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Per fermare il riscaldamento del pianeta bisogna fare di più

Il lago Salton, il più grande della California, colpito dalla siccità, nell’aprile del 2015. (Jo Mount, Getty Images)

“L’Onu ritiene insufficienti gli sforzi contro il cambiamento climatico”, titola El País. Per Christiana Figueres, responsabile dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, gli impegni presi dai governi ai colloqui preliminari di Bonn, in Germania, che si sono svolti dal 19 al 23 ottobre, non bastano a frenare il riscaldamento del pianeta.

All’incontro di Bonn i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo hanno negoziato a lungo, accusandosi reciprocamente di non fare abbastanza. Alla fine hanno raggiunto un accordo che sarà la bozza di lavoro della conferenza sul clima che si apre a Parigi il 30 novembre. Secondo Deutsche Welle, i paesi ad alto reddito hanno promesso di aumentare fino a 90 miliardi di euro all’anno entro il 2020 gli aiuti ai paesi poveri per la riduzione delle emissioni e le misure di adattamento. I paesi a basso reddito chiedevano la promessa di un innalzamento dei fondi.

Un altro punto di dissidio è rappresentato dagli impegni che circa 150 governi hanno preso per limitare le emissioni di gas serra nell’atmosfera nei prossimi anni. Secondo Figueres questi impegni non bastano: in base a un calcolo della International energy agency, le riduzioni di gas serra promesse dovrebbero limitare l’aumento di temperatura media del pianeta a 2,7 gradi alla fine del secolo, oltre l’obiettivo condiviso dei 2 gradi.

Il costo del cambiamento climatico rischia però di pesare soprattutto sui paesi a basso reddito.

Un recente studio pubblicato su Nature Climate Change, per esempio, ha mostrato che sono proprio i paesi in via di sviluppo a rischiare di perdere per inaridimento una parte della terra disponibile, con un aumento del degrado dei terreni, della desertificazione e della povertà. Considerando uno scenario di forti emissioni, i ricercatori hanno calcolato che può diventare arida entro il 2100 oltre la metà delle terre emerse, passando dall’attuale 40 per cento della superficie fino al 56 per cento. Il 78 per cento di questa espansione potrebbe verificarsi nei paesi in via di sviluppo.

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