Si presenta come una superpotenza umanitaria, si è ripresa rapidamente dalla crisi finanziaria globale, ha livelli molto bassi di disoccupazione e la reputazione di essere uno dei paese più innovativi d’Europa. Ma la Svezia è anche il posto dove uno straniero ha il triplo delle possibilità di restare senza lavoro rispetto a uno svedese, e da dove arrivano regolarmente notizie di persone morte nel corso di sparatorie e di attacchi con ordigni esplosivi.
La Svezia è un paese di successo o un esempio da non imitare? Mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha lodato il modello svedese definendolo “una fonte d’ispirazione”, quello statunitense Donald Trump lo ha citato per denunciare i pericoli dell’immigrazione.
Nessun luogo illustra le linee di frattura della società svedese meglio della prospera città di Göteborg. “Registriamo una forte crescita, la disoccupazione è in calo, le nostre aziende vanno bene, costruiamo nuove case e infrastrutture”, spiega Ann-Sofie Hermansson, la sindaca di centrosinistra. Ma c’è anche un altro lato della medaglia. “È una città molto divisa. Le disuguaglianze producono tensioni sociali, criminalità e nuovi estremismi”.
Un momento decisivo
Questo dibattito coincide con un momento importante per la Svezia, che il 9 settembre andrà alle urne per le elezioni legislative. Mentre aumentano i consensi verso i Democratici svedesi, un partito ostile all’immigrazione, il Partito socialdemocratico (al potere) potrebbe ottenere uno dei peggiori risultati di sempre. A Göteborg i socialdemocratici potrebbero diventare addirittura il quarto partito, un risultato umiliante e senza precedenti.
Maud, un’infermiera di 64 anni, ha appena finito il turno di notte e sta comprando salsicce in una macelleria del Saluhallen, il vivace mercato alimentare del centro di Göteborg. Si vive bene in città, afferma la donna. Il valore del suo appartamento è cresciuto di sei volte da quando l’ha comprato trent’anni fa. “Posso permettermi di comprare molte cose belle”, aggiunge. Al braccio sfoggia una costosa borsa Marimekko.
Lo stato scandinavo, che ha dieci milioni di abitanti, si è ripreso dalla crisi finanziaria meglio di qualunque altro grande paese occidentale, perfino più velocemente degli Stati Uniti. Oggi la sua economia è solida, le finanze pubbliche sono in ordine e il debito pubblico è basso. La disoccupazione è appena sopra al 6 per cento, ma è lo stesso un dato deludente per il governo di Stoccolma, che avrebbe voluto registrare il tasso più basso di tutta l’Unione europea (nella Repubblica Ceca è il 2,2 per cento).
L’edilizia è in pieno boom e il centro di Göteborg è in gran parte un cantiere dove si costruiscono nuovi trafori, ponti, edifici residenziali e commerciali. Le vecchie fabbriche e i cantieri navali vengono trasformati in case e uffici moderni. Le polemiche relative ai costi di una nuova e ingombrante ferrovia sotterranea hanno portato alla nascita di un nuovo partito locale, i Democratici, una formazione di centro che oggi è in testa nei sondaggi.
Ma mentre a Göteborg i prezzi delle case sono aumentati dell’80 per cento negli ultimi dieci anni, l’indebitamento delle famiglie svedesi è tra i più alti al mondo. Gli stipendi non crescono. Maud si lamenta che per suo figlio è difficile comprare una casa, soprattutto nel centro città.
Aziende del futuro
Anche nei quartieri dove si concentrano le attività produttive c’è fermento. Molte grandi aziende vanno a gonfie vele. Tra queste c’è la Mölnlycke health care, che produce materiali all’avanguardia per le medicazioni.
L’azienda ha sede a Örgryte-Härlanda, un quartiere vicino al centro storico che ha sempre avuto un basso profilo, ma che ora è in forte sviluppo, con nuovi palazzi che sorgono un po’ ovunque. Mölnlycke health care fa capo alla società d’investimenti della più importante famiglia d’imprenditori svedesi, i Wallenberg, e produce in gran parte per gli Stati Uniti. Tuttavia le attività di ricerca e sviluppo sono concentrate in Svezia.
L’azienda meccanica Skf, una delle più importanti dell’industria svedese, ha sede là vicino. Nel suo impianto di produzione di cuscinetti a sfera i robot svolgono gran parte del lavoro. La Skf continua comunque a impiegare tremila dipendenti. I progressi tecnologici rendono Göteborg, e la Svezia in generale, competitivi a livello mondiale, spiega l’amministratore delegato Alrik Danielson.
Danielson loda i sindacati per aver contribuito a costruire un modello economico basato sul consenso, e si dice convinto che i lavoratori altamente qualificati e le competenze tecnologiche possano trasformare l’economia svedese: “Se sfrutteremo al meglio quest’occasione, la Svezia potrebbe vivere un secondo boom industriale”.
Puntare sulla scuola
Aiutare gli svedesi e i nuovi arrivati a ottenere le competenze necessarie a trovare lavoro è una delle principali preoccupazioni di Johannes Lyche, preside della scuola Brandströmska, nel quartiere di Östra Göteborg. All’ingresso dell’istituto viene abbracciato da un allievo del primo anno che lo saluta con un tenero “Hej, rektor”. Con 350 iscritti di età compresa tra l’anno, all’asilo nido, e i 16 anni, la scuola è sulla linea del fronte nella lotta per l’integrazione.
La maggior parte degli studenti è nata in Svezia, spiega Lyche, ma il 70-80 per cento parla lo svedese come seconda lingua. Solo il 60 per cento dei ragazzi che escono dall’istituto continua a studiare, un dato più basso rispetto alla media nazionale, mentre il resto abbandona gli studi o fallisce i test d’ammissione.
La scuola è fondamentale per l’integrazione. Secondo gli esperti del mercato del lavoro, i bassi tassi d’occupazione tra i migranti di prima o seconda generazione spesso riflettono i bassi livelli d’istruzione. Il primo obiettivo della Brandströmska è garantire che gli studenti parlino fluentemente lo svedese. “Dominare la lingua è un modo per superare molti ostacoli. Inoltre cerchiamo di coinvolgere di più i genitori nell’istruzione dei figli. Molti di loro sono spesso disorientati”, aggiunge Lyche.
Forse la più grande sfida per l’integrazione è il lavoro
I rischi per i ragazzi della Brandströmska sono evidenti nella vicina moschea Bellevue, frequentata da persone che sono poi state condannate per terrorismo e da presunti estremisti islamici. In questo centro di culto molti sono ostili verso i mezzi d’informazione, che accusano di occuparsi dell’islam solo in relazione al terrorismo.
“Questo tipo di conflitti culturali è alimentato dai giornali. Ma non fa bene alla società. Io non sono un estremista. I nuovi arrivati hanno la responsabilità d’integrarsi nella società”, dice un uomo pachistano che lavora per la Volvo. Anche se ha conseguito un master, ha faticato a trovare un lavoro in Svezia. Ha spedito più di cento curriculum, senza ricevere risposte. “In Svezia hanno una cultura tutta loro. Hanno costruito una società molto omogenea e non è facile entrare a farne parte”, sostiene.
Separati dalla città
Alla fine della linea del tram, a 12 chilometri dalla stazione centrale di Göteborg, sorge Angered, uno dei sobborghi più conosciuti della Svezia. Angered fu progettata negli anni sessanta come parte del Miljonprogrammet, un progetto di edilizia popolare del governo dell’epoca che mirava a costruire un milione di nuovi alloggi in tutta la Svezia nel corso di dieci anni. Angered, però, è rimasta geograficamente isolata e separata da Göteborg. Anche la popolazione ha finito per essere divisa in base alla nazionalità, visto che gli immigrati spesso sono andati ad abitare vicino ai connazionali che occupavano le numerose case popolari. Tre quarti delle persone nate a Hjällbo, un quartiere di Angered, hanno origini straniere. Vent’anni fa erano solo la metà. In tutta la Svezia la percentuale è del 6,5 per cento.
Al senso d’isolamento culturale e sociale si aggiunge la cattiva reputazione di questa periferia. Nawol e Hamdi, due adolescenti somale che indossano l’hijab, esprimono le loro preoccupazioni per il fatto di vivere in un quartiere descritto come un ghetto. “Non mi piace vivere qui. Molte persone fanno cose brutte”, spiega Nawol, 19 anni.
Si tratta di una lamentela ricorrente. Fuori da un negozio di alimentari a Hjällbo, un quartiere di Angered, Ahmed, un quindicenne la cui famiglia viene dall’Iran, dice: “Qui non succede niente di eccessivamente grave. Sono i soliti traffici, legati alla droga. Se però fai arrabbiare uno di quelli, ti vengono a cercare…”. Hjällbo è una delle tante zone della periferia di Göteborg dove ad agosto decine di auto sono state incendiate da gruppi di giovani che lanciavano bottiglie molotov.
Forse la più grande sfida per l’integrazione è il lavoro. Nella vicina Gårdsten, il tasso di disoccupazione era del 26,5 per cento nel 2016 (l’ultimo anno per il quale sono disponibili delle statistiche), quattro volte più della media nazionale. Patricia Anselmo gestisce l’agenzia per l’impiego locale, dove si sono registrate 11.300 persone in cerca di lavoro. Vengono da 89 paesi diversi e parlano 102 lingue. “Per noi la sfida non è sapere da dove viene una persona, ma capire in che modo può soddisfare le richieste del mercato”, spiega Anselmo.
Un suo collega, Kent Larsson, osserva che perfino per svolgere lavori di pulizia, un’attività per cui non servivano qualifiche particolari, oggi viene richiesta la patente di guida – per spostarsi da un luogo all’altro – e la buona conoscenza dello svedese per mescolare correttamente i detergenti.
Nel comune di Göteborg, in centro, la sindaca Hermansson spiega qual è la posta in gioco, per la città e per il paese: “La Svezia è stata un po’ ingenua. La situazione non è quella delle banlieues di Parigi, ma se non facciamo nulla potrebbe andare in quella direzione. Se non affrontiamo i problemi oggi, la storia di successo di Göteborg si trasformerà in quella di un fallimento”.
Questo articolo è uscito sul Financial Times con il titolo Good Sweden/Bad Sweden: what rich, yet divided, Gothenburg reveals. Traduzione di Federico Ferrone.
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