Al civico 54 di Cathedral street nel quartiere di Sliema, nel nordest di Malta, c’è una piccola galleria d’arte. La strada dove si trova, quasi nascosta, ha un nome inglese, come molte altre della zona. Inglese è anche la seconda lingua parlata dalla maggior parte degli abitanti di questo quartiere residenziale e alla moda, dove le proprietà sono tra le più care dell’isola.

La galleria prende il nome dalla sua fondatrice, Lily Agius, che l’ha aperta nel 2011. Agius è una curatrice nata a Londra che vive a Malta da più di dieci anni. Insieme allo spazio espositivo, Agius ha creato la rivista trimestrale di arte contemporanea Art paper, dove si possono leggere interviste ad artisti, segnalazioni di mostre e recensioni di eventi legati all’arte contemporanea che si svolgono a Malta e non solo.

Ad aprile, quando visito la galleria, all’ingresso ci accolgono sedici finti alberi di Natale senza decorazioni. Entrando si sente il cinguettio degli uccellini e l’odore di un deodorante per ambiente al gusto di pino. Le pareti ospitano dei quadri molto grandi esposti lungo il perimetro della sala, estesa per lo più in lunghezza e illuminata da luci soffuse e da quella naturale che entra dall’ingresso. Sotto alcuni quadri ci sono dei gonfiabili a forma di animali, tra cui un maialino e un tigrotto. Sono alcuni degli oggetti di scena usati da SJ Fuerst per la mostra Forest fresh.

SJ Fuerst è nata nel 1987 in Connecticut, negli Stati Uniti. Ha studiato a Firenze e a Londra, e attualmente vive a Gozo, una delle tre isole maggiori che compongono l’arcipelago maltese.
È abbastanza facile scambiare le tele di SJ Fuerst per delle fotografie. La giovane pittrice realista, che dipinge solo donne, prima scatta molti ritratti alle sue modelle, poi sceglie gli abiti che devono indossare e ogni altro dettaglio all’interno dell’ambientazione che crea.

Due tele di Sj Fuerst durante la mostra alla Lily Agius gallery a Sliema. (Lily Agius gallery )

Ogni opera richiede tra le sei e le otto settimane di lavoro. “Tutto quello che dipingo esiste solo nel modo in cui lo rappresento”, spiega Fuerst, che prende ispirazione dalla cultura pop e contemporanea, ma è anche il risultato della “relativa solitudine che mi offre il mio piccolo studio sull’isola di Gozo”.

Nelle opere più recenti, Fuerst dice di aver inserito dei paesaggi sullo sfondo dei ritratti, influenzata dalla sua vita a Gozo: “Ho scelto di restare qui per l’energia e la tranquillità che mi offre, così diversa dal caos delle grandi città”.

Automobili e legno
La tranquillità descritta da Fuerst non si percepisce così tanto sull’isola di Malta, dove le strade sono molto trafficate. Nel più piccolo paese dell’Unione europea, che è anche uno dei più piccoli al mondo, una guida locale ci dice, con tono ironico, che ci sono quasi tre auto per abitante, e che ai maltesi piace farsi notare andando in giro con quelle grandi.

Per percorrere i nove chilometri che separano il quartiere di Sliema dalla periferia di Valletta dove si trova la galleria Valletta contemporary, ci impieghiamo quasi mezz’ora. La strada è piena di edifici con i tipici balconi in legno della capitale, diffusi soprattutto nella zona del porto, dove si trovano le gallerie. Questi balconi colorati – spesso in rosso, blu o verde – sono comparsi sull’isola a metà del settecento, durante il regno dell’Ordine dei cavalieri di Malta, ma secondo molti studiosi si sarebbero diffusi soprattutto durante il dominio britannico – finito nel 1964 quando l’isola è diventata indipendente – un periodo in cui il legno costava meno e l’isola godeva di maggiore prosperità.

Un’opera di Nadine Baldow esposta alla galleria Valletta contemporary, aprile 2019. (Rosy Santella)

All’ingresso di Valletta contemporary incontriamo Joanna Delia, della fondazione Meta, il principale ente finanziatore dei progetti organizzati dalla galleria. Dalle vetrate trasparenti che circondano l’entrata s’intravede un’opera dell’autrice in mostra: Nadine Baldow, nata a Dresda, in Germania, nel 1990. È un’enorme costruzione dalla forma irregolare realizzata con acrilico, silicone e glitter. È appesa al soffitto e fa parte del lavoro Occupied objects, un progetto in cui l’artista tedesca riflette su come l’essere umano abbia invaso ogni parte della Terra, costringendo la natura ad adattarsi. In un’altra sala, una di queste “creature” è stesa su un tavolo da obitorio, simbolo dei rischi che corre l’ambiente.

“La galleria è stata aperta nel 2018, l’anno in cui hanno nominato Valletta capitale europea della cultura. Ed è stata costruita in uno spazio che ospitava il laboratorio di un costruttore di botti. Volevamo riqualificare un quartiere della città meno conosciuto e meno turistico, e offrire alle persone uno spazio libero per vivere l’arte contemporanea”, spiega Delia.

Ugo Rondinone, The Radiant, 2018.

(Patrick Fenech, Courtesy Malta International Contemporary Art Space (MICAS))

L’obiettivo di riqualificazione dei luoghi storici sembra accomunare molte gallerie dell’isola. Il Malta international contemporary art space (Micas), uno spazio che aprirà al pubblico nel 2021, ha inglobato nel progetto le mura di fortificazione costruite dai cavalieri di Malta per proteggere la città nel seicento. L’artista svizzero Ugo Rondinone è stato il primo a collaborare con il Micas, che ospita già alcuni eventi anche se è ancora soprattutto un cantiere. Nel cortile si trova la sua opera The radiant, che ha dedicato ai bambini dell’isola.

“Malta sta provando a sfidare la sua immagine da cartolina per le vacanze estive e a reinventarsi, per offrire alle persone dei nuovi luoghi per la cultura”, dice la guida che ci accompagna al museo marittimo nel quartiere di Burga. Qui incontriamo Vince Briffa, un artista maltese nato nel 1958.

Viaggi e approdi
Briffa è uno dei tre protagonisti, insieme a Klitsa Antoniou e Trevor Borg, del padiglione maltese alla 58ª Biennale di Venezia, curato da Hesperia Iliadou Suppiej. I tre autori hanno lavorato singolarmente sul tema dell’Odissea di Omero, riflettendo sul legame che il poema ha con il presente: dai viaggi delle persone attraverso il mare alla ricerca di un rifugio.

Nel video girato nei depositi del museo marittimo, Briffa ha ricreato attraverso degli attori alcune scene dove Ulisse è un uomo intrappolato tra la sicurezza di un’isola e il pericolo di attraversare il mare. Usando lo spaesamento di Ulisse, Briffa esplora i concetti di identità e di patria, mettendoli in discussione. La polvere che copre gli oggetti e i reperti conservati nel dietro le quinte del museo marittimo – relitti di navi, manichini, orologi e statue – suggerisce il passare del tempo, ma anche l’immobilità del protagonista.

Il padiglione di Malta alla Biennale d’arte di Venezia 2019. (David Levine)

Klitsa Antoniou, di origini cipriote, è partita dalla sua esperienza di rifugiata – costretta a scappare con la famiglia durante l’invasione turca negli anni settanta – per riflettere sulle condizioni dei migranti di oggi, in fuga da conflitti e povertà, e sulla difficoltà di trovare un approdo.

Nella sua installazione scorrono i video di barche e gommoni che attraversano il Mediterraneo, ottenuti dalla guardia costiera. A sovrastare tutto ha costruito una croce di 250 metri quadrati fatta di alghe marine: “È la metafora di un ponte, un luogo che unisce i paesi affacciati sul mare. Ho preso ispirazione dal progetto dell’architetto e filosofo tedesco Herman Sörgel, che negli anni venti del novecento aveva teorizzato un continente utopico chiamato Atlantropa, formato dall’Europa e dall’Africa, che avrebbe eliminato il problema delle migrazioni dei popoli”, spiega l’artista.

Il padiglione di Malta alla Biennale d’arte di Venezia 2019. (David Levine)

Anche Trevor Borg, maltese classe 1976, riflette su un mondo utopico. In Cave of darkness – Port of no return ha preso ispirazione dalla cava di Għar Dalam, nella zona di Birżebbuġa, famosa per il ritrovamento di molti resti di animali preistorici. È un luogo che l’artista frequenta spesso da quando era bambino e a Venezia ha ricostruito la cava, i resti di animali e quelli di altri reperti.

L’opera di Borg invita lo spettatore ad attraversare il passato preistorico di Malta confondendo i confini tra realtà e immaginazione, reale e costruzione: “Volevo creare un senso di disorientamento: lo spettatore si trova davanti a oggetti che somigliano a qualcosa di reale, ma in realtà sono riproduzioni. Sono andato alla ricerca di vere carcasse di animali da contadini e macellai, e poi di vasi e altri artefatti che ho pulito, riprodotto in 3d e poi ridipinto di bianco”, spiega.

I tre artisti esposti a Venezia hanno riflettuto su cosa significa mettersi in viaggio e su cosa voglia dire trovare un rifugio, facendo riferimento al passato e al presente di Malta. Un paese dove si respirano le tracce delle culture diverse che lo hanno attraversato, e che oggi deve fare i conti con quelle che cercano di attraversarla per crearsi un nuovo futuro.

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