Mamadou ha nove anni e va alle elementari. Dopo che la sua baracca all’interno di una fabbrica occupata a via di Vannina 72, sulla Tiburtina, è stata sgomberata dalla polizia, si preoccupa del fatto che non potrà più studiare di sera perché non ha l’elettricità. Dall’8 giugno insieme a sua madre Fatima e ai suoi due fratelli, Mamadou, di origine guineana, dorme su un materasso per strada, di fronte all’edificio industriale che per qualche anno è stata la sua casa. Fatima cucina sull’asfalto, mentre suo figlio gioca con una palla.

Mamadou non è l’unico bambino lasciato per strada in seguito a due sgomberi avvenuti nel giro di pochi giorni a Roma. Nel palazzo di via di Vannina 78, intorno a un tavolino rimasto intatto dopo lo sgombero ci sono anche Jennifer, una donna nigeriana, e i suoi due figli: Praise di un anno e Prosper di cinque. Jennifer ha un rosario appeso al collo e un’espressione disperata. “Non siamo riusciti a salvare quasi niente dallo sgombero”, racconta. “Abbiamo perso tutto”. Le sue cose sono tutte nelle poche buste sul tavolo.

Alessandro, un immigrato della Repubblica Democratica del Congo che vive in Italia da quindici anni, è seduto su una sedia qualche metro più in là, mentre alcuni ragazzi accendono il fuoco con legna e benzina per cucinare del pollo in una pentola appoggiata sulla fiamma. Alessandro racconta cosa è successo nell’ultima settimana in via di Vannina nei due palazzi occupati in cui abitavano circa cinquecento persone tra cui molti rifugiati e richiedenti asilo.

Molti ragazzi raccontano di aver riportato fratture e contusioni

“L’8 giugno sono venuti a sgomberare il primo palazzo, ci vivevano circa trecento persone. La polizia è arrivata senza preavviso e ha buttato tutti fuori. Un ragazzo disabile che non parla è stato manganellato con violenza”. La polizia aveva promesso agli occupanti, portati in questura per essere identificati, che gli avrebbe permesso di tornare all’interno dell’edificio per recuperare le loro cose qualche giorno dopo. Invece quando la polizia è tornata c’è stato un altro blitz nel secondo palazzo occupato, in via di Vannina 78, dove vivevano duecento persone, racconta Alessandro. “La polizia ha detto che voleva identificare le persone, ma più che identificare le voleva pestare”, dice Alessandro.

Il secondo sgombero è stato più violento: molti ragazzi raccontano di aver riportato fratture e contusioni, un ragazzo mostra una foto nel telefono di un amico con un occhio tumefatto. Rubina, una ragazza italiana senza fissa dimora che da qualche mese aveva trovato un alloggio nell’occupazione, dice di aver chiamato l’ambulanza e di non aver mai assistito a uno sgombero così violento: “Si sono accaniti contro le persone che erano dentro l’edificio, non ho mai visto niente di simile”.

Nessun piano per l’accoglienza
Il 14 giugno volontari e associazioni si sono dati appuntamento in via di Vannina per distribuire i pasti e acqua potabile alle persone rimaste a dormire all’aperto. “Abbiamo più volte chiamato la centrale operativa sociale del comune di Roma per segnalare la presenza di donne e bambini, ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta”, dice Roberto Viviani della Baobab experience. Federica Borlizzi, dell’associazione di assistenza legale Alterego, racconta di aver raccolto diverse testimonianze di persone malmenate: “Alcuni sono ancora in ospedale”. Marco Passaro, un altro volontario, conferma: “Alcuni mi hanno detto di essere stati colpiti in maniera molto violenta lunedì durante il secondo sgombero”.

Borlizzi è entrata all’interno del primo stabile sgomberato: “Ho incontrato i due proprietari dell’immobile di cinquemila metri quadrati e mi hanno spiegato di aver acquistato all’asta l’edificio in seguito a una procedura fallimentare. Mi hanno detto che non sapevano dello stato di abbandono in cui si trovava l’immobile, ma che il tribunale li ha sollecitati a chiedere lo sgombero perché l’edificio è pericolante”.

“Le persone sono in strada da giorni senza nessuna assistenza, sembra la stessa situazione del 2015 a Ponte Mammolo”, afferma Borlizzi. I volontari e le associazioni denunciano gli sgomberi di palazzi occupati nella capitale da richiedenti asilo e rifugiati, senza nessun piano alternativo per l’assistenza e l’accoglienza di persone che sono in una situazione di grave marginalità. “Molti hanno il permesso di soggiorno o addirittura sono titolari di protezione internazionale. La questione è che Roma non solo non ha un centro di prima accoglienza, come Milano, ma continua a violare i diritti umani di persone fragili, che vivono ai margini della città”, afferma Borlizzi.

Chi dovrebbe aprire centri di accoglienza risponde con la polizia e gli sgomberi

Il 13 giugno la sindaca di Roma Virginia Raggi con una lettera al ministero dell’interno e al prefetto ha chiesto una moratoria all’arrivo di migranti nella capitale e all’apertura di nuovi centri a causa della “forte presenza migratoria e il continuo flusso di cittadini stranieri”. La moratoria richiesta da Raggi è stata accolta con favore dal partito di estrema destra Casapound che sta organizzando una manifestazione per la chiusura di un centro di accoglienza in via del Frantoio. “Dopo i risultati elettorali i cinquestelle hanno cominciato a prendere una deriva che somiglia al nostro programma. Soprattutto a Roma, siamo contenti che Virginia Raggi abbia annunciato delle prese di posizione che sono uguali alle nostre”, ha detto Simone Di Stefano di Casapound.

La prefettura non ha ancora risposto ufficialmente alla lettera della sindaca, ma ha diffuso i dati secondo cui a Roma ci sono 5.581 richiedenti asilo nei centri di accoglienza straordinaria (Cas) e altri 3.028 nei centri dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Un totale di 8.609 persone, al di sotto della soglia di 11mila richiedenti asilo previsti dall’Anci. A Raggi ha risposto il ministro dell’interno Marco Minniti dicendo che il modello su cui punta il governo è quello dell’accoglienza diffusa, come ha fatto il comune di Milano. Ma a Roma, affermano i volontari del Baobab, sembra che non sia concesso avere un sistema di accoglienza come quello di Milano. “Chi dovrebbe aprire centri di accoglienza risponde invece con la polizia e gli sgomberi”, scrivono in un comunicato l’associazione LasciateCientrare e l’associazione Baobab experience.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it