Sono gli stereotipi il bersaglio della campagna lanciata dall’Osservatorio aids insieme a Friends of the global fund Europe, all’Associazione italiana donne per lo sviluppo e Bluestocking. Gli stereotipi riguardano tre malattie molto note ma forse proprio per questo sottovalutate, soprattutto nei paesi più sviluppati dove sono meno visibili. Aids, tubercolosi e malaria sono invece tra le epidemie più gravi ad aver afflitto l’umanità e restano tra le maggiori cause di morte per gli esseri umani (anche se non più tra le prime), soprattutto in alcune regioni del mondo.
I rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità segnalano che, nonostante il dato globale sia in miglioramento, dal 2015 a oggi i numeri hanno cominciato a diminuire con minore rapidità, e in alcune zone del mondo si è addirittura registrato qualche incremento.
Lo spot contro gli stereotipi sull’aids
I casi di malaria nel 2017 sono stati 219 milioni, quando nel 2016 erano 217 (ma 239 milioni nel 2010), con 435mila morti. Il 92 per cento dei casi si registra in Africa (circa 200 milioni). La tubercolosi è ancora tra le prime dieci cause di morte nel mondo. Nel 2017 ha ucciso 1,6 milioni di persone, di cui 300mila avevano contratto anche l’hiv. La combinazione tra tbc e sindrome da immunodeficienza è particolarmente letale, e per questo l’Oms incoraggia attività di contrasto congiunte.
Gli ultimi dati disponibili sulla diffusione dell’hiv dicono che il virus continua a essere una delle principali preoccupazioni sanitarie nel mondo. Da quando le ricerche di Luc Montagnier e di Robert Gallo hanno permesso di isolare il ceppo virale, a metà degli anni ottanta, si stima che oltre 77 milioni di persone abbiano contratto l’hiv. Di queste ne sono morte 35,4 milioni, 940mila nel 2017, con un calo del 51 per cento rispetto al 2004. I nuovi casi nel 2017 sono stati circa 1,8 milioni, quasi la metà rispetto al 1996. L’Africa resta l’area del mondo più colpita, con 25,7 milioni di persone affette da hiv e oltre due terzi del totale delle nuove infezioni.
Il dato delle nuove infezioni può aiutare a capire come mai negli ultimi tre anni non si siano registrati progressi significativi nel contrasto a queste tre epidemie. Il 47 per cento dei nuovi casi di aids si verifica tra persone che appartengono a minoranze sessuali, tossicodipendenti che si iniettano droga, sex workers o detenuti, oltre ovviamente ai loro partner sessuali. “Queste sono anche categorie di persone che spesso subiscono discriminazioni il che le ostacola ulteriormente nell’accesso ai programmi di cura e prevenzione”, commenta Stefania Burbo dell’Osservatorio aids.
Lo spot contro gli stereotipi sulla tubercolosi
Il problema è sociale
Nel caso dell’hiv, dove lo stigma sociale è stato sempre alto, il legame tra rischio medico e discriminazione è forte anche sotto altri punti di vista. Per esempio, una delle cause per cui molte donne, in Africa e non solo, contraggono l’hiv è la violenza sessuale, e il trauma è uno dei motivi per cui non si sottopongono ai test. “Questo accade spesso anche per le donne incinte, che non fanno il test per evitare che i figli subiscano discriminazioni. In realtà da molti anni le cure permettono anche alle donne con hiv di partorire figli sani, se il virus è preso in tempo. Anche in Italia stanno aumentando i casi di persone con aids conclamato, il che è indice del fatto che manca la consapevolezza del rischio”, continua Burbo.
Un anno fa, in occasione della 29a giornata mondiale contro l’aids, Sridhar Venkatapuram, medico e filosofo, direttore del dipartimento di Global health & social justice al King College di Londra, scriveva sull’Independent: “Dovrebbe sorprenderci il numero di persone pronte a tagliare i fondi alla sanità pubblica o continuare a trattare questi problemi solo dal punto di vista clinico. Un modo di pensare così ristretto facilita la diffusione dell’hiv e dell’aids e inoltre nega alle persone l’accesso a un diritto umano fondamentale: il diritto alla salute”.
Lo spot contro gli stereotipi sulla malaria
Il Fondo globale per la lotta all’aids, alla tubercolosi e alla malaria è nato nel 2002 proprio a partire da questa consapevolezza. Da allora ha raccolto circa quattro miliardi di dollari ogni anno per realizzare l’obiettivo fissato dalle Nazioni Unite di bloccare le epidemie delle tre malattie entro il 2030. L’Italia ha partecipato alla creazione del Fondo globale e nell’ultimo triennio ha contribuito con 140 milioni di euro e a ottobre 2019 dovrà stabilire l’entità del suo contributo per il triennio 2020-2022. La speranza di Stefania Burbo e degli altri organizzatori della campagna è che il nostro paese confermi o incrementi l’impegno.
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