Nel 2014, in un discorso diventato celebre come paradigma della visione nazionalconservatrice ormai diffusa in alcuni paesi dell’Europa centrale ex comunista, il primo ministro ungherese Viktor Orbán aveva spiegato che “l’Ungheria sta costruendo uno stato illiberale, uno stato non liberale. Non rifiuta i princìpi fondamentali del liberalismo, come la libertà, ma non considera questa ideologia come l’elemento centrale dell’organizzazione dello stato, scegliendo invece un approccio diverso, di tipo nazionale”.
L’8 febbraio scorso, parlando davanti ai sindaci dei capoluoghi di provincia del paese, nella città di Veszprém, Orbán è tornato sul suo ambizioso progetto politico e sociale, chiarendo i contorni dell’Ungheria che ha in mente:
Nelle discussioni di ordine morale ed etico [noi ungheresi] non dobbiamo cedere terreno, perché dobbiamo difendere l’Ungheria per com’è oggi. Dobbiamo affermare che non vogliamo che nella nostra società ci siano la diversità, la mescolanza: non vogliamo che il nostro colore, le nostre tradizioni e la nostra cultura nazionale si mescolino con quelle degli altri. Non lo vogliamo. Non lo vogliamo affatto. Non vogliamo essere un paese dove ci sia diversità. Vogliamo essere quello che eravamo mille e cento anni fa, quando siamo arrivati nel bacino carpatico. È questa la strada che vogliamo seguire; ma sfortunatamente oggi non è detto che questa strada sia percorribile. Dobbiamo difendere il nostro obiettivo, dobbiamo combattere per esso.
Nel discorso del 18 febbraio sullo stato della nazione, il primo ministro ungherese ha di nuovo parlato della “battaglia che oggi gli ungheresi stanno combattendo” e ha alzato i toni contro le istituzioni europee: “Sembra che l’Europa occidentale e l’Europa centrale abbiano scelto due strade divergenti. […] E per quanto possa sembrare assurdo la minaccia più pericolosa per l’Ungheria oggi arriva dall’occidente. Questa minaccia è rappresentata dai politici di Bruxelles, Berlino e Parigi. Vogliono farci adottare le loro politiche, quelle politiche che hanno trasformato i loro paesi in paesi di immigrazione e che hanno aperto la strada al declino della cultura cristiana e all’espansione dell’islam. Vogliono farci accettare gli immigrati e trasformarci in un paese con una popolazione mista”.
Qualche mese prima Orbán aveva detto: “Ventisette anni fa, qui in Europa centrale credevamo che l’Europa fosse il nostro futuro; oggi sentiamo che siamo noi il futuro d’Europa”. Parole di Viktor Orbán, ex liberale, ex dissidente, leader di un paese che da quattordici anni fa parte dell’Unione europea e di un partito, Fidesz, che a Strasburgo fa parte del gruppo dei popolari, il più grande del parlamento europeo. E capofila di una corrente politica che attraversa tutto il continente.
Forse è il caso di preoccuparsi.
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