Avvertenza. Il linguaggio di questa rubrica è diretto ed esplicito.
Sono un gay quasi sessantenne e non ho mai avuto una relazione. Mi sento molto solo e il dolore di questo senso di vuoto sta diventando davvero insopportabile. A vent’anni ogni tanto mi capitava di rimorchiare, ma non nasceva mai niente di serio. Tra me e me ho sempre pensato che andava bene così, non sono estroverso né portato per le relazioni. Ho qualche amica lesbica, ma nessun amico maschio. Le situazioni sociali mi mettono ansia e non riesco a frequentare bar o discoteche. Quando sono apparse le app da rimorchio, le usavo sporadicamente. Adesso passo del tutto inosservato, oppure le persone scompaiono appena dico quanti anni ho. Nei giorni in cui non lavoro, gli unici contatti che ho sono con gli sconosciuti del settore terziario. Ho un aspetto curato, un lavoro, una casa, e sono gentile con gli altri. Sono in terapia e prendo antidepressivi. Ma la solitudine, la depressione, l’età e questo mio passare inosservato sembrano averla vinta su tutto. Piango spesso, e vorrei davvero che tutto finisse. Hai qualche consiglio?
–Lonely Aging Gay
“Nell’immediato, LAG deve parlare dei suoi pensieri suicidi con il terapista”, risponde Michael Hobbes. “Sul lungo periodo, be’… per esaminare la situazione ci vorrà un po’ più di tempo”. Hobbes è un giornalista dell’Huffington Post che ha da poco scritto un lungo articolo-saggio intitolato Together alone: the epidemic of gay loneliness (Insieme da soli: l’epidemia della solitudine tra i gay). Nel corso delle sue ricerche, Hobbes ha scoperto che malgrado la crescente accettazione giuridica e sociale, un numero preoccupante di maschi omosessuali continua a soffrire di depressione, ansia e pensieri suicidi. Il senso di solitudine, mi spiega Hobbes, è una forma di adattamento evolutivo, un meccanismo che spinge noi umani – una specie fortemente sociale – a ricercare il contatto e il legame con gli altri, di quei legami che migliorano le nostre probabilità di sopravvivenza.
“C’è però una differenza tra l’essere soli e il sentirsi soli”, prosegue Hobbes. “Essere soli è un fenomeno oggettivo, misurabile: un individuo non ha molti contatti sociali. Sentirsi soli, invece, è una percezione soggettiva. Ci si sente soli anche in presenza di altre persone. Ecco perché consigli come ‘Iscriviti a un’associazione!’ o ‘Attacca bottone con la cameriera!’ non aiutano chi si sente solo”.
Il modo più efficace per affrontare la solitudine, stando alle ricerche di Hobbes, è prenderla di petto. “Forse LAG dovrebbe semplicemente sfruttare di più i rapporti che già ci sono”, dice. “Ha un lavoro, degli amici, un terapista, una vita. Questo non significa che le sue percezioni siano infondate – la nostra società tratta in modo pessimo gli anziani in generale, e quelli lgbtq in particolare – ma è possibile che la sua vita offra occasioni d’intimità che lui non sta cogliendo. Conoscenti che LAG non sente da un po’ di tempo. Cugini simpatici con cui non ha mai approfondito la conoscenza. Impegni di volontariato che si sono trascurati. Ravvivare le vecchie amicizie è più facile che ricominciare da zero”.
Altra raccomandazione: cercare altri uomini che si sentono soli. Ce ne sono un sacco. “LAG non è l’unico ad aver superato l’età in cui si frequentano i bar – lo stesso vale per me – e che fatica a trovare compagnia lontano dall’alcol o dalle app”, dice Hobbes. “Il suo terapista conoscerà di certo qualche buon gruppo di sostegno”.
E se non lo conosce – o se non te la senti di dirgli quanto sei infelice, o se gli hai già detto tutto e non è riuscito ad aiutarti – trovati un altro terapista.
Sono un maschio gay sui quarant’anni, single, che non riesce a trovare una relazione o anche solo un po’ di sesso. Sono basso, sovrappeso, pelato e con una faccia qualunque. Vedo gli altri, gay ed etero, che hanno rapporti stabili, si fidanzano, si sposano, e provo tristezza e invidia. Alcuni sono dei coglioni, ma se ci riescono loro perché io no? Ecco qual è la cosa più difficile da ammettere: so che in me c’è qualcosa di sbagliato, ma non so cosa, né come risolvere. Sono solo e mi sento solo. So che a volte dai delle risposte brutali, Dan, ma in fondo cos’ho da perdere?
–Alone And Fading
“AAF chiede una risposta brutale, per cui inizierò da quella: potresti non incontrare mai nessuno”, dice Hobbes. “In tutte le fasce di età, e in tutti gli studi, i gay hanno meno probabilità di trovare un partner, convivere e sposarsi di quante ne abbiano eterosessuali e lesbiche. Forse abbiamo tutti qualcosa di guasto, forse ci preserviamo per un futuro Chris Hemsworth, ma la possibilità di trascorrere la nostra vita adulta e i nostri ultimi anni senza un partner sentimentale è concreta. È così e basta”.
E non vale soltanto per gli uomini gay. In Going solo: the extraordinary rise and surprising appeal of living alone, il sociologo Eric Klinenberg offre un dato statistico notevole: oltre il 50 percento degli adulti americani è single e vive da solo, con un aumento del 22 percento rispetto al 1950. Alcuni non sono contenti di vivere da soli, ma la maggior parte – perlomeno secondo le ricerche di Klinenberg – a quanto pare sì.
“Magari è vero che in AAF c’è qualcosa di sbagliato, o magari si trova semplicemente nella porzione sfortunata della statistica”, osserva Hobbes. “Trovare un compagno è una cosa sulla quale non abbiamo praticamente controllo. Permettere che l’assenza di un compagno faccia di noi delle persone risentite, disperate o sprezzanti, sì. E quindi sii felice per i giovani coglioni che si accoppiano e si sistemano. Impara ad accettare i no con dignità, come vorresti che facessero quelli respinti da te, e quando esci con qualcuno concentrati sulla specificità di chi hai di fronte, e non su ciò di cui hai bisogno da lui. Potrebbe essere il tuo principe azzurro, certo, ma anche un amico con cui andare per musei, il conduttore del tuo futuro podcast, un 69 pomeridiano o qualcosa che nemmeno ancora immagini.
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Sono un gay di 55 anni, fortemente sovrappeso, che non ha molta esperienza con gli uomini. Per cercare di conoscere persone uso una quantità di siti, ma appena qualcuno mi fa il minimo complimento vado nel panico e scappo. Se il complimento è sull’aspetto fisico, poi, cancello direttamente il profilo. Non è che mi piaccia essere come sono, ma credo nella sincerità. E io, sinceramente, sono brutto. La faccia che ho, pur nascosta da una barba enorme, è inaccettabile e basta. Ho provato ad andare in terapia, e non mi fa niente. Come posso superare la mia bruttezza e riuscire a fare sesso?
–Unappealing Giant Loser Yearns
Tu dici di essere brutto, UGLY, eppure c’è qualcuno che pensa il contrario. Per esempio chi ti fa i complimenti per l’aspetto fisico. “Io non so nemmeno se credo ancora alla parola ‘brutto’”, dice Hobbes. “Indipendentemente dal tuo aspetto, ci sarà sempre una percentuale della popolazione che sarà attratta da te. Può essere il 95 come il 5 percento, ma quelle persone esistono. Quando le trovi, devi fare due cose: la prima è credergli. La seconda è non discutere”.
In altre parole: il semplice fatto che tu non andresti a letto con te stesso, UGLY, non significa che nessuno voglia venire a letto con te. “Ricordo di aver letto un’intervista a Stephen Fry, in cui diceva che all’inizio della sua carriera d’attore, quando le persone lo avvicinavano per dirgli ‘Sei stato bravissimo in quello spettacolo!’ la sua prima reazione era sempre: ‘No, ho fatto schifo’”, racconta Hobbes. “Pensava di fare il modesto, ma la verità, come si è reso conto più avanti, era che polemizzava. Alla fine ha cominciato a rispondere semplicemente ‘Grazie’”.
E secondo Hobbes tu dovresti provare a fare come Fry, che è grande e grosso e ha un marito molto carino: “La prossima volta che qualcuno ti dice che gli piacciono gli uomini grassi e con la barba, non contraddirlo, non andare nel panico e non esitare. Limitati a dire ‘grazie’ e lascia procedere la conversazione”.
Savage love è una rubrica di consigli sessuali e di coppia pubblicata su The Stranger. Traduzione di Matteo Colombo.
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