“Se avete più di sedici anni, siete maturi, responsabili, allenati fisicamente, e v’interessa imparare le tattiche militari e maneggiare un’arma da fuoco, unitevi all’associazione dei fucilieri di Strzelec”. Questo è l’invito promozionale che campeggia sull’homepage del sito ufficiale di uno dei più noti gruppi paramilitari polacchi. Mentre in altre parti d’Europa l’idea di imbracciare le armi volontariamente fa sorridere, in Polonia fare la guerra – vera o finta che sia – non è solo un retaggio del passato, ma una realtà diffusa ancora oggi.

“Si vis pacem, para bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra”. Con indosso una divisa militare d’altri tempi, Krzysztof Wojewódzki, architetto e comandante dell’arma di Strzelec, recita il famoso detto latino mentre cammina per l’ampio salone di casa invaso dai cimeli di guerra. Se non è difficile immaginare che per lui “poco sia cambiato da allora,” seduti attorno al tavolo e con le uniformi dal taglio appena più moderno ci sono Marta e Daniel, entrambi di vent’anni, rispettivamente caporale e viceistruttore del gruppo, che annuiscono compiaciuti alle sue parole.

“La Polonia non ha mai smesso di essere minacciata”, sostiene Wojewódzki. “Per più di cent’anni è scomparsa dalle mappe, divisa in tre. Poi, quando ha ottenuto l’indipendenza alla fine della prima guerra mondiale, è caduta vittima prima dell’occupazione tedesca e successivamente di quella russa”.

La guerra ibrida
Gran parte dei gruppi paramilitari polacchi ha una tradizione risalente ai primi del novecento ed è nota per aver formato il cuore di quell’esercito di volontari, divenuto l’esercito nazionale polacco, che dopo il 1915 garantì la sua liberazione. La travagliata storia polacca spiega però solo in parte perché negli ultimi due anni il numero d’iscritti alle 120 organizzazioni paramilitari attive in Polonia sia più che triplicato.

Dal 2014, quando cioè la Russia ha cominciato “una guerra ibrida” – giocata sul piano militare ma anche virtuale – contro l’Ucraina, la combinazione tra motivi pratici di difesa in caso di aggressione e sentimenti patriottici e nazionalistici incoraggiati dalle autorità polacche, pronte a sacrificare la democrazia in nome dell’ordine e della tradizione, ha fatto crescere esponenzialmente l’interesse per la guerra.

La partecipazione alle organizzazioni militari è volontaria e la loro struttura rispecchia fedelmente quella dell’esercito regolare

“In passato, i padri incoraggiavano i figli a seguire gli addestramenti militari e a usare le armi. Per me bisogna far rivivere quest’usanza, perché ogni uomo ha il dovere di combattere”, spiega Damien Duda, vicepresidente della Legia akademicka, e insegnante di una delle 1.500 classi in uniforme del paese. “Sono certo che almeno agli inizi di una futura crisi militare la Polonia dovrà affrontare il nemico da sola”. La vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi, accompagnata da feroci proclami a favore di un disimpegno dalla Nato e da un avvicinamento “all’orso russo”, ha ingigantito paure già esistenti.

L’addestramento tenuto da un’unità dell’esercito polacco ai fucilieri di Strzelec, nel settembre del 2016. (Eleonora Vio)

Anche se il servizio militare obbligatorio è stato abolito solo nel 2008, le nuove generazioni non smettono di sentirsi protagoniste della vita militare del paese. Da un lato, grazie alle storie di nonni e parenti, le pareti delle case rimbombano ancora dei colpi di proiettile. Dall’altro, il governo ultraconservatore e cattolico di Diritto e giustizia (Pis), insieme ai movimenti e partiti ultranazionalisti, punta sul patriottismo e sulla longeva tradizione bellica, per allargare le basi del loro già ampio consenso e affermare con orgoglio l’identità nazionale.

La partecipazione alle organizzazioni militari è volontaria e la loro struttura rispecchia fedelmente quella dell’esercito regolare, con un corpo centrale che funge da centro nevralgico e le unità territoriali che si addestrano autonomamente. Gli obiettivi di ciascun gruppo, simili a quelli perseguiti dai medesimi tra la prima e la seconda guerra mondiale, cioè prima del veto del regime comunista, consistono nell’impartire una solida conoscenza della storia e dei valori patriottici, e garantire la giusta preparazione fisica per affrontare guerre e calamità.

Pratico ultranazionalismo
Perfino gli striscioni degli ultras della Legia Warsaw mostrano la “P” rovesciata e arricciata, simbolo della rivolta di Varsavia contro l’occupazione nazista, e per accrescere il loro consenso tra la popolazione le autorità hanno riabilitato anche icone prima maledette. “Il mio mito è Inka, che a soli diciassette anni e sotto tortura non si è piegata ai sovietici”, dice Agnes della Legia akademicka, con gli occhi che le brillano.

Sebbene i membri delle organizzazioni paramilitari possano decidere di arruolarsi nell’esercito o nella polizia, oppure continuare ad addestrarsi per sola passione e mollare tutto per tornare alla vita normale, le autorità hanno cominciato a intuire il potenziale di una così ben rodata macchina da guerra.

L’influenza dei paramilitari si estende a tutta la società. Le “classi in uniforme” abbinano agli studi classici del liceo la pratica militare e spopolano tra i giovani. “Indossare la divisa è una grande responsabilità”, bisbiglia il timido Tomas, mentre la sua compagna di banco si atteggia a prima della classe ed elenca date e nomi degli eroi nazionali. Nelle università la competizione tra i gruppi si fa più intensa. “Avevo già adocchiato l’associazione di Strzelec, ma ho aspettato di entrare all’università per farne parte”, dice Marta, che vuole perseguire la carriera militare dopo la laurea. “Almeno due volte alla settimana le organizzazioni presentano i loro programmi e metà della mia classe ha già aderito”.

Piotr Czuryllo con suo figlio, nel settembre del 2016. La sua è una famiglia di survivalisti, che vive isolata vicino alla città polacca di Olsztyn. (Eleonora Vio)

In città ci pensa il governo a organizzare commemorazioni, funerali di stato e spettacoli in onore dei caduti, mentre, poco distante dall’enclave russa di Kaliningrad, Piotr Czuryllo, portavoce ufficiale dei cinquantamila survivalisti polacchi, vive isolato con la sua famiglia. Associare quest’uomo buffo e dai modi new age al rigore paramilitare può sembrare azzardato. Eppure, lo stesso individuo che, con aria assorta, la tuta camouflage e la bandana in testa, prevede come “in tempo di crisi si tornerà al caos originario e si dovrà per forza cooperare con la natura”, oltre a conoscere e possedere diverse armi da guerra, e sapersi procacciare cibo e acqua con facilità, a giugno ha organizzato il primo Congresso paramilitare di fronte alle autorità.

In quella sede si è parlato per la prima volta della Forza territoriale di difesa che, al suo completamento nel 2019, conterà 35mila uomini in funzione esclusivamente antirussa. “Questo dipartimento del ministero della difesa è molto importante, perché consente di sviluppare il potenziale dei gruppi paramilitari in ambito militare”, spiega uno degli ideatori del progetto, Waldemar Zubek, mentre alle sue spalle alcuni soldati dell’esercito regolare insegnano ai paramilitari come lanciare granate e sparare con precisione. “Quest’arma è rigorosamente apolitica”, spiega tranquillo, “e a chi critica il governo accusandolo di creare un suo esercito personale, dico che per affrontare l’imminente minaccia russa abbiamo bisogno di molti uomini”. A destare preoccupazione, però, è l’infiltrazione di elementi ultranazionalisti, che trovano pochi ostacoli visti i criteri ancora opachi di selezione e le tendenze estremiste del ministro della difesa.

E mentre era stato proprio il ministro a dire che “sarebbe sbagliato escludere qualcuno per le sue idee politiche”, il rappresentante del Pis, Konrad Zieleniecki, conferma le paure di molti. “La Forza territoriale di difesa è l’unica occasione per gli ultranazionalisti polacchi di esprimere il loro patriottismo in modo pratico”.

Ha collaborato Costanza Spocci.

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