All’inizio degli anni novanta la Bosnia Erzegovina era la repubblica più multietnica tra le sei che componevano la Jugoslavia. Al suo interno convivevano bosgnacchi (musulmani), serbi (ortodossi) e croati (cattolici). Il 3 marzo 1992, in seguito a un referendum boicottato dai nazionalisti serbi, il paese proclamò la propria indipendenza.
In risposta, il 5 aprile cominciò l’assedio della città di Sarajevo da parte dei nazionalisti serbi, considerato il più lungo della storia moderna. Si stima che le vittime siano state più di 12mila e i feriti oltre 50mila, l’85 per cento dei quali civili. Una soluzione sarebbe arrivata solo alla fine del 1995, con la firma degli Accordi di Dayton.
Trent’anni dopo, la Bosnia Erzegovina è composta da due entità: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba. Ma negli ultimi mesi i serbi hanno cominciato a creare istituzioni separate (esercito, magistratura, amministrazione fiscale), e questo ha reso più concreto il rischio di una secessione e di un nuovo conflitto.
Il reportage video di Linda Caglioni e Simone Modugno racconta la resistenza culturale della capitale bosniaca, perennemente minacciata dai nazionalismi di ieri e di oggi.
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