New blood presenta il lavoro di sei fotografi selezionati per far parte della Magnum Photos, una delle agenzie più importanti al mondo.

L’agenzia è stata fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William Vandivert, Rita Vandivert e Maria Eisner con l’idea di creare una cooperativa in cui i fotografi avrebbero avuto una controllo totale sul proprio lavoro. Negli anni successivi sono entrati nell’agenzia altri nomi importanti come Elliott Erwitt, Leonard Freed, Dorothea Lange e Steve McCurry.

Una volta all’anno i fotografi Magnum s’incontrano per esaminare i portfolio e proporre nuovi ingressi nel gruppo. Gli autori scelti sono quindi invitati a partecipare a un’ulteriore selezione e, se accettano, ricevono una nomina (nominee member). Da questo momento hanno due anni di tempo per realizzare dei reportage che convincano l’agenzia a farli passare al livello successivo, quello di associato (associate member). Per diventare un membro effettivo, un associato dovrà attendere altri due anni e sottoporre di nuovo la propria candidatura. Matt Black, Sohrab Hura, Lorenzo Meloni, Max Pinckers, Newsha Tavakolian e Carolyn Drake sono gli ultimi fotografi invitati a far parte della Magnum.

Il progetto Geography of poverty ha rivelato il talento di Matt Black (nato nel 1970), che nel 2014 ha cominciato a documentare le comunità più povere degli Stati Uniti combinando l’uso di un iPhone e di una Sony Rx 100, una fotocamera compatta avanzata. Fin dall’inizio Black ha scelto Instagram come luogo privilegiato per il suo racconto, ancora in corso.

Tra il 2007 e il 2013 Carolyn Drake (1971) ha visitato più volte la regione autonoma uigura dello Xinjiang, nella Cina occidentale. A ogni viaggio ha osservato le mutazioni del paesaggio, il modo in cui i villaggi tradizionali uiguri sono stati trasformati in città moderne e come questa modernità sia stata costruita escludendo la libertà di stampa e l’apertura culturale verso l’esterno. Per realizzare Wild pigeon, la fotografa ha dovuto inventarsi un modo per comunicare con gli abitanti della regione: è andata tra le comunità dello Xinjiang con una scatola di stampe fotografiche, e ha chiesto alle persone di arricchirle con pensieri, disegni e collage ispirati a The blue pigeon, una storia allegorica di Nurmuhemmet Yasin. La storia narra della vita del figlio del re dei piccioni che viene catturato da piccioni di un altro colore. A causa di The blue pigeon, Yasin è stato arrestato e condannato a dieci anni con l’accusa di incitamento al separatismo. Nel 2011 è morto in circostanze misteriose.

L’indiano Sohrab Hura (1981) è stato scelto per Life is everywhere. Il progetto si basa su fotografie in bianco e nero, dallo stile onirico, con cui Hura racconta il suo rapporto con la madre, affetta da una forma grave di schizofrenia. “È un diario della mia vita, della mia famiglia, dei miei amici, dei miei amori, dei miei viaggi e del mio bisogno assoluto di condividere queste esperienze prima che siano dimenticate. Life is everywhere è un libro fatto di contraddizioni, dei frammenti della mia vita su cui mi interrogo costantemente, sperando un giorno di venire a capo di questo puzzle chiamato vita e riconciliarmi con il mondo”.

Tra i nominati c’è anche l’italiano Lorenzo Meloni (1983). Nei suoi reportage ha mostrato le conseguenze sul paesaggio dei conflitti in Siria, Yemen, Libia e tra Israele e Palestina. Prima di dedicarsi al Medio Oriente, ha raccontato la scena rap della sua città natale, Roma, i rave e le gang. Nel 2011 è entrato nell’agenzia Contrasto e le sue foto sono state esposte alla Biennale di Venezia e per i festival Visa pour l’image, Les rencontres d’Arles e Fotoleggendo.

Il belga Max Pinckers (1988) si allontana dal linguaggio tradizionale del reportage costruendo i suoi lavori con uno stile teatrale. Usa luci artificiali e dà indicazioni precise ai soggetti per creare immagini inaspettate, poetiche e allo stesso tempo documentaristiche. Come in Two kinds of memory and memory itself, in cui esplora in che modo gli occidentali percepiscono il Giappone.

Con Blank pages of an iranian photo album, Newsha Tavakolian (1981) ha raccolto le storie della generazioni nate e cresciute a Teheran dopo la rivoluzione del 1979. Da autodidatta, Tavakolian ha cominciato a lavorare come fotogiornalista per la stampa iraniana a soli sedici anni. Due anni dopo è stata la fotografa più giovane a coprire le proteste studentesche del 1999. È entrata a far parte dell’agenzia newyorchese Polaris Images e nel 2009 ha seguito le elezioni presidenziali in Iran e le proteste collegate, represse violentemente dalle autorità. Da quel momento, ha deciso di occuparsi di progetti a lungo termine, che combinano documentazione sociale e arte.

La mostra New blood sarà esposta nella Magnum Print Room di Londra, fino al 29 luglio 2016.

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