Un gruppo cattolico oltranzista di Reggio Emilia ha indetto, per il 3 giugno, una “processione di riparazione pubblica” per il gay pride che, nello stesso giorno, si terrà in città. Non stupisce, nel clima di generalizzata irrazionalità che si respira in questo periodo, che un gruppo di cattolici radicali, da cui per altro la curia di Reggio Emilia ha preso le distanze, organizzi un evento di “riparazione” per chiedere perdono, a nome della città, per il peccato mortale della sodomia. A stupire è la modalità con cui questo gruppo ha deciso di pubblicizzare il suo raduno.
Il manifesto che hanno disegnato è più curato graficamente rispetto alla produzione media delle comunicazioni parrocchiali. È decentemente impaginato, ben leggibile e il guazzabuglio di font che di solito caratterizza questo tipo di comunicazioni è decisamente contenuto. C’è anche una citazione di san Tommaso che dice che “nei peccati contro natura in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura”. Asciutto e dritto al punto: la sodomia offende il Signore e noi siamo qui per espiare i peccati della città che ha deciso di ospitare una manifestazione di sodomiti. Non fa una piega. O meglio, nel trecento non avrebbe fatto una piega.
L’immagine che il comitato di fedeli ha scelto per pubblicizzare l’evento è la flagellazione di Cristo, la sesta stazione della via crucis secondo lo schema introdotto nella Pasqua del 1991 da Giovanni Paolo II. È una stazione importante perché è la prima in cui Cristo viene offeso nella carne dopo essere stato tradito, condannato e rinnegato. La flagellazione è il primo di una serie di supplizi che intaccheranno Cristo nella carne e lo porteranno alla morte e, in seguito, alla resurrezione.
Iconograficamente quella della flagellazione è una scelta accorta e non certo casuale: richiama le processioni dei flagellanti (che difficilmente vedremo il 3 giugno davanti al duomo di Reggio Emilia) e sottolinea l’importanza della sofferenza fisica come via di espiazione e salvezza; è la cultura del cilicio e dell’umiliazione della carne ancora tanto cara al cattolicesimo integralista.
Tra tutte le rappresentazioni di questa scena dipinte in cinquecento anni, i flagellanti di Reggio Emilia hanno scelto una tela del pittore accademico francese William-Adolphe Bouguereau (1825-1905). Il quadro, datato 1880, conservato al Musée des Beaux Arts della Rochelle e di committenza privata e non ecclesiastica, è il tipico esempio di pittura accademica (o per dirla con termine più dispregiativo pompier) di fine ottocento. Nel 1880 Monet e Cézanne erano all’apice delle loro innovazioni, l’impressionismo era in una fase di piena maturità, ma l’arte che piaceva alla ricca borghesia francese era questa versione virtuosistica e consolatoria del classicismo.
Anziché scegliere una flagellazione squisitamente spirituale, quasi filosofica come per esempio quella di Piero dellaFrancesca (1453 circa), i flagellanti di Reggio Emilia hanno scelto l’opera più drammatica e più facile di un artista astutamente conservatore che lungo tutta la sua carriera è stato abilissimo a confezionare immagini edificanti ma sottilmente sensuali. L’esempio più classico di questo tipo di pittura, che con la scusa di un tema aulico o mitologico permetteva a un ricco borghese di appendersi in salotto un bel nudo, è la Nascita di Venere di Alexandre Cabanel (1823-1889). Venere è sdraiata tra i flutti del mare, in una posizione da sfinimento postorgasmico che ricorda quella della Maja desnuda di Goya ma con un brivido soft porno in più. E mentre la Maja, come l’Olympia di Manet, guarda lo spettatore in faccia, questa Venere dall’incarnato rosa confetto si offre allo sguardo passivamente, come una modella da paginone centrale di Playboy. Se ci fossero ancora dubbi sulle finalità velatamente pornografiche di questo lavoro, basta guardare il pube della Venere: ci sono delle ombreggiature che più che nascondere invitano alla ricerca del dettaglio.
Allo stesso modo, la flagellazione di Bouguereau ha un forte slancio sensuale e soprattutto ha un evidente sottotesto omoerotico. Il corpo scultoreo e bianchissimo di Cristo è curvato in una sorta di rilettura iperbolica dei nudi manieristi di metà cinquecento. Quello di Bouguereau non è un Cristo sofferente, è un Cristo estatico che sotto i colpi delle fruste sembra avvitarsi per offrire allo sguardo i lati migliori della sua perfetta anatomia. Anche gli aguzzini fanno parte di questa scena che oggi definiremmo BDSM: sono scuri e brutti in viso come voleva la tradizione fiamminga, ma i loro corpi sono asciutti e vigorosi come quelli di due danzatori. Tra il pubblico della scena si scorge, di profilo, un ragazzo bruno con indosso una specie di canottiera che sembra uscito dalle fotografie siciliane di Wilhelm von Gloeden. Sulla destra un giovane in canottiera, probabilmente un altro aguzzino pronto a colpire, è in una posizione strategica che lo porta a mostrare in piena luce un bicipite vigoroso e una coscia altrettanto forte. È iconograficamente corretto che si veda tanta carne in una scena di supplizio. Quello che salta agli occhi in questo quadro, però, è che qui non c’è carne sofferente ma carne sapientemente esposta per suscitare in un pubblico borghese, nella zona di sicurezza di una scena sacra, un sottile ma socialmente accettabile brivido sensuale.
I fustigatori di Reggio Emilia dunque, tra tutte le scene di flagellazione di Cristo, hanno finito per scegliere la più palesemente omoerotica. E proprio per lanciare un messaggio che può senza dubbio essere definito omofobo. A mio parere questa scelta, non so quanto conscia, ci porta alla radice stessa dell’omofobia. Queste persone per dirci che la sodomia è un peccato, ci mostrano un’immagine che ha molti, troppi, elementi sessualmente eccitanti per un omosessuale. Di qualunque epoca. Chi ha scelto quest’immagine ha coscienza che il corpo maschile sia sessualmente desiderabile e allo stesso tempo ne ha una tremenda paura, perché desiderare un uomo è un peccato mortale.
Tanta arte religiosa, dalla controriforma in poi, è fortemente erotica (e a volte omoerotica). Sottolineare il corpo, la carne, era fondamentale per una chiesa cattolica costretta a difendere i suoi dogmi legati alla natura umana di Cristo e alla sua sofferenza sulla Terra. Ma l’arte di Bouguereau è talmente lontana cronologicamente e culturalmente dalla controriforma che la sensualità che la permea è solo astuzia pruriginosa e strategia di marketing.
Sicuramente è marketing anche quello dei flagellanti di Reggio Emilia, ma la paradossale scelta del quadro di Bouguereau denota una certa confusione e un rapporto non risolto con la sessualità e il desiderio.
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