L’azienda petrolifera ha annunciato che le operazioni di perforazione dell’Artico al largo dell’Alaska si fermeranno, almeno nel prossimo futuro, perché è stato trovato poco petrolio e gas naturale. Gli ambientalisti festeggiano la vittoria. Leggi
Centinaia di persone hanno partecipato alla protesta organizzata a Seattle, nel nordovest degli Stati Uniti, contro la decisione dell’amministrazione Obama di concedere alla compagnia petrolifera Shell di riprendere le trivellazioni nelle acque dell’Artico, al largo delle coste dell’Alaska. La protesta, chiamata “Paddle in Seattle” (Pagaiare a Seattle) è stata organizzata da attivisti e ambientalisti a bordo di canoe nel porto della città, dove sono arrivate due grandi piattaforme petrolifere della Shell.
Secondo i manifestanti, le trivellazioni avrebbero un impatto negativo sull’ecosistema in una zona isolata, dove in caso di incidenti sarebbe difficile intervenire. Il progetto, inoltre, è considerato affrettato e incompleto e la compagnia anglo olandese è ritenuta impreparata a operare in modo responsabile in una zona delicata come l’Artico. Il via libera dell’agenzia per l’energia è arrivato tre anni dopo il blocco delle operazioni della Shell a causa di una serie di errori e contrattempi, che gli attivisti temono possano ripetersi.
La Shell deve ancora ottenere i permessi del governo federale e dello stato dell’Alaska per cominciare le operazioni. Gli attivisti hanno promesso nuove proteste. Domani 18 maggio si terrà una giornata di disobbedienza civile per chiedere al governo di fermare il progetto.
L’amministrazione del presidente statunitense Barack Obama ha approvato il piano della compagnia petrolifera anglo olandese Royal Dutch Shell per riprendere le trivellazioni nelle acque dell’Artico, al largo delle coste dell’Alaska. La decisione è stata presa tre anni dopo il blocco delle operazioni della Shell a causa di una serie di errori e contrattempi. Gli ambientalisti hanno promesso manifestazioni per chiedere di fermare il progetto. Ecco quali sono le principali motivazioni. Leggi
La compagnia petrolifera anglo olandese Royal Dutch Shell ha condotto un’attività di lobbying per compromettere gli obiettivi in materia di energia rinnovabile prima di un accordo sul taglio delle emissioni raggiunto dai leader dell’Unione europea a ottobre. Lo hanno rivelato alcuni documenti citati dal Guardian. A quanto risulta, una parte fondamentale dell’accordo è stata influenzata dalle pressioni della Shell risalenti già all’ottobre del 2011.
In un incontro nel 2014, i capi dei governi dell’Ue avevano concordato di tagliare entro il 2030 le emissioni del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990. In seguito però sono emerse divergenze tra gli stati su come raggiungere questo obiettivo. Il Regno Unito e altri paesi si sono opposti all’inserimento nell’accordo di particolari obblighi a livello nazionale sull’efficienza energetica e le energie rinnovabili. Alla fine questi aspetti sono stati esclusi dall’accordo.
I documenti ottenuti dal Guardian dimostrano che nell’ottobre del 2011 la Shell aveva cominciato a fare pressioni sull’allora presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, sostenendo che una strategia di espansione del settore del gas avrebbe consentito all’Unione di risparmiare 500 miliardi di euro nella transizione verso un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, rispetto a un approccio incentrato sulle energie rinnovabili.
Secondo il Registro per la trasparenza dell’Unione europea, la Shell rappresenta la sesta lobby più potente a Bruxelles, e spende circa 4,5 milioni di euro all’anno per fare pressioni sulle istituzioni europee a tutela dei propri interessi.
La compagnia petrolifera anglo olandese Royal Dutch Shell acquisterà la multinazionale britannica del gas BG group per 64 miliardi di euro in contanti e azioni. La nuova compagnia potrebbe raggiungere un valore di 200 miliardi di euro.
La mossa permette alla Royal Dutch Shell di conquistare una maggiore partecipazione nei mercati del gas naturale in seguito al calo del prezzo del petrolio. Le acquisizioni e le fusioni sono una strategia sempre più usata dalle aziende petrolifere per ridurre i costi e aumentare l’efficienza.
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