Matrimonio al Quadraro
Da largo Spartaco, passando sotto l’arco si vedono i balconcini appesi in prospettiva su via Sagunto e in fondo un altro arco, quello di Selinunte 49. Che l’ho saputo tanti anni dopo che l’aveva fatto un grande architetto, lo stesso del palazzo dei Congressi all’Eur. A me mi somiglia a un mercato pure quello se non fosse per l’infilata di cassette delle lettere all’entrata e la madonnina appesa sopra.
Mi piaceva che tutta questa storia girasse attorno a poche strade come i personaggi che finiscono sempre nello stesso bar
È questo l’indirizzo dove per due mesi e passa c’è stata la sartoria. Un appartamento popolare, ma bello. Pensato come tutti in quel condominio da Adalberto Libera. Gli attori ci vengono a provare i costumi e poi a cambiarsi per le scene e a prendersi un caffè o a ripararsi dal freddo. Una stanza per cucire e provare, un’altra come magazzino, una cucina e un bagno. Poi ce n’è un’altra ancora di stanza, la più piccola, ma quella è per le ragazze che fanno il trucco e i capelli. Quando ce le manda il produttore belga, se la prendono loro.
All’entrata di fronte alla Madonna ci sta il portiere e accanto il magazzino che è il monolocale di Nicola. La casa della madre è a trenta metri sempre nello stesso condominio. A metà strada Sofia dice che se ne va in Spagna co’ un’amica. Dice che non sopporta più nessuno. Usciti dal cancello facciamo un paio di scene di passaggio. Un’entrata di notte, una di corsa il giorno, un’uscita col furgone.
Un passaggio con i titoli di testa a via del Quadraro e poi l’incidente mortale a via Erminio. Nicola scende e vede il morto in un mare di sangue che s’allarga piano piano con l’effetto speciale e dice Ma che so’ stato io? Non me so’ manco accorto. E il calabrese gli risponde che il morto camminava raso terra e che secondo lui s’è buttato sotto da solo.
Il fratello di Sofia è un poliziotto e Nicola se ne accorge ubriaco in fondo a via del Quadraretto. Te ricordi de me? gli dice. Nicola si ricorda e gli risponde Lo sapevo ch’eri ’na guardia. E poche centinaia di metri più avanti c’è una galleria che porta al Quadraro vecchio. Lì sotto il film ci passerà due volte. La prima è sempre con Nicola e la bottiglia di sambuca in mano quando la prostituta gliene chiede un goccio, la seconda è con Salvatore di corsa. Uno di notte, l’altro di giorno. Un buco dove c’hanno dipinto una bocca mostruosa enorme.
Tra via dei Fulvi e dei Furi ci sta una truffa riuscita e alla fine della scena, tornando a casa mia, quella vera, c’ho comprato i moscardini dal pescivendolo che ogni tanto si affacciava a vedere che stava succedendo. A via Cartagine ci sta un chiosco, l’ultimo bar che vede Nicola e poco più avanti ci sta l’incidente con l’effetto speciale. Come lo fai sennò l’incidente? Ti schianti per davvero contro il muro? Lo giri solo da fuori? Lo giri al contrario, a marcia indietro e poi lo rimetti dritto in montaggio? Piove quando giriamo quella scena, ma va bene così. Forse è anche meglio.
E poi ogni tanto, guardando l’orologio che non fosse troppo tardi, ci facciamo un giro per le strade e arriviamo fino a Don Bosco. Le palazzine popolari dell’Ina-Casa. Case rosse o gialle o arancioni. Un altro colore rispetto a quelle grigie, non tutte ma tante, che stanno in faccia alla Tuscolana. Un giro in furgone, uno in taxi, Sasà che guida il motorino o Salvatore che si fa la corsa che montiamo alla fine della storia.
Da questo rettangolo di poche centinaia di metri ci siamo allontanati poco. Due scene, forse tre o quattro che in quel posto non si potevano girare, come la villa ricca che lì non la trovi. Un po’ più su, lungo la solita Tuscolana, ci sta il garage sotterraneo dell’Abbruzzese. Il personaggio si chiama così perché sono quasi tutti abruzzesi i garagisti di Roma. Un po’ più giù, sotto gli archi dell’acquedotto romano all’Appio Claudio, ci sta Anna la prostituta e tanti aerei che passano di continuo che invece di fermare la scena ce li abbiamo messi dentro. Nemmeno 007 o Ben-Hur con tutta Hollywood avrebbero potuto fermare l’aeroporto di Ciampino.
In mezzo, sempre al Quadraro, ma dalla parte vecchia, c’è il bar. Che poi il bar che pensavo io è un altro chiosco all’angolo di via Lucio Sestio. Non si può, ci dicono perché costa troppo. Mica il bar, ma tutta la macchina da manovrare per girarci intorno. Allora il bar del film sta in due locali all’angolo tra via degli Arvali e dei Quintili. Un bar che pare vero e tanti ci si infilavano pensando che lo fosse veramente. Lì c’ho girato anche io con la macchina in spalla. E tutt’attorno insieme a Bigazzi c’era l’intera squadra che stava attenta a spiegarmi come si deve fare, ma anche che la preziosa macchina non mi cascasse per terra.
E poi la sposa. Alta due metri che scende dalla Cadillac alla pompa di benzina. La sposa che esce dalla televisione solo in quella scena, che fa due passi, si siede e si massaggia un piede accanto a un distributore di bibite. Quel benzinaio che sembra americano sta dietro alla stazione Tuscolana.
Mi piaceva che tutta questa storia girasse attorno a poche strade come i personaggi che finiscono sempre nello stesso bar, che vogliono andarsene, ma non se ne vanno mai. Come marionette. Però il teatro non è quello sicuro del marionettista che le muove stando attento a farle morire con gran fragore, ma senza rovinare le teste di legno. Il teatro è un pezzo di città con le persone vere. Il film è come se lo vedessi da una terrazza del Quadraro e l’umanità che si agita lontana potessi sentirla amplificata.