la legge 194, che dal 1978 in Italia ha depenalizzato l’aborto.
Forza nuova porta in piazza tre cartelloni in bianco e nero con la scritta: “Dio, patria, famiglia”. Ci sono le bandiere di Alleanza cattolica e i cartelloni dei Giuristi per la vita. La comunicazione dei Comitati difendiamo i nostri figli è più pop: palloncini colorati blu e rosa, magliette con dei fumetti che rappresentano una donna, un uomo, dei bambini e molti cuori. Il comitato ProVita, sempre legato a Forza nuova, porta in piazza cartelli colorati blu e rosa in cui scrive: “Nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia”.
Una nuova comunicazione
Negli ultimi anni i movimenti prolife hanno deciso di abbandonare la comunicazione più aggressiva contro l’aborto e le unioni omosessuali e provano a concentrarsi su messaggi positivi legati alla famiglia, ma molti attivisti continuano a portare in piazza i vecchi slogan: i gadget con i feti di plastica e le foto degli embrioni. Un manifestante ha scritto su un cartello: “Aborto genocidio di stato”. Un altro ha portato un’immagine gigante di un feto con la scritta in tedesco: “Umano dall’inizio”. La maggior parte dei partecipanti alla marcia per la famiglia non vuole parlare con la stampa: un leitmotiv dei tre giorni del Congresso per le famiglie di Verona.
Il primo giorno i partecipanti erano in fila di prima mattina fuori dal palazzo della Gran Guardia, un edificio del diciassettesimo secolo nella piazza principale di Verona, piazza Bra. I giornalisti si avvicinavano ai partecipanti per fare delle interviste, ma il responsabile della sicurezza in abito scuro e cravatta passava vicino ai partecipanti e chiedeva di non parlare con la stampa. Qualcuno però non ha rispettato la regola. “Patria, dio, famiglia: che meraviglia”, ha esclamato Andrea Fenucci, fondatore della sezione di Difendiamo i nostri figli di Piacenza, venuto a seguire il convegno insieme con la moglie.
“La stampa sta scrivendo che siamo omofobi, retrogradi, ci sta descrivendo come brutti e cattivi, ma sono tutte falsità. Noi siamo solo a favore della famiglia, siamo sposati da venticinque anni e abbiamo sei figli”, ha detto, mentre sua moglie gli chiedeva di non dare troppi dettagli. Fenucci ha detto di essere un attivista antigender e di essersi battuto per la famiglia tradizionale a partire dal primo Family day del 2007, quello che fu organizzato a piazza San Giovanni a Roma contro la proposta di legge che voleva istituire i Dico, cioè una forma di riconoscimento per le coppie di fatto, anche quelle formate da persone dello stesso sesso.
Soldati morali
Mentre i giornalisti entravano nella sala stampa allestita all’ingresso della Gran Guardia, ma erano tenuti fuori dall’auditurium dove si svolgeva l’evento, cominciavano ad arrivare i primi ospiti tra le note di “Mamma son tanto felice, perché ritorno da te”. Il primo a prendere la parola davanti a una platea di trecento persone è stato Brian Brown, presidente dell’Organizzazione internazionale per la famiglia: un quacchero statunitense che si è convertito al cattolicesimo e che è molto vicino all’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Nove figli, avvocato e strenuo attivista contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti, Brown ha chiarito nel suo discorso che si tratta di difendere la famiglia “naturale”, quella formata da un uomo e da una donna e dai loro figli.
“Dall’inizio della storia umana, nelle steppe dell’Asia e nelle pianure africane, nelle città e nei villaggi c’era la famiglia”. Poi però Brown sembrava molto preoccupato dell’immagine negativa che stava emergendo sui giornali e allora parlando con i giornalisti fuori dall’auditorium ha detto che le sue sono opinioni come le altre, che i partecipanti al Congresso delle famiglie semplicemente hanno il diritto di dissentire, di avere opinioni diverse, ma che non vogliono cambiare le leggi di altri stati: “Non c’è niente di negativo nel combattere per la famiglia: stiamo mettendo insieme diverse religioni, diversi partiti, diversi leader”. Ma la sua narrazione poco conflittuale è sembrata in contrasto con il discorso che poco dopo è stato pronunciato da Allan Carlson, l’ideatore del Congresso mondiale delle famiglie, ex funzionario dell’amministrazione di Ronald Reagan negli Stati Uniti e fondatore del Centro per la famiglia, la religione e la società.
Per Carlson i prolife e i profamily devono combattere “una guerra” contro “i nemici della famiglia naturale”, sono come “soldati morali” chiamati a battersi contro chi “ha interpretato male la natura umana”. Le famiglie di tutte le culture “si devono unire” contro chi “ha abbracciato la cultura della morte”. Quando Tony Brandi, che è anche presidente del Congresso mondiale delle famiglie, è arrivato sul palco ha cominciato a urlare come un predicatore: “Popolo del Veneto, non dimenticate chi siete!”. Una donna nel pubblico ha scherzato in dialetto veneto. “Ghe sé ‘mbriago”, ha detto, commentando la concitazione di Brandi.
Il presidente del Wcf ha mostrato alla platea un libricino: “Gli indicatori di benessere sono correlati alla famiglia, da questi studi risulta che nelle famiglie tradizionali ci sono meno violenze contro i bambini, migliori indicatori di salute, meno problemi psicologici, meno disoccupazione, meno consumo di alcol e di droga, meno criminalità. Io invito tutti i politici a fare della protezione della famiglia la loro principale priorità”.
In platea era seduto anche il senatore leghista Simone Pillon, primo firmatario di un controverso disegno di legge in discussione al senato che vorrebbe imporre l’obbligo della mediazione a pagamento per le coppie con figli che si vogliono separare. Pillon portava in bella vista sulla giacca la spilletta della Lega e quando gli è stato chiesto se il Congresso mondiale delle famiglie abbia delle conseguenze politiche, lui ha risposto che “le idee e le opinioni poi diventano leggi”. Anche Pillon ha attaccato i giornalisti, accusandoli di avere diffuso notizie false sul ddl, per esempio quando hanno detto che non garantisce la dovuta protezione alle donne che sono vittime di violenza domestica.
I nemici della famiglia
La stampa è stata uno dei principali obiettivi polemici nei discorsi degli ospiti del tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie che si è svolto a Verona dal 29 al 31 marzo con il patrocinio del comune, della provincia e della regione, oltre che del ministero della famiglia. A molti giornalisti, soprattutto stranieri, è stato negato l’accredito per entrare nel palazzo della Gran Guardia. Tra loro la giornalista tedesca Patricia Hecht della Tageszeitung, che aveva chiesto l’accredito a febbraio, ma si è vista rifiutare l’ingresso con la motivazione che c’erano altri giornalisti tedeschi già accreditati. La stessa cosa è successa alla giornalista del Guardian Angela Giuffrida.
Nelle cronache del congresso ci si è molto concentrati sugli aspetti più violenti della propaganda dei movimenti provita, come la diffusione all’interno della sala in cui si svolgeva la plenaria di gadget di plastica che rappresentavano dei feti di dieci settimane. All’oggetto era allegato un biglietto con la scritta: “Hai tra le mani la riproduzione di un bambino alla decima settimana di gravidanza. Gli abbiamo dato un nome, Michele. Per la legge italiana sull’aborto si può terminare la vita del bambino entro la tredicesima settimana di gestazione ma anche oltre. Quindi Michele può essere ucciso. Michele rappresenta tutti i bambini nel grembo materno che non possono ancora far sentire la loro voce. Aiutaci a salvare Michele!”. Il gadget è stato diffuso dall’associazione ProVita. Ma molti, come Leonardo Bianchi di Vice, hanno fatto notare che il gadget è da tempo distribuito a tutti gli eventi organizzati da questo tipo di associazioni.
A preoccupare gli analisti e gli osservatori, però, è soprattutto il piano politico: per tre giorni gruppi di estremisti antiaborto, contrari alle unioni tra persone dello stesso sesso, lobby spesso legate all’estrema destra, si sono riuniti a Verona per elaborare una strategia politica comune, a poche settimane dalle elezioni europee, ricevendo il pieno appoggio delle istituzioni italiane. Lo slogan della manifestazione era: “Il vento del cambiamento: l’Europa e il movimento globale profamily”.
Durante la convention, uno dei relatori che ha fatto discutere di più è stato lo spagnolo Ignacio Arsuaga, il fondatore e presidente di CitizenGo, una piattaforma caratterizzata da una comunicazione molto aggressiva contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’aborto e la cosiddetta ideologia gender, una comunicazione presente in più di cinquanta paesi del mondo. Nel 2018 CitizenGo per il quarantennale della legge 194 ha affisso in Italia centinaia di manifesti con la scritta: “L’aborto è la prima causa di femminicidio al mondo”.
“I nemici della famiglia – ha detto Arsuaga – sono dappertutto, nelle istituzioni, nelle strutture di potere. Controllano la stampa, i partiti di sinistra, ma anche i partiti di destra, le fondazioni, gestiscono anche molte organizzazioni internazionali, multilaterali come le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, l’Unione europea”. Il presidente di CitizenGo ha citato Antonio Gramsci, dicendo che i nemici della famiglia sono i suoi eredi e hanno sostituito “la lotta di classe con la lotta per il gender”.
Per Arsuaga “i nemici delle famiglie” sono “le femministe radicali che vogliono estendere la loro ideologia suprematista” a “tutti noi”, “è l’industria dell’aborto che vuole fare soldi e uccidere più bambini”, sono gli “ideologi del gender” che “sono totalitari” e vogliono controllare il “cervello delle nostre figlie e dei nostri figli e zittirci”, sono infine “i liberali che ci vogliono impedire di avere un ruolo pubblico nella società” . Mentre parlava la sala applaudiva con trasporto. Arsuaga ha spiegato che “i nemici della famiglia” hanno lavorato in maniera coordinata e che hanno vinto molte battaglie, ma ha detto anche di essere convinto che nei prossimi anni “il tavolo potrebbe essere ribaltato”.
Arsuaga ha spiegato ai partecipanti del Congresso come condurre la propria battaglia ideologica, in un discorso che è sembrato una lezione di comunicazione politica e di marketing, più che un semplice intervento. Ha indicato una strategia articolata in cinque punti: ogni organizzazione deve lavorare non solo nella propria nazione, ma anche a livello globale, fare rete proprio come è avvenuto al Congresso della famiglia, avere una strategia per le proprie campagne, non rispettare i canoni del politicamente corretto, provare a rompere il sistema, senza distruggerlo. Per Asuaga l’obiettivo è quello di cambiare il sistema, ma di nuovo il presidente di CitizenGo ha mostrato due modi per farlo: il primo è prendendo il potere direttamente attraverso le elezioni, entrando nei partiti e nelle istituzioni, il secondo – che dice di preferire – è influenzare i partiti, controllare indirettamente il potere, controllando chi gestisce il potere.
In effetti a leggere la lista dei partecipanti al Congresso si trovano persone che hanno ruoli istituzionali: parlamentari, amministratori locali, ministri, leader religiosi, imprenditori, aristocratici. I più intervistati dai giornalisti sono stati il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini, il ministro della famiglia Lorenzo Fontana e il ministro dell’istruzione Marco Bussetti, ma anche la ministra ungherese della famiglia Katalin Novák, gli europarlamentari Nicolas Bay, segretario generale del francese Rassemblement national, ed Elisabetta Gardini di Forza Italia, i parlamentari italiani Simone Pillon (Lega), Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e Tiziana Drago (Movimento 5 stelle), Maximilian Krah del partito tedesco Afd, l’arciprete ortodosso russo Dmitri Smirnov, il patriarca della chiesa cattolica sira, Ignatius Joseph III Younan, e poi l’imprenditore russo Alexei Komov e il parlamentare della Duma Viktor Zubarev.
In particolare Komov è una figura centrale del Congresso delle famiglie: da una parte finanzia campagne prolife in tutta Europa, d’altra parte è il braccio destro di uno degli uomini più ricchi di Russia, Konstantin Malofeev, l’oligarca accusato di aver finanziato la campagna elettorale di Marine Le Pen in Francia per conto di Putin. Komov è un buon amico anche di Gianluca Savoini, il presidente di Italia-Lombardia, ex portavoce di Matteo Salvini, considerato il consigliere ombra del leader della Lega per i rapporti con la Russia di Vladimir Putin.
Addirittura l’imprenditore russo era presente durante l’elezione di Salvini a capo della Lega il 15 dicembre 2013. Al Congresso della famiglia Komov ha parlato dei programmi di home schooling per i bambini che sta finanziando in tutto il mondo: l’idea è che per tutelare i propri figli dall’influenza del secolarismo sarebbe bene farli rimanere a casa, offrirgli un’istruzione tra le mura domestiche.
Un’inchiesta pubblicata dal sito britannico Open Democracy ha analizzato la lista dei partecipanti a tutti i Congressi delle famiglie e ha mostrato che almeno cento politici in attività di venticinque paesi diversi hanno partecipato ad almeno un Congresso, sessanta di loro erano europei, metà di questi sessanta venivano dai partiti dell’estrema destra.
Il corteo transfemminista
Sabato 30 marzo, mentre il ministro dell’interno Matteo Salvini stava arrivando a Verona per partecipare al Congresso delle famiglie, migliaia di attiviste da tutta Italia hanno sfilato per le vie della città per protestare contro il Congresso e per proclamare la città di Romeo e Giulietta “transfemminista”.
Per la portavoce di Non una di meno Verona Laura Sebastio “il bilancio è stato estremamente positivo, la risposta è stata incredibile, tutti i nodi territoriali hanno risposto all’evento, ma anche tante altre associazioni”. Sebastio ha risposto alle critiche di chi ha detto che le femministe con le loro proteste hanno dato troppa visibilità a dei gruppi minoritari di estremisti religiosi: “Era ora che le cose venissero allo scoperto, erano anni che attraverso, per esempio, la campagna contro i diritti delle donne e degli omosessuali alcuni temi dei comitati per la vita si sono diffusi nel dibattito pubblico italiano. Questa manifestazione è servita anche a far emergere queste connessioni, anche perché questa lobby è ormai arrivata al governo”.
Alla fine della giornata le femministe hanno dichiarato di aver accolto centomila persone in città, mentre i giornali locali hanno scritto che una manifestazione così grande a Verona non si era mai vista. Quando il corteo è arrivato vicino al palazzo della Gran Guardia, che nel frattempo era stata protetto con delle recinzioni difese dalla polizia in assetto antisommossa, le manifestanti hanno acceso dei lacrimogeni fucsia e hanno sventolato i pañuelos, i fazzoletti fucsia che hanno mutuato dal movimento argentino delle madri di plaza de Mayo. “Buffoni, buffoni”, hanno gridato, tra i fischi, contro i partecipanti del Congresso delle famiglie.
Colpire le minoranze
Salvini intanto era arrivato al Congresso dove ha incontrato Katalin Novák, che aveva parlato appena prima di lui. Novák ha espresso la sua vicinanza al governo italiano e ha parlato di amicizia e collaborazione tra Budapest e Roma. “Dal 1 gennaio in Ungheria le madri che hanno il quarto figlio non devono pagare le tasse. Immagino che molti di voi abbiano quattro figli qui in platea, quindi benvenuti in Ungheria”, ha scherzato Novák dal palco, ammiccando alla platea. “Voi italiani avete sempre più amici, l’Europa è la nostra Europa. Noi stiamo collaborando con l’Italia non solo per l’immigrazione ma anche per la famiglia. Spero che insieme possiamo cambiare l’Europa”, ha concluso la ministra ungherese che dopo essere scesa dal podio ha scambiato alcune battute con il ministro dell’interno italiano.
Salvini ha subito ripreso il collegamento lanciato dalla ministra ungherese dicendo che la denatalità è uno dei problemi più grandi del paese: “La crisi più pesante che stiamo vivendo in Italia sono le culle vuote, un paese che non fa figli muore, l’Ungheria insegna”. Salvini ha assicurato di voler difendere le scuole private cattoliche, di voler attaccare quello che ha definito “il business delle case famiglia” e infine ha detto di voler fare una riforma fiscale per premiare le famiglie numerose. Il ministro ha assicurato di non voler cambiare le leggi vigenti, ma invece di voler combattere “la teoria del gender” e la gestazione per altri. “Le famiglie sono fatte di una mamma e di un papà”.
“La teoria gender per cui non esiste nessuna distinzione tra uomo e donna, io la combatterò finché campo, se il buon dio ci ha fatto diversi c’è un motivo”, ha detto il ministro. Per poi passare ad attaccare le donne che sfilavano in piazza per protestare contro il Congresso. “Mi incuriosiscono queste presunte femministe, parlano di diritti delle donne e fanno finta di non vedere qual è il vero pericolo per le donne: l’estremismo islamico”.
Per gli esperti che hanno seguito i lavori del congresso, l’evento ha avuto soprattutto una dimensione politica. “Stanno costruendo delle reti molto velocemente e in maniera molto efficace, specialmente in questo momento in cui in paesi come la Polonia, l’Ungheria e l’Italia la destra populista è al governo”, commenta un ricercatore dell’organizzazione European parliamentary forum for sexual and reproductive rights.
“Questi gruppi hanno una grande capacità manipolatoria e si sono concentrati su temi come la denatalità, la protezione della vita dal momento del concepimento, la protezione dei valori tradizionali e la lotta contro il secolarismo. Un tema sempre più presente è la lotta su internet”, racconta il ricercatore che è entrato in alcuni dei workshop del Congresso, inaccessibili per la stampa. “In uno dei workshop ci si è concentrati su come combattere su internet la diffusione di contenuti pedopornografici. Specialmente le organizzazioni russe si sono focalizzate su questo aspetto”, racconta. “Ma abbiamo capito che poi in questo modo riuscivano a mappare e individuare gli oppositori del Cremlino, quindi quella che sembrava una battaglia conto la pedofilia permetteva di fare un lavoro politico contro gli oppositori di Putin”, conclude.
“La parte più preoccupante è quella che riguarda i rapporti con la Russia: al Congresso delle famiglie era molto interessante osservare la presenza di gruppi russi molto radicali, questi personaggi erano presenti negli stessi eventi a cui partecipavano importanti politici italiani, questi rapporti sono quelli che dobbiamo studiare con più attenzione per capire che tipo d’impatto avranno o hanno già avuto sulle politiche dei nostri governi”, sottolinea il ricercatore.
Ovviamente per l’analista dell’European parliamentary forum for sexual and reproductive rights l’obiettivo più prossimo dei prolife sono le elezioni europee: “Brown è molto vicino a Trump e anche all’alt-right americana (la destra nazionalista e suprematista). L’obiettivo di questi gruppi è quello di colpire le minoranze, non devono necessariamente vincere le elezioni per colpire le minoranze sia al livello europeo sia al livello locale”. Secondo molte indiscrezioni il prossimo Congresso nel 2020 si svolgerà nel Brasile di Jair Bolsonaro.
Questo articolo nasce dal lavoro comune di un gruppo di giornali europei, Europe’s far right research network, in vista delle elezioni europee 2019. Ne fanno parte, oltre a Internazionale, Falter (Austria), Gazeta Wyborcza (Polonia), Hvg (Ungheria), Libeŕation (Francia) e Die Tageszeitung (Germania). Questo progetto ha vinto il premio Concordia-Preise per la libertà di stampa 2019.
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