Come funziona la lotta alla povertà nella Cina di Xi Jinping
Liu Jun non ha i denti davanti a parte i due canini, il che lo fa sembrare un simpatico vampiretto dalla fronte alta. Un Dracula triste, che lavora sei giorni a settimana sottoterra, in una miniera di carbone. Lavoro infame e massacrante: con moglie e due figli, lui non arriva a cinquemila yuan al mese, poco più di seicento euro.
Mi racconta che vorrebbe aprire un negozio, uno qualsiasi, probabilmente il sogno condiviso dal novanta per cento del proletariato cinese: ci provi con i telefoni, se va male passi a grappa e sigarette. Lui però non ha il capitale e il guanxi, la rete relazionale. Ed è forse anche per procacciarsi queste due cose che Liu Jun è qui, a mangiare e sbronzarsi nel retrobottega di un negozio che vende repliche militari di ogni tipo: uniformi che somigliano a quelle dell’Esercito popolare di liberazione, bottiglie di baijiu (acquavite) a forma di granata, modellini di carrarmato e poi l’articolo all’ultimo grido: la mascherina anticovid della polizia cinese con elastico regolabile dietro alle orecchie, blu scura con la scritta jingcha (polizia) sul filtro dell’aria e police – l’equivalente in inglese – su un bordo.
Sarà originale, sarà una replica? Chi lo sa, in fondo è un poliziotto anche il titolare di questo negozio che si chiama Xin Shidai Huwai, “Attività all’aperto per la nuova era”. Un nome azzeccato, perché echeggia il “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, il nome che viene dato alla filosofia politica del presidente cinese. Quanto alle attività all’aperto, il negozio organizza campi paramilitari per bambini, cavalcando l’onda patriottica. La moglie del poliziotto mi mostra orgogliosa le foto dei campi: c’è lei in mimetica che urla alla truppa, c’è qualche pargolo in mimetica che piange a dirotto. Mi spiega che piangono perché non vogliono andarsene dopo la settimana d’addestramento.
Qui, in questo retrobottega dove si mangia e si beve, sono tutti ex commilitoni, tutti ardenti nazionalisti che nel loro profilo WeChat, l’applicazione per lo scambio di messaggi più diffusa nel paese, hanno immancabilmente la bandiera cinese in bella mostra. E forse Liu Jun potrà trovare nella combriccola anche chi lo può aiutare a emergere dalle viscere della terra.
Terra gialla
Siamo nella contea di Xing, una delle dieci più povere dell’intero paese, nella provincia dello Shanxi, lungo il corso del fiume Giallo. Questa zona, tradizionalmente legata al carbone e alle attività contadine, è il cuore della civiltà cinese. Nelle strade secondarie che la percorrono un tempo passavano centinaia di camion carichi di combustibili fossili. Le strade sono piene di buche anche oggi. Un tempo si diceva che fossero i contadini a scavarle: il camion ballonzolava, il carbone cadeva dal cassone e loro erano pronti ad arraffarlo per riscaldare le proprie case.
Intorno al capoluogo Xing si estendono le colline di loess, la terra gialla, dove fino a pochi anni fa la gente viveva ancora negli yaodong, le grotte scavate nella roccia. Se ne vedono ancora parecchi, ma la popolazione ormai vive in case di pietra e calce anche nei villaggi. Ovunque, in questa Cina profonda e contadina, compaiono sui muri slogan inequivocabili: “Una precisa assistenza ai poveri che non lasci indietro nessuno”.
Negli ultimi quarant’anni la Cina è riuscita a far superare la soglia di povertà estrema a 850 milioni di persone. È stata un’opera immane, un risultato mai visto nella storia dell’umanità, su cui si fonda una buona fetta di legittimità del Partito comunista. Per povertà estrema oggi s’intende un reddito annuo inferiore ai 3.218 yuan. Con il cambio attuale sono circa 1 euro e 10 centesimi al giorno. Molto meno di quanto prende il nostro amico Liu Jun, il minatore. Sono i contadini quelli che se la passano peggio.
Entro la fine del 2020 Pechino vuole terminare l’opera, emancipando cinque milioni e mezzo di cinesi che sono ancora sotto la soglia della povertà, soprattutto nelle zone rurali, come la contea di Xing. Nonostante la contrazione economica dovuta al nuovo coronavirus, le autorità hanno riconfermato questo obiettivo.
“Qui, fino all’anno scorso, la soglia di povertà era stabilita intorno ai 3.600 yuan, adesso l’abbiamo elevata a cinquemila, segno che le cose pian piano migliorano”. A parlare è Zhang Zhiwei, un altro dei convitati nel retrobottega e soprattutto il segretario dell’associazione volontari della contea, un’organizzazione del Partito che si occupa proprio di lotta alla povertà nei villaggi. È un giovane riflessivo, dallo sguardo profondo. Gli altri parlano di lui come del “futuro segretario del partito” nella contea di Xing. “Più del reddito pro capite, sono importanti le condizioni di vita: mangiare e vestirsi, quelle che noi chiamiamo le due necessità. Poi ci sono le tre garanzie: alloggio, assistenza medica e istruzione”, spiega.
Dalla presa di potere dei comunisti nel 1949, gli elenchi puntati servono a far comprendere lungo tutti i livelli dell’apparato statale quali siano gli obiettivi da perseguire. Le due necessità e le tre garanzie rientrano perfettamente in questa tradizione, che serve a mobilitare le masse. Lo studioso cinese Li Zhiyu nella raccolta Afterlives of chinese communism scrive che “la mobilitazione (dongyuan) è un concetto fondamentale nella politica cinese contemporanea. Indica l’uso di un sistema ideologico per incoraggiare, o costringere, i membri della società a partecipare a determinati obiettivi politici, economici o sociali”.
Nelle campagne oggi l’imperativo è quello di preservare l’ambiente
La lotta alla povertà e la lotta al virus sono i due esempi più recenti di mobilitazione. Questo mostra a cosa serve questo approccio: ad affrontare emergenze (la pandemia) o priorità politiche (la lotta alla povertà), situazioni comunque eccezionali. L’eccezionalità della crisi sanitaria a Wuhan e poi nel resto della Cina ha richiesto uno sforzo collettivo gestito dal partito; e un’analoga eccezionalità richiede la riduzione della povertà. Anzi, la seconda mobilitazione viene da più lontano. I quadri del partito sono la prima linea di questo sforzo collettivo. Il giovane Zhang Zhiwei è uno di loro.
“Nella riduzione della povertà intervengono funzionari di contea, gruppi di lavoro e segretari di villaggio”, spiega Zhang. “Nei villaggi ci sono quadri che sono specificamente responsabili del programma, che pianificano le misure con la sezione locale del partito. Si convocano assemblee dei residenti e si decide come migliorare l’ambiente o l’economia, per esempio piantando alberi. Quest’anno i contadini ne hanno piantati tantissimi e sono stati pagati a giornata, 120 o 150 renminbi presi dai fondi collettivi del villaggio”. Nelle campagne oggi l’imperativo è quello di preservare l’ambiente mentre si rincorre lo sviluppo. “C’è il famoso detto del presidente Xi Jinping: acqua limpida e montagne verdi valgono come oro e argento”, aggiunge.
Birra e spiedini di pecora
Andiamo in uno di questi villaggi delle campagne di Xing. A farci da guida è Xiao Ma, incontrato per caso la sera prima mentre mangiava in compagnia seduto a una bancarella. In questa Cina lontana da tutto nessuno applica il distanziamento sociale e nessuno usa la mascherina. “Zero casi, qui da noi”, proclamano orgogliosi. Siamo poveri, almeno abbiamo scampato la pestilenza, pensano.
Xiao Ma è un personaggio che esemplifica la sovrapposizione tra diverse Cine, fatte di mondi ed epoche diverse. È una specie di celebrità su Kuaishou (“Mano lesta”), l’app per condividere video che nella Cina profonda fa concorrenza a Douyin, quella conosciuta nel resto del mondo come TikTok. Sono milioni i cinesi che diffondono video autoprodotti in cui “fanno cose”: cantano, ballano o mangiano robe improbabili, anche metallo. Lui ha carattere, è simpatico, ha la parlantina e molti follower, così promuove anche il ristorantino che ha rilevato da poco: birra e spiedini di pecora.
Sua madre vive in un villaggio sulle colline, in una casetta di pietra dall’ingresso ad arco, che sembra un vecchio yaodong, con una corte all’esterno e un solo ambiente abitativo. Sul muro di fondo, sopra il kang (il letto contadino), svetta un grande poster da cui il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang salutano sorridenti, con una scritta rossa in epigrafe: “Nuova era, nuovo viaggio, nuovo capitolo”. C’è un altro ritratto di Xi, ma la signora evidentemente non aveva più spazio e l’ha appeso dietro alla porta, con una scopa di sterpaglia che penzola di fronte al naso del presidente. “Sono venuti gli ispettori, ci hanno fatto delle domande e hanno detto che siamo usciti dalla povertà”, racconta la donna. “Qui o coltiviamo la terra o di solito andiamo a lavorare fuori”.
Gliel’hanno detto, ai contadini, che sono usciti dalla povertà. Ma non è che la loro vita sia cambiata molto. Gli abitanti del villaggio sono quasi esclusivamente anziani e portano incisa sul corpo tutta la fatica dell’esistenza. Rughe, ma non solo. Alcuni sono storpi, altri soffrono di demenza. Una corte dei miracoli medievale nella superpotenza cinese. Xiao Ma distribuisce sigarette a un gruppetto con cui ci intratteniamo.
“Quest’anno c’è stata la siccità”, raccontano, “non cresce neppure l’erba, figuriamoci il granturco. L’acqua basta appena per bere e cucinare. Le politiche del governo sono anche buone, ma quando arrivano qui da noi qualcosa non va”. Per loro il problema è soprattutto la corruzione dei funzionari. Su un muro del villaggio è dipinta una grande mano che piove dal cielo – per noi sarebbe dio, per loro il partito – che agguanta un furfante in fuga con un sacchetto pieno di soldi.
In occidente è difficile capire che la campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping al suo insediamento, nel 2013, non è solo un regolamento di conti interno. Per questa gente è giustizia applicata, restituzione del maltolto, speranza. E grazie a essa il sistema ha recuperato credibilità. È questo il motivo per cui Xi Jinping ha consenso in Cina. “Ai tempi di Mao non osavano farsi corrompere”, commenta un vecchio contadino. “Venivano subito puniti”.
Zhang Zhiwei ha una sua idea sulla corruzione: “C’è già dai livelli più bassi”, spiega. “La gente fa regali anche per ottenere quello che già le spetta. Regali cinque chili di carne al funzionario e lui non sa che fare perché sbaglierebbe comunque, che li accetti o no. Va così, salendo di livello in livello. I cinesi sono molto legati alle relazioni interpersonali”.
Sono gli stessi funzionari a elevare lo status delle famiglie più povere. Fuori dai villaggi ci sono grandi lavagne che riportano i nomi dei nuclei familiari che vivono sotto la soglia di povertà, con di fianco la data prevista per la loro promozione; nella terza colonna, il nome del funzionario responsabile. Dalla buona riuscita della cosa dipende la carriera del funzionario.
“Non c’è nessuno al mondo così sotto pressione come un funzionario locale cinese”, spiega Wang Hui, intellettuale della nuova sinistra cinese, professore di lingua e letteratura cinese all’università Tsinghua di Pechino. In alcuni “villaggi poveri” i funzionari visitano di continuo le famiglie certificate come indigenti, si interessano, chiedono cosa sia meglio fare per migliorare la loro condizione, insistono per offrire un lavoro al capofamiglia o un’opportunità ai figli. “I vicini di casa magari hanno un reddito di poco superiore”, mi spiega un giornalista cinese che preferisce restare anonimo, “ma stanno sopra la soglia di povertà estrema e quindi nessuno si occupa di loro”.
Zhang Zhiwei è convinto che si stia lavorando bene: “Se uno di questi contadini pensa di coltivare il miglio, fa una richiesta al governo e gli vengono fornite sementi per un tipo di miglio organico, di qualità, ad alta resa. In questo modo potrà anche guadagnare di più. Ma non consideriamo solo il reddito, bensì la qualità della vita. Fino a qualche anno fa, nei villaggi vedevi spazzatura dappertutto, adesso anche l’acqua dei canali è pulita. Prima erano praticamente delle fogne. Anche la vita nel tempo libero è migliorata, ci sono nuovi giardini, spazi pedonali dove la gente può trovarsi a ballare”. Una volta migliorato il tenore di vita dei contadini, si continua il monitoraggio per due anni.
Scuole senza bambini
In Cina la lotta alla povertà estrema si sovrappone ad altre politiche che riguardano il mondo contadino, condensate nella formula “costruire un contado socialista”. L’idea è quella di ridurre il gap tra città e campagna facendo investimenti mirati nei villaggi.
Secondo Kristen E. Looney, autrice di Mobilizing for development, uno studio sulla modernizzazione in tutta l’Asia rurale, la Cina ha una grande capacità di mobilitazione, ma una bassa capacità di controllarla, cioè di monitorare i funzionari, il che è un retaggio della decentralizzazione messa in atto negli anni ottanta e novanta per scatenare le forze produttive. I governi locali spesso ricorrono alla vendita di terre ai costruttori come metodo più semplice per rimpinguare le casse, oppure si lanciano in progetti infrastrutturali inutili. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 le politiche hanno incoraggiato la speculazione immobiliare. All’inizio doveva essere una politica degli alloggi mirata per i contadini, poi è diventata un costruire fine a e stesso.
Fa effetto vedere come in tutti i villaggi della contea ci sia una scuola sempre senza bambini, dato che sono rimasti solo i vecchi. “I bambini sono meno, perché ai tempi ogni famiglia poteva avere tre o quattro figli, adesso al massimo due”, spiega Zhang. Ma c’è una seconda ragione ancora più importante, il fatto che la gente dà molta più importanza all’istruzione. Quindi quelli del villaggio cercano di mandare i figli a studiare nella contea, quelli della contea in città, quelli della città nel capoluogo e quelli del capoluogo all’estero”.
La scuola di uno villaggi che visitiamo è vuota e cadente. “Probabilmente è stata ristrutturata dopo il terremoto del Sichuan”, continua Zhang. Quando nel 2008 il sisma provocò più di novantamila morti, distruggendo almeno 15 milioni di edifici, in Cina scoppiò la polemica sulle cosiddette “case di tofu”. La sensibilità dei cinesi fu particolarmente scossa dalla strage di bambini, dovuta al crollo di almeno settemila scuole. Cominciò così una politica nazionale, con investimenti cospicui per la ristrutturazione o la ricostruzione degli edifici scolastici: investimenti anche dove probabilmente non ce n’era bisogno.
“Prima anch’io pensavo fosse uno spreco”, continua Zhang Zhiwei, “adesso credo che comunque questi edifici rimessi a posto possano essere usati in qualche modo. Il governo del villaggio può decidere di riadattarli per attività sociali o piccole biblioteche”.
La visione del governo cinese è quella di trasformare l’agricoltura di piccola scala in una vasta agricoltura industriale a produttività maggiore, trainata dalle cosiddette “imprese dalla testa di drago” (longtou qiye), conglomerati alimentari dove esperti agronomi si sostituiranno ai contadini per produrre il necessario a sfamare il crescente ceto medio e per rendere la Cina sempre più autonoma dal punto di vista alimentare, al riparo dalle congiunture globali. In prospettiva, i contadini dovrebbero trasferirsi in nuove “città sostenibili”. Urbanizzazione, efficienza produttiva, politiche del lavoro, lotta alla povertà: è evidente la sovrapposizione delle diverse agende in questa Cina governata dalle esigenze dello sviluppo. Pechino deve incastrare tutto ed esercitare anche un controllo su come le politiche vengono messe in pratica a livello locale.
Uno dei problemi è che spostare la popolazione in città o in nuovi palazzoni assurdi in mezzo al nulla non basta a rendere queste persone più ricche, quindi c’è una fetta sempre più ampia di persone che dipende esclusivamente dallo stato sociale. Sono soprattutto anziani, contadini, sono loro i cinque milioni e mezzo ancora sotto il livello di povertà o comunque costantemente a rischio di tornarci. Come quelli sparsi nelle campagne di Xing.
Zhang Zhiwei riconosce che tra questa gente si è diffusa una cultura assistenzialista. C’è perfino chi non vuole superare la soglia di povertà, perché così arrivano gli aiuti. “Questa mentalità deriva dall’abitudine a ricevere merce o denaro”, spiega. “In realtà, la riduzione della povertà non è questo. Quelle sono misure provvisorie, è importante sostenersi autonomamente, sviluppare attività produttive”. Dura la vita del funzionario di provincia, chiamato a emancipare il popolo dalla povertà.
Una donna ci fa entrare nella sua abitazione, dove ha riempito una stanza di letti a castello, trasformandola in un dormitorio che affitta agli operai della vicina autostrada. Si lamenta perché la casa è pericolante e indica un muro che si sta sgretolando. “Se si pensa che un edificio sia pericolante, si fa richiesta d’ispezione”, sospira Zhang.
“Per uscire dalla povertà non aspettare l’aiuto del cielo; per arricchirsi, bisogna essere intraprendenti”, avverte uno slogan scritto a grandi caratteri su un muro del villaggio. Aiutati, che il ciel t’aiuta.