Un nuovo codice di condotta per le ong: sarebbe questa la proposta della ministra dell’interno Luciana Lamorgese che il 25 ottobre ha convocato al Viminale le organizzazioni non governative attive nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. La proposta ha sorpreso gli operatori umanitari, che avevano già sottoscritto un altro controverso codice di condotta nell’estate del 2017 al termine di una lunga campagna di criminalizzazione che li accusava di essere “taxi del mare”. Durante l’incontro, la ministra Lamorgese ha accusato le navi di soccorso delle ong di essere un fattore di attrazione (pull factor) per i migranti che scappano dalla Libia a bordo di imbarcazioni e gommoni.

L’accusa di pull factor è particolarmente rilevante, perché era stata usata sia contro la missione umanitaria governativa Mare nostrum nel 2013 da parte di alcuni governi europei sia contro le navi umanitarie alla fine del 2016 e ha costituito il nucleo centrale intorno al quale si sono articolate tutte le accuse contro le ong del mare negli ultimi anni. Tuttavia è stata smentita da numerosi studi e ricerche universitarie come quella dell’università Goldsmith di Londra e quella di Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Secondo lo studio dell’università Goldsmith, le partenze dalla Libia sono aumentate nei primi quattro mesi del 2015, per esempio, quando in mare non c’erano navi di soccorso, né militari né civili.

L’Ispi, che raccoglie i dati delle partenze dalla Libia dal 2014 e li mette in relazione con la presenza di navi di soccorso, ha escluso in maniera categorica che ci sia una relazione tra le partenze e la presenza delle navi. In un’intervista recente il ricercatore Matteo Villa aveva detto a Internazionale: “Dal 1 gennaio al 24 settembre 2019 sono partite dalla Libia una media di 46 persone al giorno in presenza di navi di soccorso e 45 persone al giorno in assenza di navi di soccorso. Un numero identico di persone”.

Le crisi in mare
All’incontro al Viminale, a cui hanno partecipato anche funzionari del ministero dell’interno, del ministero degli esteri e del Comando generale delle capitanerie di porto, erano presenti rappresentanti delle ong Medici senza frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e Sos Meditérranée che hanno portato alla ministra le loro richieste: rimettere al centro l’obbligo del soccorso in mare, evitare ritardi, omissioni di intervento e mancanza di comunicazione sulle imbarcazioni in difficoltà, sospendere la collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica che intercetta le persone in mare e le riporta indietro in Libia, violando il diritto internazionale, definire con l’Europa un sistema strutturale e condiviso di sbarco in un vicino porto sicuro, evitando giorni di stallo e attesa in mare in condizioni di difficoltà.

Nel secondo governo Conte le crisi in mare sono continuate, ma sono durate in media di meno rispetto al primo governo Conte, quando il ministro dell’interno era Matteo Salvini: la crisi più lunga durante il Conte 1 è durata venti giorni, secondo i dati raccolti dall’Ispi. Mentre nel Conte 2 la crisi più lunga è durata undici giorni.

Le ultime crisi in mare hanno riguardato la Ocean Viking, di Medici senza frontiere e Sos Meditérranée, che è attraccata nel porto di Pozzallo dopo undici giorni di stallo in mare; la nave Alan Kurdi, ancora in mare dopo sei giorni con 90 persone a bordo; e la nave Open Arms, che ha recentemente soccorso 15 persone.

Il nuovo codice di condotta
Il primo codice di condotta, imposto alle ong nell’estate del 2017, era un regolamento di tipo amministrativo, firmato dalla maggior parte delle ong attive in quel momento. Il codice vietava, tra le altre cose, alle navi umanitarie di entrare nelle acque territoriali libiche, di spegnere i transponder delle navi, di fare segnali luminosi e di fare trasbordi. Gli operatori umanitari giudicarono la maggior parte di quelle norme inutili, perché già previste dalle normative marittime internazionali e in generale dannose perché avrebbero potuto rallentare gli interventi di soccorso e rafforzare nell’opinione pubblica italiana l’idea che le ong stessero agendo non in linea con le leggi internazionali e che non si stessero coordinando con le autorità.

Nella bozza di accordo di Malta – redatta dai ministri dell’interno di Italia, Germania, Francia, Malta e Finlandia alla fine di settembre del 2019 – è stata inglobata una parte delle regole del codice di condotta italiano del 2017. Questo elemento confermerebbe la volontà dell’attuale ministero dell’interno italiano di imporre un nuovo codice di condotta alle ong, in una situazione che però è radicalmente cambiata rispetto al passato, perché nel frattempo a coordinare i soccorsi non c’è più la Centrale operativa della guardia costiera italiana (Mrcc), come avveniva invece nel 2017. La Libia nel 2018 ha proclamato l’istituzione di una propria zona di ricerca e soccorso (Sar), che gli è stata concessa dalle autorità marittime internazionali. Nella bozza dell’accordo di Malta infatti si chiede alle ong di non interferire con l’attività della cosiddetta guardia costiera libica.

E infine anche i libici hanno redatto un proprio codice di condotta per le ong, che è stato consegnato alle autorità italiane il 9 ottobre e che è allo studio di guardia di finanza, marina militare e guardia costiera. Il codice libico non è un semplice regolamento come quello italiano, bensì è un decreto firmato dal presidente Fayez al Serraj sulle “regole di comportamento relativo al lavoro delle organizzazioni internazionali e non governative nell’area Sar libica”. Il codice libico impone alle ong che vogliono operare nella Sar libica di coordinarsi obbligatoriamente con la Centrale operativa di Tripoli e di registrarsi presso le autorità dello stato nordafricano.

Il codice, inoltre, impone alle navi umanitarie di chiedere l’autorizzazione a Tripoli per operare soccorsi e inoltre stabilisce il diritto dei guardacoste libici di salire a bordo delle imbarcazioni per motivi di ordine legale o inerenti alla sicurezza e di sequestrare le navi e portarle in Libia nel caso che sia riscontrata una violazione del codice libico. Uno scenario particolarmente allarmante e in contrasto con le leggi internazionali, se si considera che le ong finora hanno rifiutato quasi sempre il coordinamento dei soccorsi da parte della Libia, un paese considerato non sicuro. Resta quindi da capire in che modo il nuovo codice di condotta italiano terrà conto delle regole stabilite dai libici.

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