Björk, Body memory
Utopia è il nono disco di Björk e il più lungo della sua discografia: dura 71 minuti. Il precedente Vulnicura, composto in seguito alla separazione dal fidanzato Matthew Barney, era un disco ambizioso, ma non del tutto riuscito. Utopia è più vario e ispirato, anche se è altrettanto complesso. Ed è un album nel quale la cantante islandese ricomincia da capo, si lascia alle spalle la cupezza e lancia messaggi pacifisti e femministi.
Björk è in forma, come si capisce fin dall’apertura di Arisen my senses, dove si sente subito la mano di Arca, il musicista venezuelano che aveva in parte collaborato alla realizzazione di Vulnicura. Sul finale del brano, la voce di Björk è accarezzata da loop elettronici e da un’arpa. La stessa arpa che apre Blissing me, una canzone sull’amore telematico.
Nella seconda parte del disco i pezzi s’immergono in un panismo ancora più spinto. A tratti vengono in mente certe atmosfere di Volta, il disco del 2007. A partire dalla stratificata Body memory, forse il brano migliore del disco. Nel finale del pezzo risalta un coro islandese di sessanta elementi ed è difficile non commuoversi almeno un po’, mentre la cantante islandese ripercorre le tappe della sua vita. In Loss e Sue me la mano di Arca si sente ancora di più, mentre in Tabula rasa, brano femminista in cui s’invitano le donne a spezzare le catene del patriarcato (“Break the chain of the fuck-ups of the fathers, it is time”) si va quasi verso la musica contemporanea.
Anche la conclusione di Utopia è ottimista: in Future forever Björk ci invita a spegnere il passato (“Your past is a loop, turn it off”) e a guardare avanti, chiudendo così il cerchio di questa rinascita personale e artistica.
Noel Gallagher’s High Flying Birds, Be careful what you wish for
Per il suo terzo disco solista, Noel Gallagher si è affidato al nordirlandese David Holmes, produttore di musica elettronica e autore di colonne sonore per il cinema (Ocean’s eleven, per esempio). La sua idea, probabilmente, era di lasciarsi alle spalle il classico suono degli Oasis e spostarsi verso territori più avventurosi.
Noel, che come al solito è un animale da interviste e sa come promuovere la sua musica, ha parlato di “pop cosmico”. Il suono di Who built the moon? effettivamente è meno da pub rispetto al passato, ma il modo di comporre di Noel non è cambiato molto. Però stavolta qualcosa non ha funzionato: i due dischi solisti precedenti non erano perfetti, ma ogni tanto c’erano degli ottimi guizzi. In Who built the moon? ce ne sono davvero pochi.
Gli ottimi arrangiamenti, i cori femminili, le chitarre vintage non riescono a nascondere la piattezza compositiva di molti brani. Holmes ha convinto Noel a entrare in studio senza neanche un brano pronto e a comporre tutto sul momento e infatti molte canzoni sembrano scritte troppo con la testa, mancano d’immediatezza. Tra i pochi momenti da ricordare ci sono la strumentale Fort Knox, il pop soul di Keep on reaching e Be careful what you wish for, (il cui riff cita Come together), forse l’unico brano veramente “cosmico” del disco.
Certo, a differenza del fratello Liam, almeno qui c’è vita dal punto di vista musicale. Ci sono delle idee, anche se non del tutto concretizzate. È come se Noel avesse finalmente trovato il vestito giusto per la festa alla quale voleva andare da tanto tempo. Il problema è che non gli sta bene.
Cesare Cremonini, Nessuno vuole essere Robin
Cesare Cremonini è uno dei più bravi autori di canzoni che ci sono oggi in Italia (non sono l’unico a pensarla così in redazione). Ha il merito di saper scrivere canzoni che vanno in testa alle classifiche, riempiono i palazzetti (e presto gli stadi) ma conservano gusto e coerenza.
Il suo nuovo disco, Possibili scenari, che arriva a tre anni di distanza dall’ottimo Logico, prosegue su questa scia qualitativa, anche se è più vario dal punto di vista sonoro.
Le ispirazioni non cambiano (“Amiamo l’Inghilterra”, dichiarava lo stesso Cremonini in Mondo, un singolo di qualche anno fa), ma questo è il suo disco più vario: il singolo Poetica è una canzone vecchia scuola, con il piano, il theremin e gli assoli di chitarra, Silent hill è costruita sulla batteria di Tomorrow never knows dei Beatles, Possibili scenari cita i Coldplay. E poi c’è Nessuno vuole essere Robin, una canzone pop sulla quotidianità e la solitudine. Semplice ed efficace, di quelle che suonano bene in radio. Mica è una colpa, anzi, è un merito.
Pauline Anna Strom, Energies
Nata in Louisiana da una famiglia cattolica conservatrice e cresciuta nel Kentucky, Pauline Anna Strom racconta di essere stata una bambina “eretica e solitaria”. Nata cieca a causa di una complicanza durante il parto, da bambina studiò musica classica e storia.
Il sito The Quietus racconta che alla fine degli anni sessanta, dopo essersi trasferita a San Francisco, Strom si avvicinò alla musica che le avrebbe cambiato la vita. Ispirata dalla new age e dall’elettronica degli anni settanta (Brian Eno, Tangerine Dream), s’innamorò dei sintetizzatori e registrò tre dischi autoprodotti, distribuiti in cassetta.
Per molto tempo è rimasta nell’anonimato, ma negli ultimi anni le sue composizioni sono state riscoperte. L’etichetta Rvng Intl ha appena pubblicato una compilation, intitolata Trans-millenia music, che raccoglie il meglio del suo repertorio. Musica cosmica ed eterea, che sarebbe perfetta per la colonna sonora di un film di fantascienza.
Margo Price, A little pain
Qualche settimana fa su Internazionale abbiamo pubblicato la recensione di All american made, l’ultimo disco della statunitense Margo Price, chitarrista e cantante country di Nashville. La recensione originale, uscita sul Guardian, riassumeva la sua musica in poche, ma efficaci, parole: “Gli Stati Uniti di Margo Price sono descritti come un paese difficile. In particolare un paese difficile per le donne”.
Il country di Price infatti non è musica rassicurante, ma critica nei suoi confronti del suo paese. Parla di disparità di genere, di dicotomia tra le grandi città e la vita di provincia. Questo pezzo autobiografico parla della difficoltà di una musicista a reggere la vita da tour. Jack White, uno che la sa lunga, l’ha voluta sul palco con lui e l’ha messa sotto contratto con la sua etichetta, la Third Man Records. E Willie Nelson ha duettato con lei in un brano di All american made.
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