È ripreso a Teheran il processo a porte chiuse, cominciato il 26 maggio, contro il giornalista del Washington Post, Jason Rezaian, in carcere da undici mesi, con l’accusa di spionaggio. L’avvocata di Rezaian, Leila Ahsan, ha detto che non può rilasciare alcuna dichiarazione sull’udienza, perché secondo la legge iraniana è illegale fornire informazioni su un processo a porte chiuse. Il corrispondente da Teheran del Washington Post deve affrontare quattro capi di accusa e potrebbe rischiare fino a 20 anni di prigione. Tra gli imputati, insieme al giornalista iraniano-statunitense, ci sono altre due persone di cui non si conosce l’identità.
La modalità del processo a porte chiuse è stata criticata dalle organizzazioni per la libertà di stampa, dal Washington Post e dal dipartimento di stato statunitense. Il direttore del quotidiano di Washington, Martin Baron, ha definito “vergognosa” la decisione del tribunale iraniano di tenere il processo a porte chiuse. “Jason è stato arrestato senza nessuna accusa, è stato messo nella peggiore prigione dell’Iran, in isolamento per molti mesi, senza che gli fossero prestate le cure mediche necessarie. Gli è stato assegnato un giudice conosciuto per aver violato più volte i diritti umani”, ha scritto Baron. Il giornalista, infatti, sarà giudicato da Abolghassem Salavati, un giudice noto per le sue durissime sentenze contro gli oppositori del regime e gli attivisti per i diritti umani.
“Sono solo un giornalista, e tutte le attività che ho condotto da giornalista erano legali”, ha detto Rezaian durante la prima udienza del processo, scrive l’agenzia di stampa iraniana Mehr.
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