La crescita senza controllo dei lavori precari in Cina
Il governo cinese le ha dato perfino un nome: yi chuangye daidong jiueye, “usare le startup per promuovere l’occupazione”. È una strategia che prevede lo spostamento del baricentro dell’economia dall’industria ai servizi, con la creazione di lavoretti flessibili che, secondo dati ufficiali, sono pagati tra il 24 e il 45 per cento in meno rispetto a quelli nei vecchi conglomerati di stato o nelle grandi aziende private.
È la gig economy alla cinese, un “pozzetto di raccolta” (catch basin in inglese) dove finiscono persone disoccupate di mezza età e giovani migranti, secondo la definizione della analista di Gavekal Dragonomics, Ernan Cui.
Il governo ha pensato di agevolare la registrazione di nuove startup, che possono facilmente accedere a finanziamenti bancari, cominciare l’attività e dare lavoro a chi non lo trova nelle occupazioni tradizionali. Sottopagato, ovviamente.
Quando pensiamo a Jack Ma, guru del commercio online che nel suo essere “modello d’ispirazione” ha appena annunciato la decisione di lasciare la presidenza di Alibaba perché preferisce “morire su una spiaggia che in ufficio”, non possiamo fare a meno di ricordare cosa scriveva il suo biografo, Duncan Clark: “Senza le consegne a basso costo offerte dai corrieri espressi, Alibaba non sarebbe il gigante che è oggi. Per sopravvivere a una concorrenza spietata, alcune imprese di consegne hanno adottato metodi intelligenti per contenere i costi al livello più basso. A Shanghai, per esempio, i corrieri fanno la spola avanti e indietro in metropolitana, passandosi i pacchi oltre i tornelli per evitare di dover acquistare più biglietti”.
In un paese dove non esiste la figura del medico di base, l’app Yihudaojia si è sostituita al servizio sanitario nazionale
Avevo già citato questo passaggio in un articolo di due anni fa per Internazionale perché offre un’immagine forte: i cunicoli della metropolitana diventano la nuova fabbrica in cui si snoda una catena di montaggio fatta di forza lavoro iperflessibile, con garanzie ridotte rispetto alle generazioni precedenti. Lo spazio pubblico viene messo al lavoro, così come le vite del precariato dei “lavoretti”; Jack Ma, intanto, comunica al mondo che è meglio morire su una spiaggia.
“Era inverno, faceva freddo e non volevo uscire dall’ufficio, ma desideravo comprarmi un paio di pantaloni al Village di Sanlitun”, dice Wang Haijing, una produttrice di trent’anni di Pechino. “Con la app di Baidu, Waimai, ho mandato un tipo a comprarli, poi me li ha portati a Tuanjiehu. Il tutto per 20 renminbi”. Tra Sanlitun e Tuanjiehu ci sono 300 metri, 20 renminbi sono 2,50 euro.
Nelle grandi città cinesi ormai tutto sembra essere gig economy, con cui una app del telefono attiva i servizi più disparati.
Per le faccende domestiche, con 58Tongcheng, sii può chiedere una a’yi – la donna delle pulizie – l’idraulico o perfino il tecnico che viene a disinfettare il condizionatore d’aria. Ma basta fare una ricerca in rete per scoprire che esistono almeno una sessantina di app per prenotare un massaggio a domicilio.
Rimanendo alla cura della persona, con Helijia si può convocare un consulente d’immagine – che dice come vestirsi – per non parlare di manicure, pedicure, estetista, personal trainer.
C’è tutta la gerarchia dei servizi, nella gig economy cinese. Con Zhubajie, professionisti del settore arrivano in aiuto con logo, immagine coordinata e copyright; ma tornando nei lavori a basso valore aggiunto, attraverso eDaixi si può ordinare a qualcuno di venire a casa, raccogliere tutti i vestiti sporchi e poi cercare la lavanderia che costa meno. Notare il dettaglio: non è una lavanderia che offre un servizio a domicilio, bensì un lavoratore chiamato attraverso un’app che porta a spasso i vestiti sporchi di qualcun altro cercando il servizio più conveniente.
In un paese dove non esiste la figura del medico di base, Yihudaojia si è sostituita al servizio sanitario nazionale. Attraverso la app si può ordinare un medico o un infermiere a domicilio, “oltre 43mila di cui l’80 per cento provenienti dai migliori ospedali”, promette il sito. Un’iniezione costa 139 yuan (17 euro), un prelievo del sangue 149, mentre per mettere, togliere o cambiare il catetere si sale fino a 189 (quasi 24). Ma si possono avere sconti.
Una crescita senza controlli
Con il cibo poi l’elenco è impressionante. Non ci sono solo Waimai (Baidu), Eleme (Alibaba) e Meituan (Tencent), bensì anche piccole startup specializzate in particolari esigenze alimentari e, soprattutto, diffuse a livello locale. Jinshisong tratta il cibo che arriva dai ristoranti di tendenza, Huijiachifan la cucina casalinga, giusto per fare due esempi. A volte sono gli stessi ristoranti che scavalcano l’intermediario e creano la propria app corredata di servizio pony express a domicilio.
In Cina, oltre il 90 per cento dei nuovi lavori è nato nel settore dei servizi che, secondo l’ufficio statale per l’industria e il commercio, impiegava 230 milioni di cinesi alla fine del 2016, suddivisi tra lavoratori dipendenti e autonomi: 27 milioni in più rispetto al 2015 (più 27 per cento). Un rapporto del centro informazioni dello stato rivela che sempre nel 2016 circa 60 milioni di persone avevano offerto qualche tipo di servizio attraverso piattaforme online, un aumento del 20 per cento rispetto al 2015. Molti sono lavoratori che hanno già un impiego più o meno stabile e che ricorrono alla gig economy per arrotondare.
Il rischio e l’incertezza ricadono sul dipendente, come in tutto il mondo, però con numeri cinesi
“L’aspetto positivo di questo tipo di lavoro è che i lavoratori possono avere maggiore controllo su quando e dove lavorano. Il rovescio della medaglia è l’assenza di copertura sociale da parte del governo e di benefit da parte del datore di lavoro, come l’assicurazione e le ferie pagate”, dice Ernan Cui.
Insomma, tutto il rischio e l’incertezza economica ricadono sul dipendente e non sul datore di lavoro, come in tutto il mondo, però con numeri cinesi. Il che amplifica la sensazione di una società duale, i garantiti e i non garantiti, i serviti e i servitori, due poli che si allontanano. Si parla di centinaia di milioni di persone. Altra peculiarità cinese è il fatto che le imprese non sono assolutamente incentivate a mettere in regola la propria forza lavoro. Si calcola che per ogni precario che diventasse dipendente, i contributi obbligatori a carico del datore di lavoro supererebbero di circa il 45 per cento il costo complessivo del lavoratore.
“Oggi, il vero problema nel mercato del lavoro cinese non è il numero di posti di lavoro cancellati, ma la qualità di quelli che vengono creati”, dice Ernan Cui.
E quindi le proteste che ne derivano.
Secondo China Labour Bulletin, l’estate appena trascorsa è stata contraddistinta da un’ondata di lotte nel settore della consegna di cibo, con “incidenti” (come sono indicate le proteste che riguardano più di cento persone) registrati in Yunnan, Jiangsu, Shandong, Zhejiang, a Chongqing, a Shanghai, in Guangdong, Jilin, in Hunan, Guangxi e Shanxi. Molte di queste lotte riguardano lavoratori di Meituan, l’azienda citata sopra. Tra i motivi di disagio, ci sono la riduzione della paga per ogni consegna a fronte di una parallela riduzione dei tempi richiesti per effettuarla; l’aumento delle penali in caso di ritardo, con ulteriori penali per chi si rifiuta di prendere ordini impossibili da completare entro il tempo assegnato.