Il 29 dicembre è morto all’età di cento anni Jimmy Carter, presidente degli Stati Uniti tra il 1977 e il 1981 e premio Nobel per la pace nel 2002. La sua presidenza ha registrato successi come gli accordi di pace di Camp David, ma anche critiche legate alla crisi energetica e a quella degli ostaggi statunitensi a Teheran, che coinvolse 52 diplomatici tra il novembre del 1979 e il gennaio del 1981.
Carter è stato uno dei presidenti, come dopo di lui George H.W. Bush e Donald Trump, a non essere rieletto per un secondo mandato. Malgrado l’insuccesso politico, ha costruito buona parte della sua notorietà con il lavoro svolto dopo la sua presidenza. Ecco alcuni momenti chiave della sua vita.
Il canale di Panamá
Durante il primo anno di mandato Carter non mantenne una promessa fatta in campagna elettorale, decidendo di restituire al governo locale la gestione del canale di Panamá, che era sotto il controllo militare degli Stati Uniti fin dalla sua costruzione all’inizio del ventesimo secolo.
“L’equità, e non la forza, dovrebbe essere al centro dei nostri rapporti con le nazioni del mondo”, disse alla firma dei due trattati con il leader panamense Omar Torrijos (trattati Torrijos-Carter), il 7 settembre 1977.
Carter fu ridicolizzato per questa mossa, che concesse a Panamá il controllo del canale che collega gli oceani Atlantico e Pacifico a partire dal 31 dicembre 1999. Gli eventi che seguirono, tuttavia, ne dimostrarono il reale valore diplomatico.
Dare a Panamá un ruolo maggiore nella gestione del canale, due decenni prima di cederne il controllo all’Autorità del canale di Panamá, garantì infatti la stabilità sociale ed economica dell’istmo, rompendo con l’immagine dell’imperialismo statunitense in America Latina.
Commentando la sua morte, l’attuale presidente di Panamá José Raúl Mulino ha sottolineato che Carter ha aiutato il paese a raggiungere “la piena sovranità”, dopo che il 21 dicembre il presidente eletto Donald Trump ha minacciato di riprendere il controllo del canale.
La morale in politica
Quando arrivò nello studio ovale Carter cercò di prendere le distanze dalla realpolitik ereditata dalla guerra fredda e mise i diritti umani al centro della sua agenda.
“Il nostro obiettivo principale è quello di contribuire a plasmare un mondo che risponda maggiormente al desiderio di benessere economico, giustizia sociale, autodeterminazione politica e diritti umani fondamentali di tutte le persone”, dichiarò in un discorso all’Accademia navale degli Stati Uniti il 7 giugno 1978.
In concreto Carter firmò il Patto internazionale sui diritti civili e politici nel 1977, che fu ratificato dagli Stati Uniti nel 1992 dopo essere stato bloccato per anni dal senato.
Gli accordi di Camp David
Nel settembre del 1978 Carter invitò il primo ministro israeliano Menachem Begin e il presidente egiziano Anwar al Sadat a Camp David, una delle residenze presidenziali statunitensi, a nord della capitale Washington.
Dopo tredici giorni di negoziati segreti mediati da Carter, furono firmati due accordi che poi portarono al trattato di pace israelo-egiziano del 1979.
Questo grande successo ottenuto dall’ex presidente statunitense è stato citato a più riprese, soprattutto al momento della consegna del premio Nobel per la pace nel 2002. Gli accordi sono stati definiti “il più grande trionfo diplomatico del ventesimo secolo”.
Crisi di fiducia
Nell’estate del 1979, con l’economia scossa dall’inflazione e il suo indice di gradimento in caduta libera, Carter si rivolse al popolo statunitense in un discorso televisivo nazionale.
In quella mezz’ora il presidente rispose alle critiche sulla sua mancanza di leadership, attribuendo invece la colpa a una “crisi di fiducia” nazionale: “L’erosione della nostra fiducia nel futuro minaccia di distruggere il tessuto sociale e politico degli Stati Uniti”.
Il discorso non fu accolto bene dai cittadini e si ritorse contro di lui. Quella settimana cinque membri del suo gabinetto si dimisero.
Gli ostaggi in Iran
La crisi degli ostaggi statunitensi in Iran, nel 1979, segnò la fine politica di Jimmy Carter come presidente, quando 52 diplomatici statunitensi furono trattenuti per 444 giorni nell’ambasciata statunitense a Teheran.
L’annuncio del fallimento della missione militare volta a garantire il rilascio degli ostaggi, il 24 aprile 1980, fece crollare le speranze di una rielezione.
La cosiddetta operazione eagle claw (artiglio d’aquila) fu ostacolata da impreviste tempeste di sabbia e diversi problemi meccanici, che portarono alla sua definitiva cancellazione. In aggiunta, durante il ritiro dall’Iran due elicotteri si scontrarono uccidendo otto statunitensi.
Nei giorni successivi l’allora segretario di stato Cyrus Vance si dimise e il fallimento della missione divenne il simbolo dell’incapacità di Carter di gestire la crisi.
Gli ostaggi furono rilasciati il 20 gennaio 1981, lo stesso giorno in cui il repubblicano Ronald Reagan entrò in carica come presidente dopo aver sconfitto pesantemente Carter nel novembre del 1980.
Un ex presidente di successo
Carter rimase molto attivo fino ai novant’anni, nonostante il suo ritiro dalla vita politica.
Nel 1982 fondò il Carter center, un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro per la risoluzione pacifica dei conflitti, l’osservazione del corretto andamento democratico delle elezioni, la difesa dei diritti umani, la protezione dell’ambiente e gli aiuti allo sviluppo.
Negli anni successivi al suo mandato, Carter - spesso considerato l’ex presidente statunitense di maggior successo - viaggiò molto, supervisionando le elezioni a Haiti e Timor Leste e affrontando spinosi problemi globali nel ruolo di mediatore a Panamá, a Cuba, in Corea del Nord, in Etiopia e in Bosnia-Erzegovina. Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 2015 visitò anche Mosca, e subito dopo i Territori palestinesi e Israele.
Il premio Nobel
L’assegnazione del premio Nobel per la pace nel 2002 a Jimmy Carter, all’epoca il terzo presidente degli Stati Uniti a riceverlo, fu il riconoscimento dei suoi sforzi per promuovere la risoluzione pacifica dei conflitti nel mondo.
Fu anche una critica alla politica statunitense, in un momento in cui il Congresso aveva appena dato il via libera alla Casa bianca per un possibile uso unilaterale della forza contro l’Iraq, a cui Carter si opponeva.
Carter fu inoltre membro dell’organizzazione non governativa internazionale The Elders, fondata da Nelson Mandela nel 2007 e composta da ex leader mondiali con l’obiettivo di promuovere la pace e i diritti umani.
Del gruppo facevano parte anche altri due premi Nobel per la pace, l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu (morto nel 2021) e Muhammad Yunus (l’economista del Bangladesh noto come “il banchiere dei poveri”), nonché il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan (morto nel 2018).