Avvertenza. Il linguaggio di questa rubrica è diretto ed esplicito.

La mia domanda potrebbe sembrare denigratoria verso i kink. Non è il mio scopo. Sono un autolesionista abituale che vuole cominciare una terapia. Però non riesco a fare a meno di paragonare il modo in cui è visto l’autolesionismo che pratico io con quello in cui sono visti i giochi dolorosi nel bdsm. Quando ero adolescente mi definivo masochista perché ero ignaro delle connotazioni sessuali del termine, e davo per buono il cliché secondo cui l’autolesionismo è tale solo quando è praticato da un ragazzino emo che si tagliuzza con una lametta. Il mio era un metodo diverso: corpi contundenti. Per come la vedo io, l’autolesionismo che pratico non è meno etico o sano dei “giochi dolorosi” altrui, che ho scoperto leggendo. Il mio autolesionismo mi fornisce una catarsi dalla tristezza e dalla rabbia che provo. A volte, quando le mie emozioni negative si fanno intense, sento che mi faranno scoppiare il corpo, e ho un bisogno disperato di sfogarle. In quelle occasioni mi dà sollievo trasformare il dolore emotivo in dolore fisico. Non l’ho sempre fatto con la dovuta sicurezza. L’anno scorso, uno dei più difficili della mia vita, ho tralasciato di considerare che i segni visibili sul mio corpo avrebbero potuto turbare gli altri. Ho finito per sconvolgere i colleghi e ora rischio provvedimenti disciplinari sul lavoro, cosa che ha solo aggravato il mio stress. Ho letto che gli amanti del bdsm si danno ai giochi dolorosi per trovare una catarsi. Io faccio lo stesso. L’unica differenza mi sembra la motivazione. La mia è una forma di difesa, la loro è la gratificazione sessuale. Ora so come fare per colpirmi senza causare lesioni durature. In genere lo faccio da solo e in maniera discreta, quindi senza coinvolgere soggetti non consenzienti, e ovviamente acconsento al dolore che mi autoinfliggo. Eppure quel che faccio io è visto come malsano, mentre i giochi dolorosi in ambito bdsm sono considerati sani. Faccio male a chiedermi perché? Mi pare che alla gente si dica di non giudicare gli altri per i loro kink, mentre io sono giudicato e umiliato per quel che faccio in maniera sicura, consensuale e privata.

– Perplexed About Intensely Nebulous Esoteric Distinctions

P.s. Ho pochissima esperienza personale in fatto di sesso, per via del fatto che quasi nessuno mi trova attraente.

Prima di chiamare i rinforzi – cioè prima di convocare i nostri esperti – vorrei raccomandarti di dar seguito al proposito di cominciare una terapia. Le rubriche di consigli sono ottime, certo, e gli spunti e le battutacce di un rubrichista decente possono aiutare. I tuoi problemi – la tua sicurezza fisica ed emotiva – richiedono però un’analisi più approfondita di quella che posso fornirti io in questo spazio.

Detto questo, Pained, ho girato la tua lettera a Leigh Cowart, autrice di Hurts so good, un libro spassoso e illuminante sui vari modi in cui vari tipi di persone ricercano vari tipi di dolore.

“Non credo che Pained veda delle somiglianze inesistenti”, dice Cowart. “Quel che hanno in comune lui e i praticanti di bdsm è l’uso di sensazioni avversive e del sistema di ricompensa cerebrale per indurre uno stato emotivo desiderato.” Gli statunitensi, sostiene Cowart nel suo libro, valutano la sofferenza consensuale (e molto altro) sulla base di giudizi morali che non sempre sono coerenti o logici. Chi ricerca il dolore in modi che la società approva, come per esempio i maratoneti, i praticanti di arti marziali miste, le celebrità che partecipano a talk show in cui mangiano alette di pollo intinte in salse piccantissime, è ammirato, specie quando la sua ricerca del dolore “è ammantata di una dignità atletica”, come scrive Cowart, mentre gli adepti del bdsm subiscono giudizi umilianti.

Molti studi hanno dimostrato che gli adepti del bdsm sono emotivamente sani tanto quanto le persone vanilla, ed è per questo che i professionisti della salute mentale hanno smesso di classificare il sadomasochismo consensuale come una patologia. I profani, però, non ammirano le persone kinky allo stesso modo in cui ammirano i maratoneti. Un masochista e un maratoneta possono spingersi ai limiti per ragioni simili; forse entrambi ricercano la scarica di endorfina prodotta dal dolore scelto liberamente, e quel tipo di catarsi emotiva che il dolore scelto liberamente può fornire.

“Il dolore volontario a fini di benessere emotivo è normale e diffuso, e non è dannoso in quanto tale”, dice Cowart, “ma può esserlo, perciò è necessaria un’attenta analisi dei rischi, per valutare quali sono i pericoli evitabili”.

Per questo, Pained, Cowart vuole che tu, e chiunque altro ricerchi il dolore volontario, vi facciate queste domande: “Sono abbastanza stabile emotivamente da procurarmi una catarsi tramite il dolore? Quello che voglio provare è un dolore passeggero, o rischio di provocarmi danni duraturi? Sento di potermi fermare, è un comportamento compulsivo?

Nessuno vuole sentirsi un devastato, Pained, il che significa che dovrai stare attento a non razionalizzare comportamenti che in realtà potrebbero essere compulsivi o dannosi, e se ti presenti in ufficio ricoperto di lividi così allarmanti da rischiare di perdere il lavoro, c’è un’alta probabilità che lo siano. Quindi ti raccomanderei di non giocare con il dolore da solo – se è così che lo vuoi chiamare – mentre rifletti sulle domande di Cowart e aspetti il primo colloquio con un terapeuta.

Illustrazione di Francesca Ghermandi

Cowart ha anche un altro suggerimento per te: se sei emotivamente stabile, se non ti stai infliggendo danni duraturi e se tu e il tuo terapeuta non lo ritenete un comportamento compulsivo, dovresti trovarti qualche amico di vedute simili.

“In generale, nelle situazioni potenzialmente pericolose – che si tratti di bdsm, arrampicata libera, nuoto o club dei cazzotti – gli esseri umani riducono i rischi tenendosi d’occhio a vicenda”, dice Cowart. “Se stai per fare qualcosa di pericoloso, è bene che ci sia qualcuno a cui poter dire ‘Ehi, guarda!’ prima di buttarti, qualcuno che possa salvarti la vita in caso di bisogno. Se Pained esplorasse la catarsi tramite il dolore in un contesto sociale, e più strutturato, in cui i limiti d’azione sono definiti in maniera più esplicita, potrebbe trovare una catarsi ancora più profonda grazie alla condivisione del dolore”.

I gruppi bdsm della tua zona sono un ottimo punto da cui cominciare per trovare l’ambiente di cui parla Cowart. Alla prima cena a cui andrai, e poi alla prima sessione vera e propria a cui magari parteciperai, ci saranno quasi tutte persone che con il bdsm si eccitano sessualmente, Pained, ma in ogni gruppo kinky abbastanza ampio ci sono anche persone seriamente impegnate che cercano uno sfogo emotivo e non sessuale.

Per avere un altro parere mi sono rivolto a Leigh Wakeford, psicoterapeuta che lavora in California ed è specializzato in trattamenti per superare la vergogna con pazienti queer, kinky o curiosi, sia single sia in coppia.

“Mi dispiace che Pained si senta giudicato e umiliato per come ha imparato a gestire la tristezza e la rabbia”, dice Wakeford, “ed è assolutamente legittimo voler istituire un paragone tra il suo rapporto con il dolore e quello vissuto da persone che si dedicano al bdsm”.

Ci sono tuttavia dei segnali facilmente identificabili per distinguere il gioco bdsm sano – che può comprendere o meno il dolore consensuale e controllato – dai maltrattamenti fisici ed emotivi.

“Nel bdsm i giochi con il dolore si svolgono entro limiti ben definiti e in base a parametri stabiliti in collaborazione, che permettono di esprimere e vivere il dolore in sicurezza tra partner consenzienti”, dice Wakeford. “Queste ‘regole’ rendono l’interazione con il dolore giocosa, piacevole e una potenziale fonte di crescita. C’è anche un ulteriore livello di sicurezza quando certe pratiche sono vissute con un’altra persona, rispetto a quando sono compiute da soli. Ad esempio mi vengono in mente i tanti kinkster che hanno perso la vita in giochi di ‘controllo del respiro’ in solitaria, proprio perché non era presente un’altra persona a osservare e ad assistere”.

Riassumendo, il voto è unanime: Cowart, Wakeford e Savage sono tutti del parere che tu debba condividere il tuo interesse per un impact play sicuro, sano e consensuale. Legare con altri che ricercano il tuo stesso sfogo attraverso il dolore – anche se trovarli richiederà un certo sforzo – non solo renderà tutto più sicuro, Pained, ma trasformerà anche una cosa che al momento ti isola in qualcosa che ti aiuta e creare legami. In bocca al lupo.

P.s. Di solito le scene kinky sono più accoglienti con le persone che non si sentono canonicamente attraenti. Per molti, nel mondo kinky, la tua abilità a darle (cioè la tua bravura come dom) e la tua capacità di prenderle (cioè il tuo appetito da sub) contano molto di più della tua mascella o del tuo girovita.

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Ho avuto un’esperienza sessuale che mi ha fatto stare di merda. Ho conosciuto un altro maschio gay su un’app, ci siamo sbronzati insieme in un bar leather, abbiamo scopato a casa sua fatti di varie sostanze. Quando io ero troppo fuori per andare avanti lui si è fermato, ha messo un po’ di musica e mi ha tenuto a casa sua finché non avessi smaltito abbastanza da chiamare un’auto a noleggio. Mentre scopavamo gli ho chiesto di umiliarmi. Gli ho chiesto di farmi e dirmi le stesse cose che mi aveva fatto e detto un ex senza il mio consenso. Perché, da sbronzo e mentre scopavo, ho voluto ricreare le aggressioni sessuali che avevo vissuto? Sul momento è stato eccitante. A posteriori è stata una sensazione orribile, come la prima volta che mi sono capitate quelle cose.

– Super Upset Boy

Dato che avevo a portata Leigh Wakeford, gli ho chiesto di darmi un parere anche sulla tua domanda. “Tra chi ha subìto maltrattamenti, non è raro ricreare un’esperienza sessuale traumatica”, ha detto. “Perciò la cosa più importante che Sub ha bisogno di sentirsi dire è che non è solo. E deve anche sapere che una delle cose più belle offerte dai giochi bdsm è la possibilità di rivivere e rielaborare gli incontri traumatici in un modo sicuro e consensuale, che ci restituisca fiducia e ci aiuti a riappropriarci di qualcosa che ci era stato tolto senza il nostro permesso”.

Quello che ti ha tolto il tuo ex violento è una sorta di gioco d/s consensuale – che prevedeva degradazione, umiliazione a parole ecc. – che forse non eri consapevole di apprezzare prima dei maltrattamenti.

Forse in questo momento certe cose sono inquinate dall’associazione con il tuo ex, Sub, ma ciò non le rende cose brutte. Proprio come il sesso nella posizione del missionario, in assenza di consenso, è vissuto come un’aggressione da chi normalmente quella posizione la gradisce, così l’umiliazione e la degradazione di stampo kinky, in assenza di consenso, sono vissute come maltrattamenti da chi in altre circostanze ne godrebbe.

“A Sub sono successe cose brutte”, aggiunge Wakeford “ma lui non è una brutta persona solo perché ha voluto sperimentare il piacere in modi che lo fanno eccitare in maniera unica”.

E forse è proprio questo che hai fatto quella sera, Sub: nello sforzo di creare nuove associazioni positive con i tuoi kink, sei uscito e hai trovato qualcuno di cui intuivi di poterti fidare. E la tua intuizione si è rivelata giusta, come dimostra il modo in cui lui si è preso cura di te quando sei crollato.

“Per mia esperienza, però, il modo più sicuro ed efficace di rielaborare un incontro traumatico del passato è anche quello più sobrio possibile”, dice Wakeford. “Uno stato di coscienza alterato può interferire con i livelli di lucidità e controllo necessari a guarire e a crescere.”

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(Traduzione di Francesco Graziosi)

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